Tribunale di Padova - Sezione penale - ordinanza 17 luglio 2004, n. 200 - Giudice Fabiani
Il difensore d'ufficio di imputato non irreperibile ha diritto ad ottenere dallo Stato la liquidazione dei compensi per l'attività defensionale svolta nel processo penale, ma non anche la rifusione delle spese e degli onorari relativi alle procedure che abbia dovuto inutilmente esperire in sede civile per il recupero del credito professionale nei confronti del suo assistito.
Premesso che
Il Tribunale di Padova ha liquidato in favore dell'opponente la somma di euro 1474,45, oltre ad accessori di legge, per gli onorari e le spese della difesa d'ufficio escludendo la liquidazione dell'ulteriore somma di euro 2783,86 richiesta per onorari e spese relative alla procedura di recupero in sede civile del credito professionale, inutilmente esperita.
La mancata liquidazione delle spese per la procedura di recupero del credito, che costituisce l'unica questione dedotta con l'atto di opposizione, è stata motivata con il ricorso congiunto ad argomenti interpretativi di ordine letterale, logico e sistematico;
dal punto di vista letterale il Tribunale osserva che le parole usate dal legislatore nell'articolo 116 ("l'onorario e le spese spettanti al difensore") sono identiche a quelle dell'articolo 82 (liquidazione degli onorari per i difensori delle persone ammesse al gratuito patrocinio), dell'articolo 1115 (onorari dei difensori degli imputati ammessi ai programmi di protezione), e dell'articolo 117 (onorari dei difensori degli imputati irreperibili): alla medesimezza delle espressioni letterali non può che corrispondere un'identità di concetti nel senso che in tutti i casi le somme liquidabili in favore del difensore sono soltanto quelle relative ai compensi per l'attività prestata nell'ambito del procedimento penale;
dal punto di vista sistematico si rileva che la disciplina agevolativa delle procedure per il recupero dei crediti professionali del difensore di ufficio nel processo penale è specificamente delineata dall'articolo 32, comma 1, delle disposizioni attuative del c.p.p. (norma ancora in vigore in base all'articolo 299 del Dpr 115/02) che prevede soltanto l'esenzione da imposte, bolli e spese;
dal punto di vista logico il citato articolo 116 del decreto sulla disciplina delle spese di giustizia si pone come eccezione al principio generale secondo il quale il difensore d'ufficio dell'indagato, dell'imputato e del condannato deve essere retribuito dalla persona in favore della quale è prestata la sua attività professionale (articolo 31 disp. att. c.p.p. e 369bis del c.p.p.): in quanto norma eccezionale essa non può ricevere un'interpretazione estensiva; se interpretata diversamente la norma in esame sarebbe infine manifestamente irragionevole posto che le spese per le procedure di recupero possono essere molto più elevate degli onorari maturati per la difesa nel procedimento penale (come puntualmente accaduto nel caso di specie); che il loro concreto dimensionamento è in definitiva rimesso alle scelte insindacabili del difensore sulla natura e tipologia della procedura da intraprendere; che infine esse sono destinate di fatto a restare a carico dello Stato essendo più che aleatorie le reali possibilità di recupero nei confronti del debitore inutilmente esecutato; l'avvocato Pucci si oppone al decreto del Tribunale richiedendo la liquidazione di spese onorari e diritti relativi al recupero del credito di euro 2111,45 (oltre ad accessori di legge), comprensiva delle spese di domiciliazione (euro 234,45) presso l'Avvocato Marco Severgnini per le notifiche eseguite nel circondario del Tribunale di Crema competente per l'esecuzione in danno del debitore Limongello;
secondo l'opponente, essendo il diritto del difensore d'ufficio ad ottenere dallo Stato l'anticipazione delle spese e dei compensi per l'attività svolta nel processo penale, condizionato all'infruttuoso esperimento delle procedure esperite in sede civilistica per il recupero del suo credito professionale nei confronti del debitore/cliente, la norma in esame deve essere necessariamente interpretata nel senso che al difensore spetti altresì la liquidazione dei compensi relativi a quelle procedure;
una opposta interpretazione infatti, si porrebbe in contrasto con l'articolo 36 della Costituzione perché la retribuzione del difensore non sarebbe adeguata all'impegno professionale complessivamente dispiegato e finirebbe comunque con il vanificare la ratio dell'articolo 116 del Dpr 115/02, che è quella di assicurare l'effettività della difesa d'ufficio garantendo la retribuzione del difensore;
evidenziando inoltre il parallelismo con la questione decisa dalla Corte Costituzionale con l'ordinanza 348/03 l'avv. Pucci sostiene poi che disconoscere i compensi spettanti al difensore d'ufficio in rapporto all'attività processual-civilistica posta in essere per provare l'incapienza del proprio debitore non irreperibile, comporterebbe una immotivata sperequazione a favore del difensore d'ufficio di persona irreperibile che può ottenere subito il suo compenso senza nulla dover fare in quanto i presupposti della liquidazione a suo favore (cioè l'irreperibilità) viene accertata dagli organi giudiziari a norma dell'articolo 159 c.p.p.;
sempre al fine di sostenere l'esattezza della tesi prospettata, l'opponente pone in risalto che lo Stato, nell'attività di recupero verso l'imputato delle somme anticipate al suo difensore d'ufficio, ha a disposizione strumenti molto più efficaci di quelli del difensore stesso il quale non ha accesso, se non con possibilità molto limitata e comunque con impegno spropositato, ai sistemi informativi di uffici, enti ed istituti (Ufficio del lavoro, conservatoria dei registri immobiliari, Pra, cancellerie degli uffici giudiziari, circuito creditizio ed assicurativo) che detengono le informazioni indispensabili per una efficace azione di recupero;
all'atto di opposizione sono anche allegati tre decreti emessi da differenti giudici del Tribunale di Padova in data 25 ottobre 2003, 31 marzo 2003 e 2 febbraio 2004 che hanno liquidato in favore dell'opponente, come difensore d'ufficio in altri procedimenti, i compensi per le procedure esperite in sede civile per il recupero del credito professionale; nonché un'ordinanza in data 18 luglio 2002 del Tribunale monocratico di Roma nella quale si fa riferimento alla necessita per l'Erario di anticipare al difensore d'ufficio anche le spese e gli onorari per la procedura di recupero prescelta.
Osserva
Nessun significativo parallelismo può in primo luogo ravvisarsi con la questione di legittimità dell'articolo 117 del Dpr 115/02, sollevata dal Tribunale di Pisa e ritenuta dalla Corte Costituzionale (con l'ordinanza 348/03) manifestamente inammissibile perché il giudice a quo non aveva verificato la possibilità di pervenire in via interpretativa ad una soluzione tale da risolvere in senso conforme all'articolo 3 della Costituzione la prospettata disparità di trattamento, quanto alla liquidazione dei compensi, tra il difensore d'ufficio dell'imputato dichiarato irreperibile nel processo penale ex articolo 159 del codice di rito (c.d. "irreperibile di diritto") ed il difensore d'ufficio dell'imputato la cui irreperibilità sia sopravvenuta (irreperibile "di fatto"). Ed in effetti, al riguardo, tenuto conto della sostanziale equiparazione quoad effectum, nel vigente sistema processuale, delle due forme di irreperibilità, è del tutto ragionevole interpretare il richiamato articolo 117 del T.U. sulle spese di giustizia nel senso che i compensi per la difesa nel processo penale spettino anche al difensore d'ufficio dell'irreperibile "di fatto"; interpretazione peraltro, già accolta dalla Corte di Cassazione con la sentenza 32284/03 (Ced Cassazione Civile rv 225117). Ma tale soluzione interpretativa, tutta interna alla disciplina di cui all'articolo 117 del T.U., non influisce sulla diversa questione prospettata nel presente giudizio, che riguarda il diritto del difensore d'ufficio di imputato non irreperibile ad ottenere in via anticipatoria dallo Stato, oltre alla liquidazione dei compensi per l'attività defensionale svolta nel processo penale, anche quella di diritti, spese ed onorari relativi alle procedure che, in base a quanto previsto dall'articolo 116 del T.U., abbia dovuto esperire in sede civilistica, per il recupero del credito professionale nei confronti del suo assistito.
Per la soluzione di tale questione possono essere formulati due distinti ordini di considerazioni.
Il primo di essi attiene all'individuazione di quella che deve ritenersi, alla stregua dei consueti criteri ermeneutici l'interpretazione più corretta dell'articolo 116, secondo il quale, come è noto, "gli onorari e le spese spettanti al difensore d'ufficio (ed il riferimento è ovviamente, tenuto conto di quanto disposto dall'articolo successivo, al difensore d'ufficio di persona non irreperibile) sono liquidati dal magistrato nella misura e con le modalità previste dall'articolo 82 quando il difensore dimostri di aver inutilmente esperito le procedure per il recupero dei crediti professionali".
Sotto tale primo aspetto si ritiene pienamente condivisibile la conclusione cui è pervenuto il Tribunale di Padova sulla base delle sopra esposte argomentazioni di tipo letterale, logico e sistematico.
Ad esse può aggiungersi, sviluppando uno degli argomenti presi in esame dal Tribunale, che la presenza di una norma agevolativa come quella di cui all'articolo 32, comma 1 delle disposizioni di attuazione del c.p.p., sembra presupporre di per sé una regola secondo la quale gli oneri economici afferenti alle procedure intraprese dal difensore di ufficio per il recupero dei crediti professionali siano destinati, in via generale, a restare a carico del professionista; solo così infatti l'agevolazione ha un suo senso logico compiuto, perché se gli oneri predetti, nel caso di esito infruttuoso delle procedure dovessero essere anticipate dallo Stato, l'esenzione da spese e imposte costituirebbe, direttamente od indirettamente, nulla più che una mera partita di giro.
Né, per altro aspetto, l'interpretazione accolta appare incompatibile sul piano logico, come sostenuto dall'avvocato Pucci, con la ratio legis che pure è sicuramente quella di conferire maggiore effettività alla difesa di ufficio nel processo penale.
E' agevole infatti rilevare che la scelta innovativa di addossarne all'erario l'onere economico ponendo a carico dello Stato l'obbligo di garantire la corresponsione dei compensi spettanti al difensore, operata dal legislatore con l'articolo 17 della legge 60/2001 (che ha sostituito l'articolo 32 delle disposizioni di attuazione del c.p.p., poi sostanzialmente trasfuso, ad eccezione del suo comma 1, nell'articolo 116 del T.U. sulle spese di giustizia), può ben essere sottoposto, dal punto di vista logico (così come da quello della conformità alle norme costituzionali) a condizioni e a limiti nella sua operatività e nei suoi contenuti.
Ed anzi solo con tali limiti e condizioni la disposizione in esame può porsi come punto di equilibrato contemperamento tra l'esigenza di assicurare l'effettività della difesa d'ufficio e l'esigenza, contrapposta alla prima, ma avente pari livello primario, di evitare un'eccessiva dilatazione degli oneri economici gravanti sul bilancio dello Stato.
Se è vero infatti che il difensore d'ufficio non potrà ottenere dallo Stato l'anticipazione delle competenze relative alle procedure intraprese in sede civile per il recupero del suo credito professionale, è altresì vero che l'onere economico a suo carico è in definitiva ragionevolmente limitato posto che le procedure in questione sono del tutto esenti da imposte e spese e che il difensore è tecnicamente e professionalmente qualificato ad esperirle in proprio, sicché non è costretto ad effettivi e diretti esborsi pecuniari, salvo eventuali e comunque limitate ipotesi di domiciliazione obbligatoria.
Quanto poi agli ostacoli di ordine pratico che il difensore d'ufficio può incontrare per porre in essere un'efficace azione di recupero del credito professionale, le considerazioni svolte dall'avvocato Pucci non rilevano per la soluzione del problema interpretativo di cui al presente giudizio di opposizione; fermo restando che di esse può e deve tenersi conto in relazione al quantum di prova ragionevolmente esigibile ai fini della dimostrazione di un infruttuoso esperimento delle procedure intraprese.
E' appena il caso di notare che le contrarie statuizioni di alcuni giudici di merito, anche del Tribunale di Padova, contenute nei decreti di pagamento prodotti dall'opponente a sostegno della sua tesi, così come pure dell'ordinanza 19 luglio 2002 del Tribunale di Roma, sono del tutto prive della benché minima motivazione e dimostrano in modo evidente che i giudici liquidatori non si sono neanche posti il problema interpretativo; sul quale d'altronde non risulta allo stato essersi delineato alcun indirizzo della giurisprudenza di legittimità.
L'articolo 116 del Dpr 115/02, deve dunque essere interpretato, a parere del giudicante, nel senso che esso non prevede l'anticipazione da parte dello Stato, delle competenze spettanti al difensore d'ufficio per le procedure esperite in sede civile per il recupero del suo credito professionale.
Vi è però un secondo aspetto della questione, pure prospettato dall'opponente, concernente la compatibilità di tale interpretazione dell'articolo 116 del T.U., e della disciplina che da essa discende, con alcuni principi della Costituzione.
In particolare, come riferito nelle premesse, l'avvocato Pucci sostiene che l'interpretazione accolta finisce per violare il diritto alla retribuzione costituzionalmente garantito dall'articolo 36 e costituisce una immotivata sperequazione a vantaggio del difensore d'ufficio di persona irreperibile (articolo 117 del T.U.) il quale può ottenere il suo compenso per l'attività professionale svolta nel processo penale, senza essere costretto ad un previo tentativo di recupero del suo credito, i cui oneri economici sono destinati a rimanere a suo carico.
Ad opposte conclusioni deve tuttavia pervenirsi sol che si consideri ancora una volta quelle che sono le linee generali dell'impianto normativo in materia di costi della difesa d'ufficio nei processi penali.
Al di fuori dei casi in cui ricorrono le condizioni per l'ammissione al patrocinio cosiddetto gratuito (articolo 76 del T.U. più volte citato), resta fermo il principio che i compensi spettanti al difensore d'ufficio devono essere corrisposti dalla persona a favore della quale l'attività defensionale è stata prestata, persona che rimane dunque il soggetto passivo principale della relativa obbligazione (articolo 31 delle disposizioni di attuazione e 369bis lettera d) del c.p.p.).
Poiché però la difesa d'ufficio rappresenta un rilevante interesse collettivo, essa viene disciplinata per alcuni aspetti (obbligatorietà dell'ufficio; necessità dell'iscrizione in appositi elenchi delle persone chiamate a svolgere l'incarico) come una funzione pubblica e lo Stato se ne addossa gli oneri economici, anticipando i compensi spettanti al difensore e riservandosi il diritto di ripeterli nei confronti del principale obbligato.
L'intervento dello Stato è tuttavia sussidiario e limitato; sussidiario perché la sua operatività è condizionata all'impossibilità per il difensore di ottenere il pagamento del suo credito dal cliente/debitore; e limitato perché i compensi non possono esser liquidati in misura eccedente i valori medi tariffari e perché il difensore assume l'onere, anche economico, di dimostrare l'impossibilità di riscuotere il suo credito con le procedure di recupero civilistiche (peraltro agevolate con esenzione da spese imposte e bolli).
Nell'ambito di tale sistema appare non appropriato il riferimento dell'avvocato Pucci alla tutela del proprio diritto costituzionale alla retribuzione per l'attività professionale svolta come difensore d'ufficio; tale diritto è infatti adeguatamente tutelato, non diversamente d'altronde da quanto avviene per ogni altro lavoratore autonomo o subordinato, mediante l'imposizione a carico di chi fruisce della prestazione lavorativa, dell'obbligo giuridico di corrispondere al professionista il compenso, determinato in conformità alla tariffe professionali, anche in relazione all'ulteriore attività professionale dispiegata per il soddisfacimento in via coattiva del suo credito;
che poi il concreto realizzo del diritto di credito del difensore d'ufficio possa essere impedito dalle condizioni di solvibilità del suo debitore, è evenienza anch'essa comune ad ogni situazione giuridica patrimoniale; con la peculiare differenza che, per il rilevante interesse pubblicistico inerente all'effettività delle difese d'ufficio, nel caso di impossibilità di recupero del credito, lo Stato interviene assumendosi l'onere di anticipare al difensore il compenso dovutogli, nei limiti previsti per il patrocinio dei non abbienti, surrogandosi nelle sue ragioni di credito verso l'assistito insolvente.
Sicché, anche considerando che l'onere economico di dimostrare l'impossibilità del recupero grava sul difensore, il suo diritto alla retribuzione risulta rafforzato e non certamente sminuito dal sistema sopra delineato.
Quanto infine al più favorevole trattamento riservato al difensore di persona irreperibile, esso deriva dalla scelta del legislatore di considerare la situazione di irreperibilità di per sé dimostrativa dell'inutilità di esperire, finché tale stato perdura, procedure esecutive nei confronti dell'irreperibile; e della conseguente determinazione di esentare il difensore da ogni onere di dimostrazione tramite tentativi di recupero destinati a rimanere infruttuosi. Si tratta di una scelta non estranea al nostro sistema normativo (v. ad esempio, l'articolo 219 dello stesso T.U.) e certamente non ingiustificata ove si consideri la macchinosità delle procedure civilistiche di recupero crediti nei confronti di persone irreperibili e soprattutto ove si consideri quello che è, nella stragrande maggioranza dei casi, l'esito di tali procedure quando siano poste in essere.
Analoga presunzione di impossibilità di recupero del credito professionale e di conseguente inutilità dell'esperimento delle procedure esecutive, non può invece essere ragionevolmente formulata nei confronti di persona che sia reperibile, e che non abbia chiesto ed ottenuto l'ammissione al patrocino; ed è proprio per tale diversità di presupposti che appare del tutto giustificata la differente disciplina delineata dall'articolo 116 del T.U.
Anche sotto tale ultimo aspetto pertanto l'opposizione proposta dall'avvocato Pucci non può essere accolta.
PQM
Visti gli articoli 84 e 170 del Dpr 115/02 rigetta l'opposizione proposta dall'avvocato Enrico Pucci avverso il decreto di liquidazione compensi emesso il 12 febbraio 2004 dal Tribunale di Padova.
Si notifichi agli interessati.