Materia penale

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Ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato l’interrogatorio di garanzia reso ai sensi dell’art. 294 c.p.p. non può configurarsi come “udienza”

 Ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato l’interrogatorio di garanzia reso ai sensi dell’art. 294 c.p.p. non può configurarsi come “udienza”
 
di Massimiliano Strampelli*
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Con la sentenza della Sez. III penale del 14 luglio 2005 n. 37770 (il cui testo integrale si trova nella rubrica biblioteca del sito www.anvag.it) la Suprema Corte si è interessata del problema interpretativo che coinvolge la presentazione dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in sede di “interrogatorio di garanzia”.
In particolare il problema riguardava la giuridica configurabilità di tale fase procedimentale come udienza e conseguentemente gli effetti di un tale inquadramento giuridico ai fini della disciplina di cui all’art. 96 T.U. spese di giustizia.
Tale norma infatti prescrive : “ nei dieci giorni successivi a quello in cui è stata presentata o è pervenuta l’istanza di ammissione, ovvero immediatamente, se la stessa è presentata in udienza a pena di nullità assoluta ai sensi dell’art.179 , comma 2 , del codice di procedura penale, il magistrato davanti al quale pende il processo o il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato…, verificata l’ammissibilità dell’istanza, ammette l’interessato al patrocinio a spese dello Stato……”
In presenza della idonea autocertificazione dell’istante, e dell’eventuale documentazione integrativa richiesta dall’art. 79 co.2 e co. 3 t.u. spese di giustizia, il giudice pertanto ammette l’imputato al beneficio del gratuito patrocinio.
Tale decisione, nel solo caso in cui segua alla presentazione dell’istanza in udienza, deve avvenire immediatamente a pena di nullità assoluta.
Tale nullità, evidentemente, come ormai ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, investe tutti gli atti successivi, e consequenziali, al compimento della fase procedimentale in cui è intervenuta l’istanza sino al momento della decisione sull’ammissibilità del richiesto beneficio.
La rilevanza della questione posta all’attenzione della Suprema Corte è notevole, posto che il giudice nel caso di specie non si era pronunciato immediatamente , con ciò nell’ottica del ricorrente, inficiando la validità degli atti successivamente emanati a seguito dell’istanza.
Nel caso in esame, la Suprema Corte ha ritenuto che il giudice non aveva il dovere di pronunciarsi immediatamente, posto che l’interrogatorio di cui all’art. 294 c.p.p., finalizzato alla legittimazione del provvedimento cautelare già adottato dal Gip, non può configurarsi come “udienza” in senso stretto.
Il codice, infatti, osservano i giudici, non contiene una definizione di “udienza”, per tale dovendosi intendere la durata giornaliera dell’attività giurisdizionale che il giudice svolge in contraddittorio tra le parti, al fine di prendere una decisione sull’istanza presentata da una delle medesime.
Per tale ragione, indi, non può intendersi “udienza” l’attività svolta in sede di interrogatorio di garanzia, giacchè in tal caso non vi è istanza della parte e non esiste obbligo di decisione formale del giudice, posto che questi ha il solo dovere di verificare, nel contatto con l’indiziato, se persistono le condizioni per la misura cautelare disposta, e quindi, se tali condizioni permangono, non emette alcuna decisione, provvedendo viceversa alla revoca o alla sostituzione della misura nel solo caso in cui quelle condizioni non sussistano.
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(Avv.Massimiliano Strampelli Comitato per il patrocinio penale dell’A.N.V.A.G. – 6/06)
 

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Infedele attestazione sulla percezione dei redditi ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio: non si tratta di “falso inutile”(Cass.Pen. Sez V n. 42060 del 9 ottobre 2007)

Infedele attestazione sulla percezione dei redditi ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio: non si tratta di “falso inutile”(Cass.Pen. Sez V n. 42060 del 9 ottobre 2007)
 
di Massimiliano Strampelli*
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il testo della sentenza in commento si trova nella biblioteca del sito www.anvag.it
 
 
Un recente arresto giurisprudenziale della Suprema Corte consente di fare chiarezza sulla rilevanza penale della falsa (inesatta) attestazione di percezione del reddito, quando quello effettivamente percepito, e non dichiarato dall’istante, consenta comunque a quest’ultimo di rientrare nei limiti di ammissibilità all’istituto del Patrocinio a spese dello Stato.
La sentenza in esame, quella n.42060/07 Sezione V^ pen. del 09.10.2007, in realtà è una pronuncia di inammissibilità, in considerazione delle censure di merito mosse dal ricorrente contro la sentenza impugnata, con la quale la Corte di Appello di Palermo aveva riconosciuto la penale responsabilità “nell’ipotesi di falsa attestazione sulla percezione di redditi, ai sensi dell’art. 5 l.217/90, anche nel caso in cui il reddito realmente percepito avrebbe ugualmente consentito l’ammissione del soggetto beneficiario al gratuito patrocinio”.
La pronuncia del giudice di legittimità, seppure resa incidenter tantum, in realtà si colloca in un filone giurisprudenziale (ved. Cassazione pen. sez. III^, 20 giugno 2006, Contino, n. 236267) che si caratterizza per il suo rigoroso orientamento, evidentemente non estraneo ad esigenze di tutela delle risorse pubbliche, a discapito dei principi generali del diritto penale in materia di falso inutile o innocuo.
L’arresto giurisprudenziale, che ad oggi costituisce il caposaldo di questo nuovo e rigoroso orientamento, è costituito dalla c.d. “sentenza Vitalone”( Cass.pen. sez. III^ n.28340 del 08.08.2006).
In questo caso, appunto, il giudice di legittimità, afferma che il bene giuridico protetto dalla norma, l’art. 5 co. 7 l.217/90 poi trasfuso nell’art. 95 d.p.r. 115/02, è rappresentato dalla pubblica fede che “viene lesa anche nell’ipotesi in cui la dichiarazione dell’istante circa le sue fonti di reddito, pur non decisiva, si appalesi tuttavia falsa”.
Le cadenze argomentative di questa autorevole pronuncia, ripercorrono i nuovi principi giurisprudenziali in materia di dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa al pubblico ufficiale. La Suprema Corte infatti, in questa materia, è da tempo orientata nel senso di ritenere integrato il reato di falsità ideologica pure nel caso in cui quanto dichiarato possa essere altrimenti verificato dal destinatario dell’atto; in tale ipotesi, infatti, si osserva da parte dei giudici, che deve escludersi la configurabilità del falso innocuo, atteso che l’innocuità del falso in atto pubblico non va ritenuta con riferimento all’uso che si intende fare del documento, ma solo se si esclude l’idoneità dell’atto falso ad ingannare comunque la fede pubblica (cfr. Cass.pen. sez. V^, n. 11681 del 30.09.1997 Rv. 209266).
In senso analogo, d’altronde, la Suprema Corte ha già chiarito l’obbligo per l’interessato di comunicare ogni variazione reddituale, anche nel caso in cui tale mutamento consenta comunque di rimanere nei limiti di reddito idonei a consentire l’ammissione all’istituto del patrocinio a spese dello Stato ( ved. Cass. Pen. sez. I^ n.14403 del 25.01.2001 Rv. 218932).
Queste considerazioni sono d’altronde avvalorate dal fatto che, tenuto conto del principio della tassatività dei casi revoca dell’ammissione, per effetto delle disposizioni riprodotte negli artt. 95 e 102 d.p.r. citato, ove non si accedesse a questa opzione ermeneutica, si assisterebbe al paradosso per cui la revoca sarebbe consentita in presenza di un’omessa comunicazione delle variazioni di reddito (anche se ininfluente rispetto al superamento del tetto reddituale) e non già, sebbene ugualmente ininfluente, per l’originaria in veritiera dichiarazione infedele.
La questione è comunque ancora lontana dall’aver trovato un approdo ermeneutico definitivo, se si pensi che anche il Procuratore Generale della Suprema Corte, nell’enunciare le proprie conclusioni nel procedimento di cui alla sentenza in commento, “fiutando” la gravità delle conseguenze sanzionatorie, aveva chiesto, associandosi alle richieste dell’imputato, l’annullamento della sentenza senza rinvio perché il fatto non sussiste.
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* (Massimiliano Strampelli presidente del Comitato per il patrocinio penale dell’A.N.V.A.G. – Associazione Nazionale Volontari Avvocati per il Gratuito patrocinio e la difesa dei non abbienti)
 

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Effettività dell'accesso alla giustizia (a margine del processo di Rignano Flaminio)

EFFETTIVITA' DELL'ACCESSO ALLA GIUSTIZIA (a margine del processo di Rignano Flaminio)
 
di Nicola Ianniello*
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Chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.723,84 può essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato (art.76 Dpr. 30 Maggio 2002 n. 115)
Se l'interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l'istante: nel processo penale, i limiti sono elevati di euro 1.032,91 per ognuno dei familiari (art. 82 ivi).
Si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.
A differenza della materia civile, nel procedimento penale l'istanza è presentata esclusivamente dall'interessato o dal difensore, ovvero inviata, a mezzo raccomandata, all'ufficio del magistrato innanzi al quale pende il processo. Se procede la Corte di cassazione, l'istanza è presentata all'ufficio del magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato.
La istanza può essere presentata dal difensore direttamente in udienza e nel caso di detenzione (art.83 legge cit.) all'inoltro provvede la polizia giudiziaria. In caso di impossibilità a produrre la documentazione richiesta questa è sostituita, a pena di inammissibilità, da una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell'interessato.
Nei dieci giorni successivi a quello in cui è stata presentata o è pervenuta l'istanza di ammissione, ovvero immediatamente, se la stessa è presentata in udienza, a norma dell'art.96 della legge suddetta, a pena di nullità assoluta ai sensi dell'articolo 179, comma 2, del codice di procedura penale, il magistrato davanti al quale pende il processo o il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato, se procede la Corte di cassazione, verificata l'ammissibilità dell'istanza, ammette l'interessato al patrocinio a spese dello Stato se, alla stregua della dichiarazione sostitutiva prevista dall'articolo 79, comma 1, lettera c), ricorrono le condizioni di reddito cui l'ammissione al beneficio è subordinata.
Nella materia penale, a differenza degli altri procedimenti, non è consentita la valutazione ad opera del giudice circa la manifesta infondatezza o meno delle ragioni del richiedente, e ciò non soltanto allorché si tratti d'imputato o indagato, ma anche quanto alle "parti non necessarie" (parte civile, responsabile civile, obbligato per la pena pecuniaria).
Il magistrato respinge tuttavia l'istanza - oltreché nelle ipotesi di esclusione di cui all'art. 91 legge cit. (cioè per l'indagato, l'imputato o il condannato di reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto (salvo ulteriori come da pacchetto di sicurezza) ed anche se il richiedente è assistito da più di un difensore) se vi sono fondati motivi per ritenere che l'interessato non versi nelle condizioni di cui agli articoli 76 e 92, tenuto conto del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari, e delle attività economiche eventualmente svolte.
A tale fine, prima di provvedere, il magistrato può trasmettere l'istanza, unitamente alla relativa dichiarazione sostitutiva, alla Guardia di Finanza per le necessarie verifiche.
Sul punto la Corte di Cassazione (Sez IV sent n. 12342/2003) ha ritenuto che legittimamente venga rifiutata la concessione del beneficio del gratuito patrocinio a colui che risulti, sulla base delle intercettazioni telefoniche, aver fruito di proventi da reato in misura eccedente i limiti previsti dalla legge per tale concessione. La sentenza trova conforto nella decisione della Corte Costituzionale 1992/144 laddove il Giudice delle leggi ha osservato che rilevano anche redditi non assoggettati ad imposta, vuoi perché non rientranti nella base imponibile, vuoi perché esenti, vuoi perché di fatto non hanno subito alcuna imposizione.
Rilevano pertanto anche redditi da attività illecite - che, secondo una giurisprudenza allora recente (Cass. pen. 22 marzo 1991 n. 3242), non sono sottoposti a tassazione - ovvero redditi per i quali è stata elusa l'imposizione fiscale.
Tali redditi sono poi accertabili con gli ordinari mezzi di prova, tra cui le presunzioni semplici previste dall'articolo 2739 c.c. (quali il tenore di vita ed altri fatti di emersione della percezione di redditi).
Fatte queste precisazioni, che sembrano doverose, ci permettiamo di non condividere le affermazioni pubblicate dalla stampa e attribuite ai difensori delle maestre nel noto processo di Rignano Flaminio i quali spiegano che alla loro richiesta di copia in dvd delle audizioni protette dei bambini con la messa a disposizione di 50 dischetti, la cancelleria ha negativamente risposto che per «insufficienza dei macchinari» non poteva fornire le copie.
A questo punto, poiché la spesa per le copie, come da tariffa, sarebbe ammontata a euro12.900 euro, i difensori hanno ritirato la richiesta aggiungendo che «queste spese andrebbero ad aggiungersi ad altre già sostenute, e non esaurirebbero quelle prevedibili per il resto del procedimento» mentre i loro assistiti pur non indigenti «non sono in condizione, tenendo conto degli oneri che il processo comporta» di affrontare spese simili «che anche in caso di esito positivo non verranno mai restituite» con la grave conseguenza che essi debbono «rinunciare alla richiesta, con tutte le conseguenze che ciò comporta anche sul piano del sacrificio dei diritti della difesa e facendo salva ogni deduzione ed eccezione in merito al prosieguo dell'incidente probatorio in evidenti condizioni di minorata difesa».
Non sembra condivisibile tale atteggiamento sol che si consideri che se al difensore per gratuito patrocinio vengono richiesti attitudini ed esperienza professionale (art 81 legge cit.) a maggior ragione tali condizioni devono sussistere nella ipotesi di difesa fiduciaria.
E se il difensore per gratuito patrocinio non può ignorare l’utilizzo di strumenti che la legge consente per la difesa attrezzata (ponendo i relativi esborsi a carico dell’erario) il difensore di fiducia ben può denunciare il rapporto fiduciario laddove non sia messo in condizione di esercitare una difesa competente e attrezzata.
Appare, quindi, inopportuna la precisazione fatta dai difensori che la rinuncia alla richiesta di ottenere le copie degli atti relativi all’incidente probatorio comporterebbe gravi conseguenze sul piano della difesa.
E’ vero, viceversa, che in Italia l’accesso alla giustizia non è effettivo e la legislazione di supporto per la classe dei non abbienti è insufficiente e produttiva di non poche occasioni di sperequazione sia tra le categorie di persone effettivamente destinatarie del beneficio e sia anche per quanto riguarda la valutazione dell’opera prestata dai soggetti che vi sono coinvolti.
In relazione al caso in esame, il cui enorme risalto mediatico è giustificato dagli enormi interessi all’esame, sembra necessario tornare a ribadire due considerazioni che sono state oggetto di precedenti studi e proposte ed entrambe legate al requisito dell’effettivo valore del processo.
Il valore (ovvero il prezzo) del processo, non è obbligatoriamente legato al valore della controversia ma riguarda essenzialmente la effettiva entità degli oneri che si presentano (in alcuni casi non preventivabili perché collegati alla evoluzione degli eventi ed al comportamento della parte avversa) ma che appaiono assolutamente necessari per una difesa competente e attrezzata.
a) in contrapposizione con quanto il legislatore si è preoccupato di precisare nella materia penale con la norma sopra richiamata (art 96 comma 2 legge cit.) e ciò al fine di restringere le ipotesi per la concessione del gratuito patrocinio, viceversa nella legislazione interna non esiste una norma di pari rango (ormai acquisita nella maggior parte degli altri paesi europei) che consenta al richiedente il patrocinio a spese dello Stato di avere la facoltà di dimostrare che non è in grado di sostenere le spese processuali anche se dispone di risorse superiori al limite stabilito dalla legge in rapporto alla consistenza ed agli oneri del procedimento giudiziario necessario.
E’pur vero che i limiti legislativi sono definiti alla luce di vari fattori quali il reddito, il patrimonio o la situazione familiare che vanno comunque valutati al fine di ritenere il richiedente meritevole o no del patrocinio gratuito.
“Se l’interpretazione strettamente letterale della normativa nel nostro ordinamento non concede alternative alla rigida considerazione della misura del reddito, tuttavia una interpretazione più attenta, per esempio, alla effettiva utilizzabilità e affidamento del patrimonio familiare, appare più conforme ai principi costituzionalmente sanciti sulla difesa del non abbiente. Se l’interpretazione strettamente letterale della normativa nel nostro ordinamento non concede alternative alla rigida considerazione della misura del reddito, tuttavia una interpretazione più attenta, per esempio, alla effettiva utilizzabilità e affidamento del patrimonio familiare, appare più conforme ai principi costituzionalmente sanciti sulla difesa del non abbiente.
E’ auspicabile un intervento del legislatore che possa conferire alla materia del gratuito patrocinio un maggior grado di equità nell’esame della situazione prospettata dal richiedente in rapporto alla sua reale potenzialità economica”.
 
Così scrivevo nel commento alla sentenza SANTAMBROGIO contro Italia del 21 settembre 2004, della Corte Europea Dei Diritti Dell'uomo di Strasburgo che ebbe a chiarire che “l’ammissione al gratuito patrocinio può essere soggetta a varie restrizioni da parte del legislatore nazionale non essendovi violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione europea dei Diritti Umani, allorquando la difesa è stata garantita alla parte per il tramite di un avvocato il cui compenso è stato onorato dai membri della sua famiglia” (l’articolo “A margine della sentenza…..” si trova nella biblioteca del sito www.anvag.it).
Sono ancora più convinto che, per esempio nella materia civile, l’attività che il legislatore ha chiesto agli Ordini forensi non è quella che si limita, come sembrano fare numerosi di essi se non la maggioranza, ad esaminare l’autodichiarazione circa la entità del reddito e ritenere in genere fondate le ragioni a base della richiesta.
E intanto la Legge 4 agosto 2006 n.248 ha stabilito che lo stanziamento previsto in bilancio per le spese di giustizia, come integrato ………..e' ridotto di 50 milioni di euro per l'anno 2006, di 100 milioni di euro per l'anno 2007 e di 200 milioni di euro a decorrere dal 2008!
b) la seconda considerazione che scaturisce dalla notizia data dalla stampa sulla decisione dei difensori di imputati nel processo di Rignano è in buona sostanza una nuova esortazione al legislatore.
E’ assolutamente necessaria la introduzione nella legislazione in materia di gratuito patrocinio della c.d. difesa parziale del non abbiente le cui condizioni economiche lo pongono in uno stato intermedio tra il benestante e colui che ha diritto alla difesa totale (attualmente con reddito imponibile pari a euro 9723,84).
Va cioè fissata la misura in percentuale (eventualmente con riferimento al probabile costo del processo) di partecipazione alle spese processuali.
Tale urgente disposizione, già in vigore in altri paesi europei, avrebbe l’effetto immediato di permettere una difesa più efficace ed attrezzata nelle ipotesi analoghe a quelle di cui ora ci occupiamo ed anche di far “avvertire” con maggior responsabilità all’interessato il peso della vertenza giudiziaria.
Nella materia civile la difesa parziale avrebbe anche l’effetto di far riflettere sui costi della giustizia per una lite che è nata o sta per nascere, proprio a quella fascia di persone che “avvertono” di essere povere perché desiderano beni che, seppur bombardati da offerte sui “media”, in realtà non potrebbero permettersi.
La partecipazione diretta (seppur parziale) alle spese del processo produrrebbe una maggior coscienza dei costi e degli adempimenti necessari e spesso complessi per giungere al verdetto (così nell’articolo del sottoscritto “La povertà in cifre” del luglio 2005 che si trova nella rubrica biblioteca del sito cit.).
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*(Avv.Nicola Ianniello presidente dell’A.N.V.A.G. – 01/08)

 

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Brevi spunti e proposte sulla difesa penale

BREVI SPUNTI E PROPOSTE SULLA DIFESA PENALE
 
 
 
Ben attento a non uscire fuori tema cercherò di illustrare, premettendo per assoluta correttezza, che quanto vado a rassegnare esprime un mio punto di vista personale, suffragato se vogliamo dall'esperienza di trentacinque anni di processi penali di ogni tipo e genere dalle stragi al misericordioso soccorso prestato al classico ladro di polli, mie riflessioni sul tema in oggetto.
 
Quindi ovviamente mi soffermerò sul processo penale con i dovuti richiami alla funzione dell'avvocato difensore.
 
Pare, ribadisco pare, che il troppe volte richiamato, quasi quale misteriosa divinità informe ed irresponsabile, legislatore si sia reso o si stia rendendo conto che l'ordine degli avvocati, cui siamo iscritti per libera scelta e dopo sudati studi, è categoria eterogenea rispetto ad ordine cavalleresco o ad ordine monastico.
 
Con la conseguenza ovvia che non si può chiedere a chi è, per dirla con Manzoni, " al mondo ", di vestire di sacco, francescanamente, e senza nemmeno il beneficio del refettorio, oppure di dover contare a presupposto dell'investitura su redditi di feudi.

 
Ergo ben doversi considerare che non è immorale parlare di attività lavorativa, certamente altamente qualificata, di spiegamento di energie non illimitate, di impiego di tempo a distogliersi dalla vita in famiglia, dal necessario riposo, e chi più ne ha più ne metta, di attività che deve comportare conseguenti e decorosi introiti (cosa ben diversa dall'elemosina occasionale e volontaria al frate e dal regale encomio al prode Lancillotto di turno che abbia salvato la damigella dalle fauci del drago) pur con tutte le resistenze probabilmente dovute alla necessità di tener stretti i cordoni della borsa ad aprirsi, rectius a sbracarsi, a favore di categorie più pesanti sotto il profilo politico (in senso lato: miniera di consensi, potere d'acquisto concesso a persone -ed a ben vedere le due cose si identificano -particolarmente e facilmente influenzabili nell'ottica di un consumismo peggio che infantile, idiota).
 
Così come pare che il famoso legislatore si stia rendendo conto che l'attività del difensore a favore del cittadino, in materia penale, a contrastare pretese punitive promananti dal sistema, lungi dal comportare disgregazione sia espressione, di civiltà.

 
E non solo nel rispetto dei diritti ineludibili del singolo, della persona, ma anche nell'interesse dello Stato come tale, atteso che, pure nella semplice logica del classico Bertoldo, la condanna di un innocente comporta che un colpevole l'abbia fatta franca.
 
Mi si permetta di dire che la " condanna esemplare " a fronte di fatti che ripugnano alla morale corrente e che destano allarme sociale senza l'utilizzo dello strumento critico connaturato al concetto di processo somiglia assai al sacrificio del capro espiatorio, o, peggio, alla necessità dello Stato o di sue particolari strutture di darsi autorevolezza col terrore. Oppure ancor peggio ad una paranoica presunzione di infallibilità, sempre di dette innominabili strutture..
 
E mi si permetta ancora di dire che rendere antieconomico, pericoloso oppure troppo difficile l'esercizio di un diritto è molto più elegante e purtroppo molto più efficace di negarlo. Per citare una frase attribuita ad un grande uomo politico contemporaneo " a pensar male forse si fa peccato, ma tante volte ci si azzecca ".
 
Patrocinio a spese dello Stato. Secondo un sottile distinguo della corte costituzionale istituto diverso rispetto al gratuito patrocinio.
 
Il classico signor Rossi , dovrà redigere circostanziata domanda presentata ad apposita struttura corredata da acconcia documentazione nella quale fra l'altro autocertifica modesti redditi con riferimento a precedente dichiarazione resa agli uffici fiscali competenti. Già la compilazione di questa domanda potrebbe richiedere l'intervento di un professionista o di una ulteriore struttura delegata ad hoc: l'ingegno italico è sommo quando si tratta di ottenere sussidi ma nella pratica vediamo che o detto signor Rossi è già assistito da un avvocato oppure che con santa pazienza delegato della struttura (nel nostro caso stipendiato dipendente del cavalleresco/monastico consiglio dell'ordine) lo assiste. Ciò fatto si riunirà una commissione (mista di monaci e cavalieri?) la quale dovrà stabilire se è il caso o meno di ammettere il cittadino a godere del diritto non rinunciabile ad essere difeso. La rispondenza al vero dei redditi è cosa che sfugge al controllo della detta commissione, ma al caso eterogenea struttura statale (la Guardia di Finanza) potrà effettuare opportune verifiche con eventuali conseguenze negative a carattere penale. Fortunatamente non sono previsti i "tratti di fune ad arbitrio di sua eccellenza ".
 
Espletata la difesa tecnica, in un coacervo del genere, questione quasi marginale, il difensore dovrà sottoporsi alle seguenti forche caudine:
 
1) procurarsi apposita documentazione a riprova di aver veramente difeso l'imputato;
 
2) redigere apposita dettagliata specifica corredata da quanto sub 1 e consegnarla al consiglio dell'ordine il quale verificherà se le voci esposte corrispondono alla tariffa professionale. Va rammentato che nel rapporto fiduciario il ricorso alla tariffa professionale presuppone la conflittualità fra cliente ed avvocato. Ad colorandum.
 
3) presentare tutto l'incarto al giudice che ha emesso la sentenza acciocchè il medesimo valuti in che misura l'opera professionale sia meritevole di retribuzione. Quindi quanto sub 2 si atteggia quasi a consilium sapientis di longobardica memoria.
 
4 ) trascorso il tempo dovuto, verrà emesso provvedimento giurisdizionale (niente meno) avverso il quale ovviamente è previsto reclamo gestendo la procedura " agevolata ", di imprevedibile durata, come dalla datatissima legge professionale .
 
5) gli atti verranno trasmessi alla procura della Repubblica alla quale è dato potere di opposizione; superata anche questa forca;
 
6) si andrà in lista d'attesa per l'emissione del famoso " modello 12 " il quale verrà trasmesso ad apposita struttura finanziaria (banca o posta) la quale, ovviamente in tempi ragionevoli e compatibili con le altre minute incombenze da sbrogliare, provvederà all'accredito.
 
E se Dio vuole è finita.
 
Ci si perdoni, ma almeno per chi scrive in questa iradiddio, l'aspetto processuale penale è una passeggiata.
 
Nel caso invece che di patrocinio a spese dello Stato non si possa parlare, vuoi per menefreghismo dell'interessato, vuoi perché il limite massimo di reddito fosse superato (e questo è un punto su cui bisognerà ritornare), nel caso classico della difesa d'ufficio da retribuirsi comunque nell'ottica della profonda riforma dell'istituto, qualora la parcella venga ignorata le cose (absit iniuria verbis) non sono così semplici.
 
Infatti, bisognerà procurarsi la prova di aver espletato le procedure necessarie per il recupero (ovviamente in via giurisdizionale) e che queste procedure si sono risolte in un nulla di fatto. Per dirla in soldoni bisognerà far causa all'imputato con le prevedibili sgradevoli reazioni del medesimo, con i tempi noti, e, ottenuto provvedimento di condanna, gestire l'esecuzione civile anticipando le spese del caso (competenza dell'ufficiale giudiziario, postali ecc.) le spese vive sfuggendo al disposto dell'articolo 32 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale.
 
E per mettere la classica ciliegina sulla classica torta, qualora ci trovassimo a gestire (e per ciò fare, come è noto occorre ulteriore abilitazione professionale) il processo penale nella delicatissima fase avanti la suprema corte di cassazione -spes ultima dea-l'infondatezza palese del ricorso, tale ad arbitrio delle loro eccellenze, comporta la caducazione del diritto alla retribuzione da parte dello Stato.
 
E, considerando che oltre alla ciliegina un poco di rosolio sulle torte non ci guasta, l’Alta Corte, a quanto risulta, non ha dichiarato in contrasto con i principi costituzionali del diritto alla retribuzione e del diritto alla difesa tutte queste belle cose. Nessun commento a scanso di uscir dal seminato.
 
Va rilevata a questo punto la necessità di correzione degli istituti.
 
In primo luogo il doppio passaggio consiglio dell'ordine-magistrato andrebbe eliminato. O il parere del consiglio dell'ordine sarà vincolante per il pagatore, oppure appare inutile scomodare un organo così già oberato e si lascerà tutto al giudice. Possibilmente con liquidazione contestuale degli onorari dal difensore dell'imputato, così come si fa per la parte civile, e come si faceva una volta ai tempi del superato gratuito patrocinio.
 
E questo (Cicero pro domo sua, se così si vuole) anche in cassazione atteso che, superata la declaratoria di inammissibilità, le forche caudine dianzi enumerate vanno percorse con l'ausilio di un collega o per posta avanti al giudice che ha emesso la sentenza gravata di ricorso. Dall' Alto Adige alla Sicilia.
 
Cosa poi possa valutare sull'impegno e sulla professionalità di un difensore un giudice che non lo ha potuto sentire, perché il processo è stato trattato avanti un altro rimane un mistero.
 
Infine sulla questione reddito.
 
Che è diritto d'essere difeso chi fino a prova contraria è ritenuto innocente e che versi in disagiate condizioni economiche, in sede penale è fuori discussione, considerato che non è segno di scarsa benevolenza degli dei l'essere indigenti. In sede civile (e questa è opinione personale) un filtro serio ci vuole atteso che non è diritto dell'indigente attaccar briga con chicchessia a spese di Pantalone.
 
Ma di quali introiti bisogna disporre per affrontare un maxi processo? Qui si tratta senza mezzi termini di adeguatamente compensare un avvocato che, magari fuori sede, per anni è inchiodato a un banco di tribunale, per forza di cose dovendo, se non trascurare, quantomeno limitare l'attività quotidiana sulla quale si fondano le legittime aspettative di decoroso reddito.
 
Ed a rafforzare l'ipotesi di assoluta inadeguatezza della normativa vigente all'attuale processo penale non va dimenticato che, essendosi, per così dire, il baricentro del processo spostato sempre più verso la fase delle indagini preliminari, occorre gestire informative spesso riservate e delicate almeno quando il caso si appalesi men che chiaro.
 
Offenderei l’intelligenza di qualunque addetto ai lavori se ponessi retorica domanda sulla scienza o meno dei costi che comportano un pedinamento, una controperizia scientifica su impronte digitali, su infinitesimi reperti organici, su tracce di esplosivo, oppure l’audizione di congruo numero di testimoni.
 
Chi scrive ancora ha nella testa un vecchio processo per omicidio preterintenzionale. In breve vi era stato uno scontro fra giovani (roba da tribunale dei minorenni) nel contesto di una partita di calcio amichevole e tutti gli spettatori dalle tribune avevano visto. O meglio erano convinti di avere visto.
 
Fortunatamente si dovette risolvere tutto in sede dibattimentale: oggi probabilmente per tirar fuori qualcosa di decente quei 30/40 testimoni bisognerebbe sentirseli in studio, o meglio ancora il luogo che consentisse riprese televisive. Non aggiungo altro, né dico in che condizioni si dovette lavorare da più colleghi in occasione di processi per strage nei quali doverosamente scrupolosi magistrati fecero fare le perizie all’estero mancando in Italia l’affidabilità di periti ed attrezzature.
 
Quindi dei jure condendo:
 
conferire il potere al consiglio dell’ordine di concedere il patrocinio a spese dello Stato, anche a persone non indigenti –ovviamente sarebbero casi limite, ma purtroppo non così infrequenti come si potrebbe pensare- quando ad approfondita relazione i costi previsti e prevedibili siano tali da mettere in ginocchio anche una persona agiata;
 
stabilire che l’onorario del difensore va liquidato dopo ogni fase e grado del procedimento dal magistrato che lo ha condotto, immediatamente al momento in cui si spoglia della sua funzione.
 
Con possibilità di reclamo in caso di ritenuta insufficienza ad un organo misto di magistrati ed avvocati. Previa ovviamente liquidazione “ sul tamburo “ nella cifra ritenuta a torto oppure a ragione adeguata.
 
Ed è facile replicare a chi prevedesse sfascio della finanza pubblica: 1) che i processi costano anche senza pagare gli avvocati. Basterà considerare quanto oramai è di dominio pubblico in materia di intercettazioni e perizie. Se si pagano i periti si possono pagare anche gli avvocati; 2) che fra tassa di registro e contributo unificato il sistema giustizia può contare su introiti enormi che ben possono essere trattenuti all’interno.
 
Forse sarebbe opportuno organizzare una raccolta di firme per sensibilizzare e l’opinione pubblica ed i politici, ma questo certamente non può essere fatto che da un’associazione così come la formalizzazione di queste richieste di modifiche non può non essere che frutto di lavoro di gruppo.
 
Avvocato Angelo Sibilio del comitato per il patrocinio penale dell’A.N.V.A.G.
10/2004
 
 
 

 

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Il difensore a spese dello Stato può nominare un sostituto processuale: brevi considerazioni a margine della sentenza delle SS.UU. pen. N.30433 del 13.07.04.

 
IL DIFENSORE PATROCINATORE A SPESE DELLO STATO NEL PROCESSO PENALE PUO’ NOMINARE UN SOSTITUTO PROCESSUALE CON RICONOSCIMENTO DELL’ONERE A CARICO DELL’ERARIO : brevi considerazioni a margine della sentenza delle SS.UU. pen. N.30433 del 13.07.04.
 
La sentenza che in questa sede viene brevemente commentata nei suoi principi fondamentali, espressi oramai a Sezioni Uniti dalla Suprema Corte, prende la mosse da un ricorso promosso dal P. G. presso la Corte di Appello di Palermo , che in sede di opposizione a decreto di pagamento, aveva rigettato la richiesta dallo stesso avanzata di non liquidazione degli onorari a carico dell’Erario per il sostituto processuale.
La tesi proposta dal P.G., infatti si basava su di una lettura letterale degli artt. 100 e 101 T.U. spese di giustizia, i quali espressamente dispongono : “ nei casi in cui trovano applicazione le norme della l.11/98, l’indagato, l’imputato o il condannato può nominare un secondo difensore per la partecipazione a distanza al processo penale, limitatamente agli atti che si compiono a distanza “ –“ il difensore della persona ammessa al patrocinio può nominare al fine di svolgere attività di investigazione difensiva , un sostituto o un investigatore privato autorizzato, residente nel distretto di corte di Appello dove ha sede il magistrato competente per il fatto per cui si procede”.
Come si vede, tale interpretazione, suffragata anche da un orientamento della IV sez. della Corte di Cassazione pen. (cfr. sent. 2 marzo 2004 ,Bracia e 15 aprile 2004 D’Agostino), si fonda sul presupposto che tale normativa sia di carattere speciale, e quindi limitativa delle facoltà riconosciute ordinariamente al titolare della difesa dall’art. 102 c.p.p. Si afferma infatti, alla stregua di questo indirizzo ermeneutico, che il difensore rimane certamente libero di nominare un sostituto processuale , ma che tale spesa non può certo gravare sulle casse dello Stato dovendo lui stesso provvedere a retribuire il collaboratore. Si aggiunge, ancora, (sic !) che questa ricostruzione del sistema non lederebbe certamente il diritto di difesa dell’assistito, posto che la nomina di un sostituto non comporterebbe la revoca dell’ammissione al beneficio, essendo ipotesi diversa da quella di nomina di un secondo difensore di cui all’art. 91 lett. B), e considerato comunque che gli atti compiuti dal sostituto processuale non sarebbero giammai nulli.
Scorrendo tra le righe di questo ragionamento, ci si consenta di dire che a delle volte i giudici sembrano vivere nel mondo dell’ “iperuranio” di Platoniana memoria, disancorati da qualsiasi contatto con la realtà del mondo dell’avvocatura, o ,il che sarebbe più grave, addirittura mossi da insondabili sentimenti di persecuzione verso quei professionisti che, paradossalmente difendono gli ultimi della società, anche per nobili sentimenti.
Come è possibile ritenere che il titolare della difesa debba retribuire il proprio sostituto processuale senza che lo Stato gli riconosca il rimborso di una spesa per la quale mai sarebbe stato rifondato? Deve forse, oltretutto rinunciare alla propria attività professionale concorrente per poter seguire tutte le udienze di un processo anche complesso?
E’ evidente che se così fosse, palese sarebbe la discriminazione di disciplina rispetto al difensore, di fiducia o di ufficio, non ammesso al patrocinio dello Stato.
Per fortuna le SS.UU. sono intervenute a dirimere il contrasto (e vien da sorridere a pensare che si è dovuto arrivare a tanto!) recuperando la ”ratio” della normativa sul patrocinio gratuito, affermando espressamente che la normativa di cui agli artt. 100 e101 T.U. non ha natura speciale, ma esclusivamente aggiuntiva rispetto a quella generale del c.p.p., rimanendo in facoltà del difensore di nominare ex. Art 102 c.p.p. un proprio sostituto processuale. Si è anche aggiunto, che tale pronuncia non inciderebbe comunque sull’Erario il quale sarebbe comunque stato costretto a corrispondere la stessa somma al titolare della difesa che avesse presenziato a tutti i singoli atti del processo.
In sostanza, si afferma ancora, in un excursus “storico” della legge sul patrocinio gratuito, che il nuovo T.U. non ha portata innovativa rispetto alla normativa 134/2001 in materia di patrocinio, la quale aveva espressamente abrogato le disposizioni della legge 217/90 che prevedevano il potere del difensore di nominare un sostituto ove fosse “legittimamente impedito e comunque autorizzato dal giudice”.
Infine merita anche un cenno l’altra questione analizzata dai giudici della Suprema Corte, che hanno riconosciuto la possibilità di nominare un sostituto processuale anche se non iscritto nell’elenco speciale di cui all’art. 81 T.U.. Anche in tal caso, come ormai è ovvio, la questione era stata sollevata dal P.G. in quanto l’art. 81 T.U. consentirebbe la nomina di un sostituto processuale solo se iscritto nell’apposito elenco, essendo ciò rispondente alla lettera della legge, e a quell’orientamento giurisprudenziale(avallato dalla Corte Costituzionale) che ritiene inammissibile l’istanza presentata dal difensore non iscritto nell’elenco, stante la natura tassativa dei requisiti in esso prescritti.
Orbene, riconoscendo la Suprema Corte (a Sezioni Unite) che nessuna norma impone al difensore di nominare un sostituto con i requisiti di cui all’art. 81 T.U., in quanto si afferma non essere rispondente allo “spirito della legge” tale interpretazione, implicitamente ci pare si affermi un riconoscimento della bontà della tesi di coloro, come la nostra associazione, che da tempo sostengono l’incongruità della norma di cui all’art. 81 T.U..
E’ facile infatti immaginare, che il più delle volte questi processi, anche per la mancanza di un immediato riscontro economico, possano essere di fatto seguiti da colleghi più giovani, non ancora iscritti all’albo speciale per il Patrocinio gratuito, che certamente sapranno con professionalità seguire il processo del “dominus”; ma allora, e con questa considerazione finiamo, per non tediare ulteriormente il lettore, perché già non riconoscere ormai in sede interpretativa l’anacronismo, ed il sostanziale arbitrio di una lettura dell’art. 81 T.U. che imponga la necessità dell’assistenza del cittadino da parte dei soli colleghi iscritti all’albo speciale?
(Avv. Massimiliano Strampelli del Comitato per il patrocinio penale dell’A.N.V.A.G.- 10/04)
Il testo della sentenza si trova in questo sito nella rubrica BIBLIOTECA/giurisprudenza
 

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Riflessioni sulla sentenza del Tribunale di Catanzaro 30 agosto 2004

Tribunale Penale di Catanzaro Sezione feriale-decreto 30 agosto 2004, n. 206
 
Secondo il Tribunale di Catanzaro le norme sul patrocinio a spese dello Stato, nella parte in cui limitano la facoltà di scelta dell’imputato ai soli iscritti in uno speciale elenco, si pongono in contrasto con la Convenzione europea sui diritti dell’uomo e vanno, perciò, disapplicate. L’imputato ammesso al patrocinio ha diritto di nominare suo difensore qualunque professionista, anche se non iscritto nello speciale elenco di cui all’art. 17 bis 217/90.
(il testo della sentenza si trova sul sito www.anvag/biblioteca/giurisprudenza.it
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La decisione, sebbene estremamente affascinante sotto il profilo della ricostruzione sistematica, non appare condivisibile dal punto di vista sostanziale, anzitutto per un errore tecnico del giudice, il quale ha attribuito natura di disposizione comunitaria a norme che non sono tali, ma vere e proprie convenzioni internazionali, la cui efficacia interna è stata assicurata dalle specifiche norme di ratifica.
In secondo luogo, sotto il profilo sostanziale, la normativa a cui ha fatto riferimento il giudice di merito prevede una tutela più ristretta rispetto a quella interna, facendo essa riferimento alla nomina del difensore di ufficio, a differenza del nostro Testo unico che prevede la gratuità del difensore con una relativa libertà di scelta del difensore attraverso gli appositi elenchi.
Sebbene, pertanto, non pienamente condivisibili in diritto, la citata decisione solleva ancora una volta la questione della libertà di scelta del difensore senza delimitazioni che, al momento, l’attuale assetto della normativa non consente di attuare. E’ pur vero che di recente, con la sentenza 26978/04 la Corte di Cassazione ha “legittimato” la circostanza che la nomina del difensore extra albo da parte del non abbiente non comporta conseguenze per l’ammesso al beneficio, ma solo per il difensore, il quale non potrà vedersi riconosciuto il dovuto onorario.
Sembra utile richiamare l’articolo pubblicato sul sito www.anvag/articoli.it “Un plauso dell’ANVAG al Consiglio dell’Ordine forense romano” ove viene favorevolmente commentata la delibera riguardante la libertà di scelta da parte del cittadino del proprio difensore tra gli iscritti all’albo ordinario.
E’ nota la posizione di detta associazione sul punto laddove si ritiene che la formazione degli elenchi previsti dal T.U. n.115/02 debba rispondere più che altro ad una esigenza di accettazione preventiva della difesa (non erano rare le rinunce agli incarichi conferiti dalle commissioni per il gratuito patrocinio sotto la vigenza della legge 3282 /23) una volta che il cittadino, sprovvisto di difensore personalmente scelto, chieda al competente Ordine forense la segnalazione di professionisti che possano offrirgli una assistenza processuale competente e attrezzata.
(Dott.Alessandro Gianturco- Comitato legislazione e ricerca dell’A.N.V.A.G.-11/04)

 

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Gratuito patrocinio e potere di revoca dell'ammissione

GRATUITO PATROCINIO E POTERE DI REVOCA DELL’AMMISSIONE
Breve commento a Cass. Pen. Sez. Un. ,10 settembre 2004 (c.c. 14 luglio 2004) –Pres. Marvulli- Rel. Cortese- P.m. Cesqui (diff.)- P., ricorrente
(Art. 112 T.U. spese di giustizia ).
“Non sussiste in capo al giudice un generale potere di revoca d’ufficio del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello stato, ed in particolare di disporre tale revoca sul presupposto della provata mancanza, originaria o sopravvenuta, delle prescritte condizioni di reddito in assenza della richiesta del competente ufficio finanziario. “
La massima si trova su www.anvag/biblioteca/giurisprudenza.it (corte di cassazione)

La pronuncia della Corte Suprema a Sezioni Unite prende le mosse da un’ordinanza della IV sez. che, rilevata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla legittimità della revoca d’ufficio dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, devolveva la relativa questione alle Sezioni Unite ( con ordinanza 5 febbraio 2004), osservando come la revoca d’ufficio fosse prevista dall’art. 112 T.U. spese di giustizia nei casi in cui l’interessato non avesse comunicato le variazioni di reddito o in difetto di altre comunicazioni che facessero venire meno il proprio diritto mentre, negli altri casi, la revoca per mancanza originaria o sopravvenuta delle condizioni di reddito dovesse essere subordinata alla richiesta dell’ufficio finanziario.
La questione, in sostanza , verteva sull’esistenza o meno di un potere di revoca ex officio, in sede di autotutela , in capo al giudice.
Invero la questione, è inficiata dalla natura giuridica che si riconosca al provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio. Se infatti si opina, come la più tradizionale giurisprudenza per la natura amministrativa dello stesso (Cass. Sez. I 22 settembre 1994 n. 199597, Boccuni; Cass. sez. I 12 novembre 1996 206113 Yeboha; Cass. Sez. III 12 ottobre 1999 214997 ,Carbonelli), giocoforza occorre riconoscere un generale potere di revoca ex officio in capo al giudice, derivante dal potere generale di autotutela della P.A che anche la giustizia amministrativa dei T.A.R. riconosce a prescindere da un’espressa disposizione di legge.
Sulla falsariga della pronuncia delle SS.UU. , a dire il vero, si era già pronunciata la Corte Costituzionale (con ordinanza 14 maggio 1999, n. 144) che aveva indi affermato che al di fuori dei casi all’epoca espressamente disciplinati dall’art. 10 l. 217/90 non fosse previsto un potere di revoca in ogni tempo del decreto di ammissione al patrocinio, come espressione della generale potestà di autotutela della p.a..
E’ chiaro che quest’affermazione, comportava quale ineludibile corollario la natura giurisdizionale del provvedimento del giudice di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Le SS.UU. hanno condiviso quest’autorevole orientamento giurisprudenziale, ricordando in primis la soggezione del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello stato al regime proprio degli atti giurisdizionali. Dunque, non più atto amministrativo soggetto ad un generale potere di autotutela della p.a., quanto piuttosto provvedimento con tutti i crismi della giurisdizionalità, ivi compreso la riconduzione al più generale principio del contraddittorio.
Contrariamente al prevalente e tradizionale indirizzo che, pertanto riteneva concorrere il potere del giudice di revocare d’ufficio il provvedimento di ammissione al patrocinio con quello originato dall’iniziativa dell’Ufficio delle Entrate, e ciò per il principio della sindacabilità giudiziale delle valutazioni tecniche di altri organi ( Cass. sez. III 29 novembre 2001 n. 221061 Di Stefano), le SS.UU. hanno in sostanza escluso che la prima decisione di ammissione fosse da ritenersi allo stato degli atti e pertanto soggetta ad una riserva di verifica qualora dovessero essere mutate le condizioni originarie o altrimenti fossero emersi motivi di inammissibilità originaria o successiva.
L’orientamento “sposato” è pertanto quello che già aveva affermato, sotto la vigenza della l. 217/90, la possibilità della revoca solo in presenza di una istanza della Direzione delle Entrate ( Cass. Sez. VI, 24 aprile 2001, Meci, n.219167), ritenendola condizione processuale indispensabile per iniziare il procedimento incidentale che si concluderebbe con un provvedimento ricorribile per cassazione (Cass. Sez. VI, 6 giugno 2001, Venuto, n. 219854 ; Cass. Sez. III 3 dicembre 2001, Musumeci, n.221104; Cass. Sez. IV , 11 dicembre 2002, Greco, n. 224082).
In conclusione, semplificando la questione le SS.UU. sono addivenute ad una conclusione in linea con un’interpretazione letterale della norma, riconoscendo ai sensi dell’art. 112 T.U. spese di giustizia il potere di revoca in capo al giudice nei soli limitati casi prefigurati dalla norma e cioè solo quando a) nei termini previsti dall’art. 79, co.1 lett. d), l’interessato non provvede a comunicare le eventuali variazioni dei limiti di reddito ; b) se, a seguito della comunicazione prevista dall’art. 79 co. 1 lett. d), le condizioni di reddito risultano variate in misura tale da escludere l’ammissione ; c) se, nei termini previsti dall’art. 94, comma 3, non sia stata prodotta la certificazione dell' autorità consolare; viceversa, ove ricorra l’ipotesi di cui alla lett. d) del T.U spese di giustizia, non esiste un concorrente potere di revoca ex officio del giudice ove risulti provata la mancanza originaria o sopravvenuta delle condizioni di reddito di cui agli art. 76 e 92, rimanendo in questo caso l’intervento giudiziale subordinato alla sola richiesta dell’ufficio finanziario competente.
Infine le SS.UU si sono poste il diverso problema dell’impugnazione del provvedimento di revoca d’ufficio dell’ammissione al patrocinio, sussistendo il dubbio se tale atto fosse immediatamente ricorribile per cassazione piuttosto che reclamabile ai sensi dell’art. 99 del T.U. spese di giustizia.
A dire il vero, al riguardo, una parte della giurisprudenza, per altro minoritaria, aveva ritenuto che il provvedimento di revoca non fosse direttamente impugnabile in cassazione, ma reclamabile sul presupposto che si venisse a creare una situazione analoga a quella dell’originario diniego (Cass. Sez. VI , 26 marzo 1998, Sinisi n. 211956 ; Cass. Sez. VI 10 marzo 2003, Nocera n. 226121) .
Successivamente, al contrario, la prevalente giurisprudenza, al pari dell’analoga ipotesi disciplinata dall’art. 113 T.U. per la revoca su istanza dell’Ufficio delle Entrate, aveva ritenuto che nei casi di revoca d’ufficio il provvedimento fosse immediatamente ricorribile per cassazione rimanendo precluso l’istituto del reclamo ( Cass. Sez. VI, 6 giugno 2001 Venuto n. 219854; Cass. Sez. III , 3 dicembre 2001, Musumeci n. 221104; Cass. Sez. IV , 11 dicembre 2002 ,Greco, n.224082).
Quid Iuris pertanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia revocato il provvedimento d’ammissione ex officio , al di fuori delle condizioni rigorosamente previste dalla legge? Anche su questo punto le SS.UU. hanno definitivamente fatto chiarezza statuendo che per tutti provvedimenti di revoca d’ufficio, compresi quelli emessi al di fuori delle condizioni di legge, debba valere il sistema dei rimedi previsti dall’art. 99 per l’originario provvedimento reiettivo, consentendosi così all’interessato il ricorso di cui al citato art. 99, con il successivo eventuale giudizio di cassazione. Nel solo caso di revoca disposta su istanza dell’Ufficio delle Entrate il provvedimento sarebbe pertanto immediatamente ricorribile per cassazione, saltandosi l’istituto di cui all’art. 99.
(Avv. Massimiliano Strampelli – Comitato per il patrocinio penale dell’ ANVAG)
12/04
 

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Processo penale e legittimazione del difensore a proporre ricorso per Cassazione ex art 86 c.p.c.

Processo penale e legittimazione del difensore a proporre ricorso per Cassazione ex art 86 c.p.c.
 
di Massimiliano Strampelli *
 
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Il testo della sentenza in commento della Corte di Cassazione SS.UU. penali del 30 gennaio 2007 n. 6816 si trova sul sito nella biblioteca
La sezione IV^ della Cassazione con due separate ordinanze rimetteva, in data 25 ottobre 2006, alle Sezioni Unite due distinte questioni di particolare interesse.
La prima questione concerneva la possibilità o meno del difensore ammesso al patrocinio a spese dello Stato di proporre personalmente ricorso per cassazione avverso il decreto di liquidazione degli onorari e spese in suo favore, e, in caso di risposta affermativa, se questi doveva essere iscritto all’albo speciale della corte di cassazione.
Le ordinanze sottolineavano anche la diversa questione relativa alla competenza del giudice in composizione monocratica nel caso in cui non fosse normativamente prevista una competenza in composizione monocratica degli organi collegiali (es. Corte di Appello e/o Trib. di Sorveglianza).
Per quanto riguarda la prima problematica, si deve ricordare che la giurisprudenza di legittimità, ha da sempre sostenuto che il procedimento incidentale di liquidazione dei compensi professionali, in virtù del suo carattere accessorio rispetto al processo penale principale, deve essere trattato e deciso secondo le regole procedurali del rito penale ( Cass. SS.UU., 24.11.99 n.25 Di Dona).
Con riguardo, invece alla legittimazione ad impugnare del difensore, due erano stati principalmente gli orientamenti della Suprema Corte. Il primo ( cfr. Cass.Sez. I^, 23 novembre 2004, n.48721; 8 agosto 2004 n.37170) che negava al difensore, anche se iscritto all’apposito albo speciale, la legittimazione a ricorrere in proprio, non potendosi riconoscere allo stesso la qualità di parte. Il secondo che, invece, riteneva ammissibile l’impugnazione dello stesso difensore a patto che, naturalmente fosse iscritto nell’apposito albo speciale ( Cass. Sez. IV^, 21.10.2003 n.642 De Caprio; 12.01.2006 n. 11978).
Sull’ulteriore questione, circa la composizione monocratica o collegiale dell’ufficio del giudice chiamato a pronunciarsi sull’opposizione al decreto di liquidazione, la Corte Costituzionale con ordinanza n.289/05, dichiarando la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 170 t.u. spese di giustizia, sollevata a proposito della previsione del giudice in composizione monocratica quale giudice dell’impugnazione avverso un provvedimento emesso dal giudice in composizione collegiale, avente ad oggetto il decreto di pagamento dei compensi professionali del difensore, lasciava sostanzialmente impregiudicata il problema di quegli uffici giudiziari, come la Corte di Appello e il Tribunale di Sorveglianza, che non prevedono la possibilità che la relativa funzione giurisdizionale sia esercitata anche in composizione monocratica.
Le SS.UU. prendendo atto che l’art. 613 co.1 c.p.p. consente, in deroga ai principi generali sul patrocinio, direttamente alla “parte” di sottoscrivere, ove trattasi di imputato, personalmente il ricorso per cassazione, hanno sottolineato la portata normativa del citato art. 170 t.u. spese di giustizia che opera esplicitamente un rinvio formale alla procedura speciale prevista per gli onorari di avvocato.
Conseguentemente, afferma la Corte, la procedura di liquidazione dei compensi al difensore ammesso al patrocinio a spese dello stato è di tipo misto, seguendo le regole del rito civile per quanto riguarda i termini di opposizione, la legittimazione processuale, l’onere della prova e il carico delle spese processuali, ed accedendo al rito penale per quanto riguarda la competenza.
Da tale natura mista, quale effetto immediato, discende la conseguenza che la legittimazione all’impugnazione del difensore è disciplinata, anche per quanto riguarda le forme, dagli artt. 82, 86 e 365 c.p.c.: per questi motivi, afferma autorevolmente la Suprema Corte, il difensore (purchè iscritto nell’apposito albo speciale ) è legittimato a presentare personalmente il ricorso per cassazione in materia di liquidazione delle sue competenze professionali, anche se il relativo procedimento incidentale è accessorio ad un processo penale principale.
La conclusione, quindi, è quella dell’applicazione del principio generale processualcivilistico della difesa personale della parte abilitata alla professione forense ex art. 86 c.p.c., in deroga pertanto al principio processualpenalistico della rappresentanza tecnica delle parti.
Sulla seconda questione rimessa all’attenzione delle SS.UU. circa l’interpretazione dell’art.170 t.u. spese di giustizia, in ordine alla composizione monocratica del giudice chiamato a pronunciarsi sull’opposizione in materia di reclamo sui provvedimenti di liquidazione emessi da organi giurisdizionali collegiali come la Corte di Appello ed il Tribunale di Sorveglianza, afferma i seguenti principi:
1) l’opposizione avverso il provvedimento di liquidazione sugli onorari del difensore ammesso al patrocinio a spese dello stato non è un’impugnazione, essendo piuttosto un rimedio giuridico straordinario che si propone funzionalmente al presidente dello stesso ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento, e non già ad un organo giudiziario sovraordinato.
2) sotto questo profilo, indi, essendo le Corti di Appello ed i Tribunali di Sorveglianza, chiamati a provvedere ex art. 170 T.u. spese di giustizia, equiparabili ad organi giudiziari di primo grado (perché esercitano le funzioni di giudice di prima istanza), sia pure in sede di opposizione, ne deriva che per essi valga sempre la regola generale del giudice in composizione monocratica (rectius il Presidente dell’ufficio giudiziario o giudice delegato).
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*(Avv. Massimiliano Strampelli presidente Comitato per il patrocinio penale dell’A.N.V.A.G.)-05/07
 

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Gratuito patrocinio per le vittime: è ancora una questione di reddito?

Gratuito Patrocinio per le vittime: è ancora una questione di reddito?
 
Il Ddl. n.733/09 approvato con emendamenti dal Senato della Repubblica il 5 febbraio scorso ha introdotto nel nostro ordinamento, come ormai è certo ( in attesa dell’approvazione definitiva della Camera dei Deputati) l’istituto del Patrocinio a spese dello Stato per le vittime dei reati di violenza sessuale.
Così infatti recita testualmente l’art. 41 che introduce il comma 4 ter nel corpo dell’art. 76 del d.p.r. 115/02: “ la persona offesa dai reati di cui agli articoli 609 bis, 609 quater e 609 octies del codice penale può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto. Agli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al comma 1 si provvede con gli ordinari stanziamenti di bilancio”.
Ebbene, la deroga ai limiti reddituali attualmente in vigore (€9.723,84) determina, evidentemente, una sostanziale modifica dell’istituto così come è stato tradizionalmente inteso.
Il legislatore, infatti, sembra prefigurare, sull’onda dell’emotività e della pubblica opinione, una atipica forma di agevolazione all’accesso del gratuito patrocinio per le vittime di reati, seppure gravissimi, provocando un vero e proprio stravolgimento fisiologico dell’istituto e aprendo la breccia a prevedibili questioni di legittimità costituzionale, in relazione alla differente disciplina rispetto ad altre figure di reato altrettanto gravi, come, ad esempio, il tentativo di omicidio.
L’Anvag ha sempre propugnato il miglioramento dell’istituto nel solco dei principi costituzionali di eguaglianza in armonia con le norme dell’ordinamento internazionale di natura pattizia e sempre al fine di agevolare l’accesso alla Giustizia da parte del cittadino che si trova in difficoltà obbiettive di non poter sostenere i costi della assistenza e difesa giudiziale ed extragiudiziale.
A meno che il nostro legislatore con l’iniziativa in oggetto non voglia dimostrare che sono maturi i tempi per introdurre anche in Italia un principio che in altri Paesi è già realtà come quello che è inserito nella disciplina dell’istituto dell’aiuto giudiziario in Francia laddove si legge che “L’aide juridictionelle peut etre accordée à titre exceptionnel aux personnes pas les conditions fixées a l’alinéa précédent lorsque leur situation apparaît particulièrement digne d’intéret au regard de l’objet du litige ou des charges prévisibles du procès ».
 
(Avv Nicola Ianniello presidente ANVAG-Associazione Nazionale Volontari Avvocati per il Gratuito patrocinio e la difesa dei non abbienti-febbraio 2009)
 

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False dichiarazioni sul reddito: è reato

 

Le Sezioni Unite Penali si pronunciano sulle false dichiarazioni sul reddito comunque rientranti nei limiti di legge: è reato
 
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di Massimiliano Strampelli*
 
E’ recentemente intervenuta una rilevante pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite in ordine alla giuridica configurabilità del reato di cui all’art. 95 d.p.r. 115/02, nel caso in cui le false dichiarazioni sul reddito da parte dell’istante,avrebbero comunque consentito allo stesso di accedere al beneficio del Patrocinio a spese dello Stato.
Questo l’antefatto; la sig.ra Infanti veniva condannata, con giudizio abbreviato, in primo e secondo grado dal Tribunale e dalla Corte di Appello di Palermo alla pena di mesi otto di reclusione ed euro 220 di multa per aver dichiarato, in sede di ammissione al patrocinio a spese dello Stato dinnanzi al Tribunale di Sorveglianza di Palermo, di non essere titolare di redditi, quando invece a seguito di istruttoria dell’amministrazione finanziaria era successivamente risultata titolare di un immobile e di un’autovettura.
Il difensore proponeva ricorso per Cassazione per violazione di legge argomentando sulla base dei principi propri della sentenza “Bevilacqua” (Cass.Sez. V^ n.16338 del 12.05.06), secondo cui non sussistono gli estremi di reato se il fatto non si sostanzi nella falsa dichiarazione di un reddito inferiore a quello fissato dalla legge per quale soglia di ammissibilità al beneficio.
La IV^ Sezione della Corte di Cassazione assegnataria del procedimento in oggetto, facendo proprio l’orientamento opposto espresso dalla sentenza “Contino” (n.28340 del 20.06.06) rimetteva il ricorso alle SS.UU. affinchè si pronunciassero sul principio di diritto.
Questi in sintesi le argomentazioni poste a fondamento delle contrapposte tesi:
 
Sentenza Bevilacqua:
 

  • la norma di cui all’art. 95 d.p.r. 115/02 è speciale rispetto a quella di cui all’art. 483 c.p. e, rinviando all’art. 79 co .1 lett. b) c) e d) , incorpora nella fattispecie criminosa solo alcune condotte di alterazione del vero;
  • queste condotte si riassumono nella falsa attestazione di avere un reddito inferiore a quello fissato dalla legge quale soglia di ammissibilità, ovvero nella negazione o nascondimento di mutamenti significativi per esso intervenuti, ai fini della valutazione dell’eventuale superamento della stessa soglia;
  • pertanto non rileva qualsiasi infedele attestazione, ma solo quelle che abbiano, quale conseguenza, l’inganno potenziale o effettivo del destinatario della dichiarazione sostitutiva (lett. c.) . E tra esse non rientrano quelle che occultino redditi il cui ammontare non implichi superamento del limite, che esclude il diritto di ammissione;

 
Sentenza Contino:
 

  • la norma di cui all’art. 95 d.p.r. 115/02 prevede l’elemento psicologico del dolo generico e “l’ottenimento o il mantenimento del beneficio” solo quale circostanza aggravante, che determina semmai la revoca ex tunc del beneficio già concesso;
  • la revoca ex art. 112 d.p.r. è parimenti determinata anche dalla omessa comunicazione delle variazioni di reddito, per quanto non tali da implicare il superamento delle condizioni di mantenimento;
  • il falso ha la ragione propria di punibilità nell’oggetto giuridico da tutelarsi: la “pubblica fede”, non essendovi in materia discrezionalità alcuna da parte del soggetto da ammettere al beneficio;

 
Sentenza Scumaci:
 

  • in posizione intermedia si pone quella giurisprudenza ved. Cass. Sez. IV^ n.41306/07 imp. Scumaci che afferma che la dichiarazione sostitutiva di cui all’art. 79, richiamata dall’art. 95, concerne i soli redditi;
  • pertanto la dichiarazione delle condizioni di reddito non concerne più i diritti reali su immobili o mobili registrati, ed il reato non sussiste se è falsa;

 
 
Le Sezioni Unite invece così argomentano:
 
ü      con l’entrata in vigore della l.134/01 parzialmente modificativa della legge sul gratuito patrocinio, il legislatore ha accentuato l’onere dell’istante ai fini della prova delle sue condizioni di reddito, qualificando sostitutiva la dichiarazione incorporata nell’istanza, con il richiamo all’art. 46/1 ° lett o) del dpr 445/00 nell’art. 79/1° co. lett c) del dpr 115/02 cui rinvia l’art. 95;
ü      all’uopo l’art. 79 /1 lett.c) prevede che la dichiarazione attesti “la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, secondo le modalità determinate dall’art. 76”; i singoli dati reddituali sono dunque oggetto indiscriminato di attestazione.
ü      la dichiarazione, dunque, non ha ad oggetto la sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, bensì i dati da cui l’istante la induce quale risultato; e posto che la dichiarazione sostitutiva è incriminabile per la falsità dei dati, la stessa evidentemente si configura in relazione alla “parte descrittiva” dell’atto;
La “ratio” del’incriminazione, è dunque individuabile al generale principio antielusivo (ved. Cass.Civ. n.10257/08 e 25374/08) e sul dovere di lealtà del singolo verso le Istituzioni, prescindendo la punibilità del reato dal danno in concreto cagionato all’Erario.
Non risulta indi giustificata l’affermazione di inutilità o innocuità della falsità, che non risulta per giunta prevista da alcuna norma incriminatrice.
Anzi, al contrario, l’evento di danno per le casse dell’Erario, costituisce specifica circostanza aggravante di un reato, quello previsto dall’art. 95 dp.r. che rimane essenzialmente di pericolo.
Concludendo, l’inganno potenziale, e quindi la rilevanza penale della condotta, sussiste quand’anche le alterazioni od omissioni di fatti veri risultino poi ininfluenti per il superamento del limite reddituale previsto dalla legge per l’ammissione al beneficio.
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Le sentenze commentate si trovano sul sito della associazione www.anvag.it nella rubrica Biblioteca/Giurisprudenza/Corte di Cassazione
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*Avv Massimiliano Strampelli, presidente del Comitato Nazionale per il patrocinio penale dell’A.N.V.A.G. Associazione Nazionale Volontari Avvocati per il Gratuito patrocinio e la difesa dei non abbienti-06/09)
 

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