Legislazione e ricerca

Legislazione e ricerca

Gratuito patrocinio ad accesso ristretto con le modifiche apportate dal c.d. pacchetto sicurezza

Gratuito patrocinio ad accesso ristretto con le modifiche apportate dal c.d. pacchetto sicurezza
 
Di Massimiliano Strampelli*
 
__________________________
 
Il testo unico sulle spese di giustizia, il d.p.r. 115/02, ha subito in considerazione della legge 125/08 delle significative modificazioni che sembrano, ad una prima lettura, aver sensibilmente ristretto l’accesso all’istituto del Patrocinio a spese dello Stato.
In particolare le aggiunte si sostanziano nelle seguenti modifiche:
art. 76 comma 4bis Per i soggetti già condannati con sentenza definitiva per i reati di cui agli artt. 416 bis del codice penale, 291 quater del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973 n. 43, 73 limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 80, e 74, comma 1, del Testo Unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n.309, nonché per i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416 bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, ai soli fini del presente decreto, il reddito si ritiene superiore ai limiti previsti;
all’art. 93 il comma 2 è abrogato,
all’art. 96 comma 1 le parole “ovvero immediatamente se la stessa è presentata in udienza a pena di nullità assoluta ai sensi dell’art. 179, comma 2 del codice di procedura penale” sono soppresse;
all’art. 96 comma 2 , dopo le parole “tenuto conto” sono inserite le seguenti “delle risultanze del casellario giudiziale”.
Viene introdotta, così, una presunzione reddituale per i soggetti individuati dal nuovo comma 4 bis dell’art. 76.
Alcuni commentatori hanno detto che, in tale maniera, il legislatore ha semplicemente cristallizzato nella norma quanto già emerso a livello giurisprudenziale, essendo già riconosciuto al giudice il potere di valutare ai fini dell’ammissione al beneficio, tutti gli elementi indiziari del reddito del soggetto, con riferimento anche all’esistenza di proventi illeciti, derivanti da attività delittuosa, notoriamente non sottoposti a tassazione ( si veda Cass. sez. IV^, 11 aprile 2007, Salvemini).
Il reddito dunque diviene – indice economico – sintomatico della capacità di spesa dell’aspirante al beneficio, accertabili con gli ordinari mezzi di prova di cui all’art. 2729 c.c., con particolare valorizzazione di presunzioni semplici come il tenore di vita ed i fatti di emersione della percezione di redditi.
Per tutti i soggetti indicati dal comma aggiunto dal c.d. pacchetto sicurezza e che potremmo definire “qualificati”, opera dunque una presunzione assoluta di inidoneità reddituale all’ammissione al beneficio, non essendo possibile evidenziare dalla “ratio” della norma, prima ancora che dal tenore letterale, alcuno spazio interpretativo per l’esistenza di una prova contraria; la condanna, si badi bene, in via definitiva, costituirebbe uno di quegli effetti ulteriori della condanna, che potrebbero essere cancellati unicamente dall’intervenuta riabilitazione, non essendo possibile ipotizzare il loro venir meno per il sopraggiungere di una causa estintiva del reato o della pena.
Allo stesso modo, è ragionevole ritenere che l’interpretazione più corretta porti ad escludere l’ammissione al beneficio anche nel caso di riconoscimento di circostanze attenuanti equivalenti o prevalenti sulle aggravanti richiamate dall’ art. 76 comma 4bis, essendo il riconoscimento delle stesse attenuanti idoneo ad elidere unicamente l’entità della pena irrogata.
E’ giocoforza intuibile come una tale elencazione di reati, “ontologicamente” idonei ad escludere l’idoneità reddituale all’ammissione al beneficio del patrocinio presti inesorabilmente il fianco a prevedibili questioni di legittimità costituzionale, con particolare riguardo alla lesione del principio di eguaglianza, in ordine all’irragionevolezza di talune esplicite od implicite esclusioni.
 
Il contenuto della domanda
 
Quale dunque il contenuto della domanda da presentarsi al giudice competente in ordine al decisum?
Sulla scorta dell’art. 79 del d.p.r. 115/02, il contenuto dell’istanza impone all’interessato una dichiarazione sostitutiva di certificazione, ai sensi dell’art. 46 comma 1 lett. o) del d.p.r. 445/00 attestante la “ sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione al patrocinio secondo le modalità indicate nell’art. 76”; sembra dunque potersi affermare, la necessità di una autocertificazione dichiarativa, alla data della presentazione della domanda, dell’inesistenza di condanne divenute irrevocabili, per ciascuno dei reati indicati dal nuovo comma 4 bis dell’art. 76 T.U. spese di giustizia, potendo la falsa dichiarazione integrare gli estremi del reato di cui all’art. 95 d.p.r. 115/02.
E’ evidente dunque, che la principale valutazione del giudice, in ordine all’ammissione dell’interessato al beneficio, per effetto della riforma, si svolgerà principalmente sulle risultanze del casellario giudiziale, fermo restando la possibilità riconosciuta al giudice, ex art. 96 co.2 d.p.r. 115/02, di respingere la domanda quando vi siano giustificati motivi per ritenere l’insussistenza del presupposto reddituale dichiarato dall’interessato, e la necessità di disporre comunque quelle “ulteriori verifiche” da parte dell’Autorità Giudiziaria quando, anche dal casellario giudiziale emergano spunti per approfondimenti istruttori miranti a raccogliere fatti indicativi della concreta percezione di redditi superiori.
E’ di tutta evidenza che il funzionamento di questa mini-riforma dipenderà principalmente dalla celerità con cui verrà aggiornato il casellario giudiziale, rendendo quindi possibile la doverosa attività di valutazione richiesta al giudicante.
 
La revoca del provvedimento ammissivo e i problemi di diritto intertemporale
 
Come dovrà comportarsi il giudice qualora emerga, successivamente al provvedimento di ammissione, la notizia dell’esistenza di una condanna definitiva per uno dei reati indicati dall’art. 76 comma 4 bis del T.U., “ostativa” all’ammissione al beneficio?
A rigore dovrebbe poter disporre la revoca del provvedimento ammissivo, secondo quanto stabilito dall’art. 112 comma 1 lett. d) che prevede la revoca “d’ufficio” quando risulti la mancanza “originaria” delle condizioni di reddito di cui all’art. 76; dunque la condanna definitiva, per rendere possibile la revoca, dovrebbe necessariamente essere intervenuta prima della data di cui alla domanda di ammissione al beneficio, e comunque del provvedimento di ammissione.
E’ ragionevole quindi affermare che il giudice non possa viceversa procedere nelle forme della revoca di ufficio, quando la definitività della condanna per taluno dei reati ostativi intervenga dopo l’ammissione formale al beneficio del patrocinio gratuito essendo la presunzione negativa di reddito operante per i soli soggetti “già condannati”. A tale conclusione, deve a maggior ragione pervenirsi, nel caso di eventuale condanna irrevocabile nel processo avente ad oggetto uno dei reati anzidetti ed in cui l’interessato sia stato ammesso al Patrocinio.
 
Presentazione dell’istanza al magistrato competente e declaratoria di nullità degli atti processuali
 
La legge di conversione, c.d. “pacchetto sicurezza”, ha abrogato il comma 2 dell’art. 93 d.p.r. 115/02 ; per tale motivo la domanda non può più essere presentata dal difensore “direttamente in udienza”. Non sembra, peraltro, che tale modifica abbia comportato significativi stravolgimenti di disciplina, posto che l’interessato potrà comunque presentare lui stesso, direttamente in udienza, la domanda di ammissione.
Al comma 1 dell’art. 96 T.U. spese di giustizia, sono state soppresse le parole “ ovvero immediatamente , se la stessa è presentata in udienza a pena di nullità assoluta ai sensi dell’art. 179 comma 2 del codice di procedura penale”.
Il comma di cui all’art. 96 prevede dunque che il giudice debba, verificata l’ammissibilità dell’istante al beneficio richiesto, ammettere l’interessato “nei dieci giorni successivi a quello in cui è stata presentata o è pervenuta l’istanza di ammissione”, non essendo più previsto l’obbligo di immediata declaratoria in udienza.
Si noti come, per effetto della modifica legislativa, la mancata adozione del provvedimento di ammissione nei dieci giorni dalla presentazione dell’istanza, per espressa disposizione di legge non comporti più alcuna nullità assoluta degli atti compresi tra la scadenza del termine e la data di effettiva adozione del richiesto provvedimento, come già chiarito dalla giurisprudenza di legittimità.
Si è così legislativamente risolta una questione interpretativa che aveva comportato la necessità di interventi chiarificatori, in funzione nomofilattica della Suprema Corte, sulla validità degli atti processuali compiuti nelle more della mancata adozione del provvedimento formale di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, con ciò risolvendo eventuali questioni di nullità ancora pendenti in ordine al concreto ed effettivo pregiudizio subito dal diritto di difesa (ex plurimis Cassazione sezione VI^, 10 maggio 2006, Cavaliera; Cass. sez. II^, 22 novembre 2005, Faraci).
Cambia dunque il regime di invalidità che assume la connotazione di una nullità a regime intermedio, incidendo evidentemente sul diritto di assistenza tecnica dell’imputato, ai sensi della lettera c) dell’art. 178 c.p.p., con conseguenti oneri difensivi di natura deontologica in ordine all’eccepilibità della nullità.
*** * ***
In conclusione dobbiamo osservare che la mini – riforma introdotta dal c.d. “ pacchetto sicurezza” conferma la giustezza dell’indirizzo della nostra associazione A.N.V.A.G. Associazione Nazionale Volontari Avvocati per il Gratuito patrocinio e la difesa dei non abbienti che da tempo si è battuta per un maggiore rigore rispetto all’accesso al beneficio del gratuito patrocinio.
Sin dal 28° Congresso Nazionale Forense, infatti, il nostro Presidente Avv Nicola Ianniello aveva denunciato “il danno in termini di tempo, risorse umane ed economiche provocato da un’autocertificazione che si riveli in seguito falsa” unitamente alla necessità di esercizio in sede di ammissione da parte del magistrato di un penetrante controllo in ordine ai redditi, anche illeciti- e non sottoposti a tassazione- percepiti dall’istante.
Ci pare che il legislatore si sia mosso nel senso di una maggiore consapevolezza delle problematiche afferenti l’istituto.
Auspichiamo vivamente che tale maggiore consapevolezza, certamente indotta anche dalla necessità di “razionalizzare” i costi della giustizia, sfoci in una radicale riforma della difesa d’ufficio che, così come concepita, sottrae rilevanti risorse al gratuito patrocinio, ed in ultima analisi alle legittime istanze degli aspiranti bisognosi e meritevoli di tale beneficio.
Del resto, la questione della riforma della difesa d’ufficio, unitamente alla valorizzazione del Patrocinio a spese dello Stato, è stata recentemente portata da questa Associazione a conoscenza del Ministro della Giustizia e delle Pari Opportunità, nell’auspicio di un’ulteriore spinta “riformatrice” del sistema, e della professione, nel suo complesso.
____________________________________
 
(*Massimiliano Strampelli presidente del comitato per il patrocinio penale dell’A.N.V.A.G.-Associazione Nazionale Volontari per il Gratuito patrocinio e la difesa dei non abbienti-09/08)

 

PIU’ SOLDI ALLA GIUSTIZIA!

PIU’ SOLDI ALLA GIUSTIZIA!
 
di Nicola Ianniello*
______________________________
 
Quello che appare un monito, è in realtà il messaggio di coloro che, in qualità di “addetti ai lavori”, si misurano quotidianamente con il pianeta giustizia, saggiandone - spesso con amarezza – le lacune e le falle che pregiudicano l’accesso all’intervento giurisdizionale, in danno della piena fruibilità della tutela dei diritti costituzionalmente garantita.
Solo recentemente, cogliendo l’occasione offerta da una intervista apparsa sul settimanale “Il Salvagente” del 28 aprile/5 maggio 2005, l’Avv. Nicola Ianniello non aveva indugiato nel focalizzare l’attenzione del suo intervento, tra l’altro, sulla spinosa quanto annosa questione della insufficiente destinazione di adeguate risorse alla giustizia, avvertita con particolare allarme nel settore del patrocinio a spese dello Stato.
Gli ingiustificati tagli alla giustizia nell’ambito della difesa del non abbiente, sottolinea l’Avv. Ianniello, unitamente alle decurtazioni delle parcelle degli avvocati legislativamente imposte dal Testo Unico sulle spese di giustizia n. 115/2002 che possono finanche sfiorare – nel settore civile – un abbattimento pari al quarto del valore medio previsto dalle tariffe professionali, sono alcuni degli indici rivelatori della globale precarietà di tenuta del sistema del gratuito patrocinio.
 
Nel settore penale, ai sensi dell’art. 82 del T.U. n. 115/2002 “l’onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati dall’autorità giudiziaria con decreto di pagamento osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non risultino superiori ai valori medi delle tariffe professionali”.
 
Il legislatore ha palesemente omesso di ragguardare le lodevoli intenzioni della difesa a spese dello stato in favore degli anelli deboli della società, con un adeguato stanziamento di risorse da destinare alla (equa e dignitosa) retribuzione dei professionisti ai quali in ogni caso si richiede, come è giusto che sia, che l’impegno profuso sia pari ad assicurare una difesa “competente ed attrezzata”.
Su tali esorbitanti premesse, non stupisce allora che il riconoscimento economico della prestazione professionale per una pratica di divorzio nel patrocinio civile gratuito possa attestarsi intorno ad importi incredibilmente al di sotto di quelli notoriamente richiesti (euro 200,00 a fronte di euro 800,00-1.000,00). A ciò, si aggiungano poi le estenuanti lungaggini burocatriche che accompagnano (spesso per oltre un anno dalla definizione del procedimento) l’emissione del decreto di liquidazione, ed ancora, il sempre maggiore carico di contenzioso rappresentato dalle numerose opposizioni agli importi liquidati in via giudiziale.
Nell’ottica di un critico e condiviso sentire dei mali della giustizia, si colloca senz’altro anche la dichiarazione dell’On. Giuseppe Valentino - sottosegretario del Ministero della Giustizia - che con una Ansa del 28 settembre scorso (fonte AGI) individuava, tra gli obiettivi che la Finanziaria per il 2006 dovrebbe portare a compimento, un “pacchetto” di misure e correttivi da destinare alla Giustizia ed al rafforzamento dell’apparato amministrativo.
Tra questi, accanto all’aumento delle retribuzioni dei magistrati ordinari e agli incentivi per coloro che prestano funzioni giurisdizionali in uffici disagiati, nell’ottica di una rivisitazione complessiva del sistema, che non può certo ritenersi appagata dalla riforma dell’ordinamento giudiziario, un ruolo preminente è riconosciuto alla strumentazione legislativa, rispetto alla quale la revisione della normativa in materia di difesa d’ufficio e di patrocinio a spese dello Stato appare non più prorogabile.
“Misure necessarie”, avverte l’On. Valentino, e sostiene l’avvocatura impegnata al fianco dei non abbienti, che meriterebbero ex sé una collocazione prioritaria tra gli obiettivi fondamentali di uno Stato moderno, non paternalista, ma ciononostante rivolto alla tutela dei più deboli.
La giustizia, che non può essere relegata al ruolo di chimera, vive della realtà e nella realtà: i mali di cui soffre abbisognano di una riposta decisa, univoca, finalisticamente orientata a renderla adeguata ai tempi, alle mutevoli esigenze della collettività che, con riguardo al patrocinio a spese dello Stato, rivela inequivocabili ed allarmanti segnali di una vis attractiva verso la soglia della “nuova povertà”, come testimonia, dati alla mano, l’ultimo rapporto sulla povertà diffuso dal Ministero del Lavoro (per un commento, www.anvag.it/ARTICOLI).
_________________
*Avv.Nicola Ianniello presidente dell’A.N.V.A.G. Associazione Nazionale Volontari Avvocati per il Gratuito patrocinio e la difesa del non abbiente- 12/05)
 

Una occasione perduta dalla Corte Costituzionale

Una occasione perduta dalla Corte Costituzionale
 
(ordinanza n. 209 del 9 giugno 2008 )
 
di Nicola Ianniello*
---------------------------------
 
Con la ordinanza n. 209 del 9 giugno 2008 la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 131, comma 4, lettera c), del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 sollevata, dal Tribunale ordinario di Bolzano in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione laddove prevede che le spese sostenute dall’ausiliario del magistrato per l’adempimento dell’incarico sono anticipate dall’erario.
La vicenda processuale riguarda un procedimento per il disconoscimento di paternità ad istanza di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato con conseguente ammissione di consulenza per l’esame del DNA.
A fronte delle rilevanti spese da anticipare, il CTU aveva chiesto di essere esonerato dall’incarico.
Il Tribunale di Bolzano, che in un primo tempo aveva emesso decreto di liquidazione a favore del consulente e poi aveva revocato tale provvedimento, peraltro non eseguito, dubita circa la costituzionalità della norma (art 131 T.U.) nella misura in cui riserva la liquidazione delle spese di consulenza solo al momento del rendiconto delle stesse e, quindi, all’esito del mezzo istruttorio.
Viene, quindi ravvisata la violazione del diritto di difesa sancito dall’art. 24 della carta costituzionale, nonché delle regole del giusto processo di cui all’art. 111 della stessa costituzione.
Ebbene, la Corte rileva che la lettera della legge (<spese sostenute>) presuppone che la loro anticipazione a carico dell’erario venga disposta solo dopo che il professionista nominato dal magistrato abbia fornito la prova di averle effettivamente affrontate.
L’articolo in esame non costituisce ostacolo né per la difesa, in quanto non preclude al consulente di adempiere al proprio incarico non assumendosi definitivamente l’onere delle spese, né per il processo in quanto la liquidazione del compenso dell’ausiliario del magistrato non è idonea ad incidere sui tempi di celebrazione del processo.
A nostro modestissimo parere il Giudice delle leggi ha perso una buona occasione per rivolgere anche in questa occasione come già ha fatto in altre precedenti occasioni almeno una esortazione al legislatore di apportare quelle modifiche alla normativa di riferimento che garantiscano la difesa tecnico professionale del non abbiente.
Ed invero la Corte si è occupata più volte della figura del consulente tecnico.
Nel vigore del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3282 venne sollevata eccezione di incostituzionalità dell’art. 11 laddove si escludeva che fosse posto a carico dello Stato l’obbligo di anticipare i compensi spettanti ai consulenti per l’opera prestata.
In quel caso la Corte (sentenza del 1973) ribadì le stesse argomentazioni svolte per una ipotesi analoga che riguardava il compenso del difensore.
La previsione della anticipazione a carico dell’erario delle spese vive sostenute dall’ausiliario del giudice aveva già di per sé l’effetto di rimuovere, nei limiti ritenuti congrui dal legislatore, gli ostacoli di ordine economico che sembrassero limitare l’uguaglianza dei cittadini (art 3 cost.) rappresentando ad un tempo uno strumento rientrante negli appositi istituti che assicurano i mezzi per agire e difendersi in giudizio (art. 24 cost.).
In quella occasione, tuttavia, la Corte volle ribadire un proprio convincimento altre volte espresso e che costituiva una forte esortazione rivolta al legislatore e cioè che “de lege ferenda e da un punto di vista di politica legislativa può anche auspicarsi una diversa e migliore disciplina della difesa dei non abbienti”.
Lo stesso articolo 11 del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3282 è stato oggetto di esame della Corte Costituzionale nel 1983 allorchè il Tribunale di Milano ebbe a rilevare che veniva prevista a carico dell’erario soltanto la anticipazione delle spese per il consulente di ufficio rimanendo trascurata quella del consulente di parte con conseguente violazione del principio del contraddittorio.
Nell’occasione la Corte ebbe a condividere l’ assunto che “all’epoca di emanazione della legge sul gratuito patrocinio (1923) e secondo il sistema processuale allora vigente (di cui al Codice di rito approvato con r.d. 25 giugno 1865 n. 2376) non era previsto il consulente di parte per le ipotesi in cui nel giudizio si ricorresse al parere di uno o più periti (artt 252/270); d’altro canto, però, il perito o i periti potevano essere concordemente nominati dalle parti e, soltanto quando le parti stesse non si fossero, in proposito, accordate, essi erano nominati dal Giudice (art. 253). Viceversa con il nuovo ordinamento instaurato con il Codice di rito del 1940, il consulente tecnico è sempre nominato dal Giudice e le parti hanno, in tal caso, la facoltà di “farsi assistere da un loro consulente tecnico” (artt 61/87 e 201).
Il nuovo codice di rito del 1940 ha, quindi, sancito che la “difesa” non è più soltanto “legale” ma anche (entro certi limiti) “tecnica”.
Il diritto di difesa, come più volte dichiarato dal Giudice delle leggi, è in primo luogo garanzia di contraddittorio e di assistenza tecnico-professionale.
Le stesse argomentazioni svolte a favore del difensore, al quale doveva essere assicurata la possibilità di partecipare ad una idonea dialettica processuale, furono con la pronuncia del 1983, rivolte nei riguardi del consulente tecnico di ufficio il quale “svolge funzioni che, secondo la comune opinione di dottrina e giurisprudenza, sono paragonabili a quello dell’avvocato, limitatamente al piano tecnico”.
La pronuncia del 1983 accolse la eccezione di incostituzionalità dell’articolo 11 del r.d. 3282/1923 nella parte in cui non prevedeva che il beneficio del gratuito patrocinio si estendesse alla facoltà per le parti di farsi assistere da consulenti tecnici.
A nostro modestissimo avviso, la evoluzione del pensiero nell’esame della materia del patrocinio a spese dello Stato avrebbe, quindi, dovuto portare almeno ad un accenno rivolto al legislatore ad operare in modo tale che venisse rimosso l’ostacolo costituito dalla norma che non consente di porre tempestivamente a carico dell’erario le spese della consulenza tecnica.
L’articolo 90 del nostro codice di rito, pur facendo salve le disposizioni relative aol gratuito patrocinio (quelle del 1923) dispone che nel corso del processo ciascuna delle parti deve provvedere alle spese degli atti che compie e di quelli che chiede, e deve anticiparle per gli altri atti necessari al processo quando l’anticipazione è posta a suo carico dalla legge o dal giudice.
Ed è appunto lo Stato che si sostituisce alla parte ammessa al beneficio nella erogazione delle anticipazioni suddette.
Per tali ragioni riteniamo che la disparità di trattamento tra la difesa “legale” e quella “tecnica” in termini di anticipazione delle spese, andrebbe riesaminata.
----------------------------------
I provvedimenti indicati si trovano nella biblioteca del sito www.anvag.it
*(Avv.Nicola Ianniello presidente dell’A.N.V.A.G. – 07/08)
 

La ordinanza n.31 del 24 gennaio-6 febbraio 2007 della Corte Costituzionale sulla sostituzione del difensore sotto il vigore della Legge n. 217/90

La ordinanza n.31 del 24 gennaio-6 febbraio 2007 della Corte Costituzionale sulla sostituzione del difensore sotto il vigore della Legge n. 217/90
 
di Nicola Ianniello*
---------------------------------------
 
Si segnala la ordinanza della Corte Costituzionale investita del giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, IV comma della Legge n. 217/90 sollevato in relazione agli artt. 3 e 35 e 36 della Costituzione dal Tribunale di Bari
Il testo dell’ordinanza si trova sul sito www.anvag.it nella rubrica biblioteca (giurisprudenza/Corte Costituzionale)
L’art. 4 comma IV di detta legge, abrogato già dalla Legge n 134/01 recitava:
Nella stessa fase o grado del giudizio il difensore può essere sostituito soltanto per giustificato motivo e previa autorizzazione del giudice che procede, ovvero, nelle ipotesi di cui all’art. 1, secondo comma, del giudice innanzi al quale pende il procedimento ovvero del giudice competente a conoscere del merito. La sostituzione non autorizzata comporta la cessazione degli effetti dell’ammissione al beneficio”.
 
Nell’ambito di un procedimento penale n. 405/99, con provvedimento del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bari, l’imputato, difeso dall’avvocato di fiducia, veniva ammesso al patrocinio a spese dello Stato. Successivamente, a seguito della rinuncia, l’imputato nominava altro avvocato il quale provvedeva a chiedere la liquidazione dei compensi per l’attività professionale espletata.
Il Tribunale dichiarava inammissibile la istanza in quanto «l’imputato procedeva a nominare nuovo difensore di fiducia… senza richiedere la necessaria autorizzazione al Giudice (art. 4, comma 4, legge n. 217/1990 vigente all’epoca)»;
Il difensore proponeva ricorso chiedendo di dichiarare rilevante e non manifestante infondata, con riferimento agli artt. 3, 24, secondo e terzo comma, 35, primo comma, e 36, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale del comma 4 dell’art. 4 della legge n. 217 del 1990, nella parte in cui, nel testo allora vigente, prevedeva che la sostituzione del difensore di fiducia ad opera dell’imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato dovesse essere preventivamente autorizzata dal giudice procedente e, in via subordinata, previa declaratoria di inapplicabilità della medesima norma ai rapporti in corso alla data di entrata in vigore della legge 29 marzo 2001, n. 134 annullare il decreto del Giudice monocratico, seconda sezione penale, del 28 febbraio 2003, liquidando i compensi al difensore.
Il giudice rimettente, esclusa la rilevanza dell’eccezione in relazione all’art. 24 Cost, notava che, nonostante gli artt. 35, primo comma, e 36, primo comma, della Costituzione tutelino i diritti dei soli lavoratori “subordinati”, in esecuzione del principio di eguaglianza, nonché (del) diritto ad una retribuzione proporzionata e sufficiente, si poteva rilevare, comunque, una ingiustificata disparità di trattamento economico tra avvocati che esercitano il patrocinio dei non abbienti a spese dello Stato ed avvocati di soggetti abbienti, (in quanto) il diritto alla retribuzione, costituzionalmente garantito, verrebbe violato dalla mancata autorizzazione prevista dalla citata norma della legge n. 217/1990 e, inoltre, il difensore iscritto nell’elenco degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato e non «autorizzato dal giudice all’esercizio della propria attività subisce un grave pregiudizio dovuto alla decadenza del cliente dal beneficio. Infatti, le precarie condizioni economiche dell’assistito, già “attestate e certificate” dal provvedimento di ammissione al beneficio stesso, manifestano ex ante una più che probabile insolvibilità dell’imputato e, quindi, una mancata retribuzione del difensore, mentre, nell’ipotesi di difensori di soggetti abbienti, l’alea della mancata retribuzione dell’attività professionale è pressoché inesistente.
Le ragioni di inammissibilità della questione spiegate dalla Corte sono due e cioè:
- inadeguata descrizione della fattispecie, non avendo il rimettente indicato in quale fase processuale è avvenuta la nomina del nuovo difensore, indicazione indispensabile ai fini della valutazione sulla rilevanza della questione sollevata, posto che la norma denunciata prevedeva la cessazione degli effetti dell’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato solo nel caso in cui la sostituzione del difensore fosse intervenuta nella stessa fase del giudizio.
Infatti, nell’ordinanza di rimessione non è indicato il momento processuale in cui la sostituzione del difensore è avvenuta, nonostante si possa dedurre che il procedimento si è articolato in più fasi, in quanto l’istanza di liquidazione dei compensi è stata presentata al giudice del dibattimento e,pertanto, l'insufficiente descrizione della fattispecie si risolve in carenza della motivazione sulla rilevanza della proposta questione e conduce alla sua manifesta inammissibilità
- mancata precisazione da parte del giudice rimettente, nonostante l’eccezione in tal senso sollevata dall’interessato nel giudizio a quo, per quale ragione egli ritenga che trovi ancora applicazione, nella controversia al suo esame, una norma abrogata e, quindi, tale omissione non consente di operare la necessaria verifica sulla perdurante rilevanza della sollevata questione.
__________________________________
* Avv. Nicola Ianniello presidente dell’A.N.V.A.G.-02-07
 
 

 

La sentenza n.254 /2007 di “tipo additivo” della Corte Costituzionale pubblicata il 6 luglio 2007 sul diritto dell’interprete di parte ad essere retribuito dallo Stato ( q.l.c. art. 102 T.U. n.115/02)

La sentenza n.254 /2007 di “tipo additivo” della Corte Costituzionale pubblicata il 6 luglio 2007 sul diritto dell’interprete di parte ad essere retribuito dallo Stato ( q.l.c. art. 102 T.U. n.115/02).
di Nicola Ianniello*
Il testo della sentenza si trova sul sito www.anvag.it/biblioteca/giurisprudenza
Memorandum: ART. 102 (Nomina del consulente tecnico di parte)
1.Chi è ammesso al patrocinio può nominare un consulente tecnico di parte residente nel distretto di corte d'appello nel quale pende il processo.
2. Il consulente tecnico nominato ai sensi del comma 1 può essere scelto anche al di fuori del distretto di corte di appello nel quale pende il processo, ma in tale caso non sono dovute le spese e le indennità di trasferta previste dalle tariffe professionali.
_______________________
La sentenza in commento si pone nell’area di confine tra l’attività della Corte costituzionale che è di carattere, ormai unanimemente riconosciuto dalla dottrina, giurisdizionale, e l’attività qualificata “legislativa” da altra dottrina soprattutto nella fase precedente all’inizio del suo funzionamento (Calamandrei, “L’illegittimità costituzionale delle leggi nel processo civile”, Padova, Cedam, 1950).
L’articolo 102 del T.U. sulle spese di giustizia, compreso nel titolo II relativo alle disposizioni particolari sul patrocinio a spese dello Stato nel processo penale e che ammette la nomina di un consulente di parte, viene oggi dichiarato incostituzionale nella parte in cui non prevede che lo straniero ammesso al beneficio del gratuito patrocinio e che non conosce la lingua italiana, possa nominare un interprete di sua fiducia che abbia il compito di agevolarlo nella comprensione della vicenda processuale che gli viene illustrata e spiegata dal proprio difensore.
Il Giudice delle leggi striglia il legislatore il quale dovrà “compiutamente disciplinare la materia inerente a questa figura di interprete”.
La Corte è stata investita della questione circa la legittimità costituzionale dell’articolo 102 del D.P.R. 30 maggio 2002 n.115 sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia a seguito di opposizione da parte dell’interprete di una imputata del reato di omicidio la quale, dopo aver chiesto la liquidazione degli onorari per l’opera prestata quale traduttrice tra essa imputata e il suo difensore, vedeva rigettata la propria istanza in quanto, sebbene l’imputata fosse stata ammessa al patrocino a spese dello Stato, il difensore non aveva provveduto a nominarla quale sua consulente.
L’articolo 101 del T.U. suddetto prevede che il difensore della persona ammessa al patrocinio può nominare un sostituto o, al fine di svolgere attività di investigazione difensiva, un investigatore privato autorizzato, residente nel distretto di corte di appello dove ha la sede il magistrato competente per il fatto per cui si procede ed il successivo articolo 105 stabilisce che il giudice per le indagini preliminari liquida il compenso al difensore, all'ausiliario del magistrato, al consulente tecnico di parte e all'investigatore privato, anche se l'azione penale non è esercitata.
Orbene, la Corte, oggi riconosce e apprezza la attività dell’interprete che relaziona l’imputato non già con il Giudice (tale è l’ausiliario del Giudice) ma con il proprio difensore e ciò assume una importanza enorme al fine di garantire la reale e puntuale conoscenza da parte dell’imputato del significato degli atti processuali ai fini della propria difesa.
Già la stessa Corte in precedenti pronunce aveva ammesso che, laddove il legislatore italiano ha preso in specifica considerazione la situazione dell’imputato che non conosce la lingua italiana, statuendo che egli "ha diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di potere comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa" (art. 143, comma 1, cod. proc. pen.), deve necessariamente intendersi che la norma configura il ricorso all’interprete non già come un mero strumento tecnico a disposizione del giudice per consentire o facilitare lo svolgimento del processo in presenza di persone che non parlino o non comprendano l’italiano, ma come oggetto di un diritto individuale dell’imputato, diretto a consentirgli quella partecipazione cosciente al procedimento che é parte ineliminabile del diritto di difesa.
La garanzia costituzionale del diritto di difesa comprende la effettiva possibilità che la partecipazione personale dell’imputato al procedimento avvenga in modo consapevole specialmente nelle fasi che l’ordinamento affida al principio dell’oralità: il che comporta la possibilità effettiva sia di percepire, comprendendone il significato linguistico, le espressioni orali dell’autorità procedente e degli altri protagonisti del procedimento, sia di esprimersi a sua volta essendone percepito e compreso (cfr. sentenza n. 9 del 1982 e, da ultimo, sentenza n. 10 del 1993).
“Senza la garanzia di tale possibilità, infatti, resterebbe irrimediabilmente compromesso, nelle fasi processuali dominate dall’oralità, il diritto dell’accusato di essere messo personalmente, immediatamente e compiutamente a conoscenza di quanto avviene nel processo che lo riguarda, e così non solo dell’accusa mossagli, ma anche degli elementi sui quali essa si basa, delle vicende istruttorie e probatorie che intervengono via via a corroborarla o a smentirla, delle affermazioni e delle determinazioni espresse dalle altre parti e dall’autorità procedente; nonchè, conseguentemente, il diritto dell’imputato di svolgere la propria attività difensiva, anche in forma di autodifesa, conformandola, adattandola e sviluppandola in correlazione continua con le esigenze che egli stesso ravvisi e colga a seconda dell’andamento della procedura, ovvero comunicando con il proprio difensore”.
La Corte ha infatti costantemente affermato che "la peculiare natura del processo penale e degli interessi in esso coinvolti richiede la possibilità della diretta e personale partecipazione dell’imputato", onde l’autodifesa, che "ha riguardo a quel complesso di attività mediante le quali l’imputato é posto in grado di influire sullo sviluppo dialettico del processo", costituisce "diritto primario dell’imputato, immanente a tutto l’iter processuale, dalla fase istruttoria a quella di giudizio" (sentenza n. 99 del 1975; e cfr. anche sentenze n. 205 del 1971, n. 186 del 1973).
Se normalmente questi diritti dell’accusato sono resi effettivi attraverso la garanzia della possibilità di presenziare alle udienze (salvo esserne allontanato solo se ne impedisce il regolare svolgimento: art. 475 cod. proc. pen.) e di rendere "in ogni stato del dibattimento" le dichiarazioni che egli ritiene opportune, purchè si riferiscano all’oggetto dell’imputazione e non intralcino l’istruzione dibattimentale (art. 494 cod. proc. pen.), avendo per ultimo la parola (art. 523, comma 5, cod. proc. pen.), nonchè attraverso la "facoltà di conferire con il proprio difensore tutte le volte che lo desideri, tranne che durante l’interrogatorio o prima di rispondere a domande rivoltegli" (sentenza n. 9 del 1982; e cfr. anche sentenza n. 216 del 1996), forme speciali di tutela sono richieste allorquando l’accusato, a causa di sue particolari condizioni personali, non sia in grado di comprendere i discorsi altrui o di esprimersi essendo compreso.
La più comune di tali condizioni é rappresentata dalla non conoscenza della lingua in cui si svolge il processo, ed é per questo che le norme delle convenzioni internazionali sui diritti prevedono espressamente fra i diritti dell’accusato quello di "farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza" (art. 6, n. 3, lettera e, della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; e analogamente art. 14, comma 3, lettera f, del patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 19 dicembre 1966).
Con la sentenza in commento, quindi, la Corte, escludendo che il traduttore possa essere ritenuto un “mero” consulente di parte, ha esteso le garanzie riconosciute all’imputato anche per quanto riguarda le necessità dello stesso di capire e farsi capire dal proprio difensore avvalendosi dell’ausilio di un traduttore della propria lingua che può essere scelto (certamente sarà scelto) tra le persone che conoscono e frequentano lo stesso imputato.
_______________________
*Avv.Nicola Ianniello, presidente dell’A.N.V.A.G. Associazione Nazionale Volontari Avvocati per il Gratuito patrocinio e la difesa dei non abbienti- 07/07)
 

 

L’ordinanza della Corte Costituzionale n. 136 del 2007 sull’esclusione dal patrocinio gratuito per la violazione di norme sull’evasione fiscale

L’ordinanza della Corte Costituzionale n. 136 del 2007 sull’esclusione dal patrocinio gratuito per la violazione di norme sull’evasione fiscale
di Nicola Ianniello*
*** * ***
MEMORANDUM:ART. 91 (Esclusione dal patrocinio)1. L'ammissione al patrocinio è esclusa:
a) per l'indagato, l'imputato o il condannato di reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto;
b) se il richiedente è assistito da più di un difensore; in ogni caso gli effetti dell'ammissione cessano a partire dal momento in cui la persona alla quale il beneficio è stato concesso nomina un secondo difensore di fiducia, eccettuati i casi di cui all'articolo 100.
ART. 96 (Decisione sull'istanza di ammissione al patrocinio)1. Nei dieci giorni successivi a quello in cui è stata presentata o è pervenuta l'istanza di ammissione, ovvero immediatamente, se la stessa è presentata in udienza a pena di nullità assoluta ai sensi dell'articolo 179, comma 2, del codice di procedura penale, il magistrato davanti al quale pende il processo o il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato, se procede la Corte di cassazione, verificata l'ammissibilità dell'istanza, ammette l'interessato al patrocinio a spese dello Stato se, alla stregua della dichiarazione sostitutiva prevista dall'articolo 79, comma 1, lettera c), ricorrono le condizioni di reddito cui l'ammissione al beneficio è subordinata.
2. Il magistrato respinge l'istanza se vi sono fondati motivi per ritenere che l'interessato non versa nelle condizioni di cui agli articoli 76 e 92, tenuto conto del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari, e delle attività economiche eventualmente svolte. A tale fine, prima di provvedere, il magistrato può trasmettere l'istanza, unitamente alla relativa dichiarazione sostitutiva, alla Guardia di finanza per le necessarie verifiche.
3. Il magistrato, quando si procede per uno dei delitti previsti dall'articolo 51, comma 3 bis, del codice di procedura penale, ovvero nei confronti di persona proposta o sottoposta a misura di prevenzione, deve chiedere preventivamente al questore, alla direzione investigativa antimafia (DIA) ed alla direzione nazionale antimafia (DNA) le informazioni necessarie e utili relative al tenore di vita, alle condizioni personali e familiari e alle attività economiche eventualmente svolte dai soggetti richiedenti, che potranno essere acquisite anche a mezzo di accertamenti da richiedere alla Guardia di finanza.
4. Il magistrato decide sull'istanza negli stessi termini previsti dal comma 1 anche quando ha richiesto le informazioni di cui ai commi 2 e 3.
 
*** * ***
 
Nel segnalare la ordinanza in commento, riprendendo l’affermazione di Federico Girelli nel suo prezioso studio <L’inammissibilità inutiliter data>, anche nella ordinanza in commento la Consulta assume un ruolo attivo: non solo chiede collaborazione ai giudici, come di norma accade con la pronuncia di sentenze interpretative di rigetto, ma offre collaborazione, dando in motivazione la soluzione del caso all’esame del giudice a quo.
La Corte ha dichiarato inammissibile la questione concernente il disposto dell’art. 91, comma 1, lett. a), del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), laddove stabilisce che l’ammissione al patrocinio dei non abbienti è esclusa per l’indagato, l’imputato o il condannato di reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, perché creerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra indagati, o imputati, o condannati per reati tributari e quelli per altri reati; nonché dell’art. 24, della Costituzione, per la previsione, per i non abbienti, di una limitazione all’accesso al patrocinio a spese dello Stato e, quindi, di una limitazione del diritto di difesa;
Invocando gli artt 24 e 3 il Trib Venezia– chiamato a giudicare dell’ammissibilità dell’istanza per essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato presentata da un soggetto imputato del reato di cui all’art. 8 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto), per aver emesso fatture relative ad operazioni inesistenti al fine di consentire a terzi l’evasione fiscale – premette che la stessa questione è stata già dichiarata manifestamente inammissibile dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 251 del 2005 (si trova sul sito www.anvag.it/biblioteca/giurisprudenza ), in quanto non era stata precisata la sussistenza dei presupposti reddituali previsti per la concessione del beneficio.
Secondo il Tribunale di Venezia sussisterebbero nella specie i presupposti reddituali per l’ammissione dell’imputato al patrocinio a spese dello Stato, in quanto lo stesso ha presentato, unitamente alla istanza di ammissione, la dichiarazione di aver conseguito nell’anno decorso redditi per un importo inferiore a quello massimo stabilito dalla legge, tenuto conto anche di quanto percepito dalla moglie convivente, la cui dichiarazione dei redditi è stata parimenti prodotta;
La norma denunciata quindi, da un lato violerebbe il diritto di difesa dell’imputato tutelato dall’art. 24 della Costituzione, determinando una disparità di trattamento a danno del cittadino indigente nei confronti di quello abbiente, e, dall’altro lato determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento nei confronti degli altri imputati o indagati per altri reati, in contrasto con l’art. 3 della Costituzione
Il Tribunale di Venezia sostiene che gli accertamenti richiesti al giudice ai sensi dell’art. 96, commi 2 e 3, dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002, <non debbono essere diretti ad accertare in astratto se, per la natura dei reati contestati, l’interessato sia stato o meno in grado di accumulare ricchezza, ma debbono essere volti a verificare in concreto se, in base ai parametri indicati dalla legge e, in particolare, al tenore di vita dell’interessato, alle sue condizioni personali e familiari, alle attività economiche svolte, possa o meno ritenersi sussistente una situazione patrimoniale diversa da quella rappresentata all’atto della presentazione della istanza, tale da superare la misura di reddito indicata dalla legge per l’ammissione al patrocinio (Cass., sez. I pen., 26 febbraio 2004, n. 8778): tanto più nel caso di specie, in cui sono trascorsi vari anni dall’eventuale reato e l’Agenzia delle entrate ha ampia possibilità di accertare se i redditi non consentano la concessione del beneficio>.
Anche in questa occasione, come peraltro in altre recenti pronunce, il Giudice delle leggi ha voluto “suggerire” il passaggio ritenuto idoneo onde “rivestire” l’ordinanza del giudice a quo con ciò evitando di limitare il proprio giudizio ad una arida pronuncia di inammissibilità della questione sollevata perché carente di una motivazione autosufficiente tale da permettere la verifica della valutazione sulla sua rilevanza.
La Corte, nell’ordinanza in commento, premesso che il giudice di legittimità ha correttamente riconosciuto che una norma come quella impugnata, nell’escludere il beneficio del patrocinio dello Stato limitatamente ad una particolare categoria di reati, presume, non irragionevolmente, l’impossibilità di verifica delle condizioni economiche dell’autore sulla sola base documentale (Cass. n. 31177 del 2004 e n. 2023 del 2000), precisa che il giudice rimettente, ai fini della rilevanza della questione sollevata, deve non solo dare conto della avvenuta documentazione dei requisiti reddituali, ma anche fare riferimento al tenore di vita, alle condizioni personali e familiari e alle attività economiche eventualmente svolte dall’imputato.
Il Tribunale di Venezia, nel caso di specie, nel pronunciarsi sulla sussistenza dei requisiti reddituali, non fornisce elementi concreti per stabilire se, in base al tenore di vita dell’imputato, alle sue condizioni personali e familiari, alle attività economiche da lui eventualmente svolte, egli abbia effettivamente un reddito tale da renderlo meritevole dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, dal momento che, in tema di reati tributari, è impossibile verificare le condizioni economiche dell’autore sulla sola base documentale.
-----------------------------
*(Avv. Nicola Ianniello presidente dell’A.N.V.A.G. – Associazione Nazionale Volontari Avvocati per il Gratuito patrocinio e la difesa dei non abbienti- 04/07)
 

 

L’ordinanza n. 369/2007 della Corte Costituzionale pubblicata il 7 novembre 2007 sul potere di revoca del magistrato.

L’ordinanza n. 369/2007 della Corte Costituzionale pubblicata il 7 novembre 2007 sul potere di revoca del magistrato.
di Nicola Ianniello*
Il testo dell’ordinanza in http://anvag.it/biblioteca/giurisprudenza.htm)
_______________________
ART. 112
(Revoca del decreto di ammissione)
1. Il magistrato, con decreto motivato, revoca l'ammissione :
a) se, nei termini previsti dall'articolo 79, comma 1, lettera d), l'interessato non provvede a comunicare le eventuali variazioni dei limiti di reddito;
b) se, a seguito della comunicazione prevista dall'articolo 79, comma 1, lettera d), le condizioni di reddito risultano variate in misura tale da escludere l'ammissione;
c) se, nei termini previsti dall'articolo 94, comma 3, non sia stata prodotta la certificazione dell'autorità consolare;
"d) d'ufficio o su richiesta dell'ufficio finanziario competente presentata in ogni momento e, comunque, non oltre cinque anni dalla definizione del processo, se risulta provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito di cui agli artt 76 e 92" (modif con L.168/2005);
2. Il magistrato può disporre la revoca dell'ammissione anche all'esito delle integrazioni richieste ai sensi dell'articolo 96, commi 2 e 3.
3. Competente a provvedere è il magistrato che procede al momento della scadenza dei termini suddetti ovvero al momento in cui la comunicazione è effettuata o, se procede la Corte di cassazione, il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato.
4. Copia del decreto è comunicata all'interessato con le modalità indicate nell'articolo 97.
 
*** * ***
Appare utile segnalare la ordinanza della Corte Costituzionale con la quale è dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 112 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia – Testo B), come riprodotto nel d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 28 e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Chiavari.
L’intervento del Giudice delle leggi è stato richiesto nell’ambito di un giudizio di opposizione avverso un provvedimento di revoca di un decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nella parte in cui non viene consentito al giudice competente per la liquidazione di revocare il decreto di ammissione in presenza di una causa di inammissibilità della domanda.
Nel caso di specie si trattava di ammissione al beneficio di un cittadino extra comunitario il quale non aveva prodotto la certificazione sui propri redditi di cui all’art 79 c. 2 ovvero, in difetto, la dichiarazione sostitutiva ex art. 94 c. 3, entrambe ritenute espressamente condizioni di ammissibilità della domanda.
Il Giudice remittente rileva che se da un lato la domanda del ricorrente è affetta da vizio di inammissibilità dall’altra parte l’art. 112 del t.u. non consente la conferma del provvedimento di revoca impugnato non rientrando nelle ipotesi previste da quest’ultima norma.
Tale situazione realizzerebbe la violazione dell’art. 3 della carta costituzionale consentendo la revoca del beneficio in caso di mancata presentazione della certificazione dell’autorità consolare, ma negandola allorché la documentazione richiesta dalla legge non venisse per nulla prodotta.
Il remittente dubita della ragionevolezza della norma in oggetto laddove attribuisce al giudice del procedimento il potere di revoca mentre non lo riconoscerebbe al giudice che procede alla liquidazione imponendo a quest’ultimo, nel caso sia diverso dal primo, la liquidazione nonostante sia in presenza di una domanda inammissibile.
L’articolo in esame, nell’impedire al giudice della liquidazione di revocare il decreto di ammissione al gratuito patrocinio, violerebbe anche l’art. 28 Cost. laddove imporrebbe al giudice un comportamento gravemente colposo e idoneo a cagionare un danno alla pubblica amministrazione e, quindi, in violazione dell’art. 97 della stessa carta.
La Corte adita statuisce che non sussistono le lamentate violazioni della Costituzione, apparendo, al contrario, chiaro il contenuto dell’articolo in questione il quale al comma 1 lettera d) attribuisce al magistrato il potere di revocare anche di ufficio, con decreto motivato, l’ammissione al gratuito patrocinio, <se risulta provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito di cui agli articoli 76 e 92> del t.u. n. 115/02.
_______________________
*Avv.Nicola Ianniello, presidente dell’A.N.V.A.G. Associazione Nazionale Volontari Avvocati per il Gratuito patrocinio e la difesa dei non abbienti- 11/07)
 

Le pronunce della Corte Costituzionale nel primo semestre 2006 in materia di patrocinio a spese dello Stato

Le pronunce della Corte Costituzionale nel primo semestre 2006 in materia di patrocinio a spese dello Stato
di Nicola Ianniello*
______________________
Nei primi sei mesi dell’anno corrente l’attenzione della Consulta ha riguardato l’art. 170 del T.U. n.115/02 (ord.n.52 del 10 febbraio), gli artt.119 e 142 (ord.n.76 del 22 febbraio), l’art. 117 (ord.n. 160 del 5 aprile), l’art. 116 (ord.n. 176 del 20 aprile), l’art. 112 (ord.n. 177 del 20 aprile), l’art. 130 (ord.n. 201 del 3 maggio).
I testi completi delle suddette pronunce si trovano sul sito www.anvag.it nella rubrica BIBLIOTECA/Giurisprudenza.
Mentre per la ordinanza n. 52 richiamo il mio articolo già pubblicato nello scorso febbraio, ritengo utile fare una succinta presentazione degli altri provvedimenti tutti conclusi con dichiarazione di inammissibilità o infondatezza delle rispettive questioni sollevate.
1) L’ordinanza n. 76: il Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 119 e 142 del T.U.n. 115/2002 in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.
Il Tribunale aveva respinto il ricorso volto all'annullamento di un diniego di regolarizzazione, ai sensi della legge 9 ottobre 2002, n. 222 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195, recante disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari) opposto dall'Ufficio territoriale del Governo di Terni al datore di lavoro di un cittadino extracomunitario.
Il difensore aveva presentato la domanda di liquidazione delle spese di giudizio dell'extracomunitario, sulla base dell'ammissione di questo al patrocinio a spese dello Stato, disposta con decreto del Presidente del Tribunale.
L’Agenzia delle entrate aveva chiesto la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, invocando l'art. 119 del d.P.R. n. 115 del 2002, secondo cui il patrocinio a spese dello Stato è assicurato solo al cittadino italiano e allo straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del processo da instaurare.
L’art. 142 riguarda il processo avverso il provvedimento di espulsione di cittadini extracomunitari (di cui all'art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), e dispone che le relative spese sono a carico dell'erario e sono liquidate nella misura e con le modalità previste per i cittadini comunitari.
Si ravviserebbe, pertanto, una disparità di trattamento per lo straniero che si trovi in Italia in una situazione di clandestinità cui viene perciò negato il patrocinio a spese dello Stato, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, perché – in relazione alla condizione di disagio sociale e difficoltà economica che rappresenta la normalità per gli aspiranti alla regolarizzazione – affiderebbero l'esito dei procedimenti di regolarizzazione a fattori casuali (quali la possibilità dei singoli di tutelare concretamente le proprie ragioni, sostenendo l'onere del patrocinio), e perché determinerebbero un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad altri cittadini extracomunitari, i quali potrebbero usufruire del patrocinio a spese dello Stato per contrastare provvedimenti negativi incidenti sulla possibilità di permanere nel territorio italiano (impugnazione dei dinieghi di rinnovo del permesso di soggiorno), giovandosi di una situazione di soggiorno regolare; nonché per violazione degli articoli 24 e 113 della Costituzione, perché non si potrebbe escludere che lo straniero legittimamente espulso sia comunque parte di controversie civili o amministrative che per lui rivestono vitale importanza.
La Corte, pertanto, considerato che il provvedimento di rimessione fornisce una descrizione insufficiente in ordine alla fattispecie concreta sottoposta all'esame del giudice a quo, dal momento che si limita ad affermare che sussistono le condizioni economiche disagiate del ricorrente, quale presupposto richiesto per l'ammissione al beneficio, senza tenere presente che da tale affermazione non si desume se il cittadino extracomunitario fosse o meno in possesso dei requisiti di reddito necessari per accedere al patrocinio a spese dello Stato, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione.
2) L’ordinanza n. 160: il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bolzano ha sollevatoquestione di legittimità costituzionale dell’art. 117, comma 1, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 , in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), «in quanto non estende gli effetti dell’ammissione al gratuito patrocinio quali previsti e specificati dall’art. 107 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 anche in favore del difensore di ufficio di persona irreperibile».
La norma in questione nello stabilire che l’onorario e le spese spettanti al difensore d’ufficio di persona irreperibile siano liquidati nella misura e con le modalità previste dagli articoli 82 e 84 del medesimo d.P.R. n. 115 del 2002, «costringerebbe il difensore d’ufficio di persona irreperibile alla anticipazione di spese anche rilevanti, come nella specie, nella quale gli atti del procedimento sono raccolti in ben quindici volumi».
Vi sarebbe, quindi disparità di trattamento rispetto alla posizione dei difensori «degli altri imputati, ammessi al gratuito patrocinio, nei cui confronti, ai sensi dell’art. 107 del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 per effetto dell’ammissione al patrocinio alcune spese sono gratuite – quali le copie degli atti processuali necessarie per l’esercizio della difesa – mentre altre sono anticipate dall’erario», come «l’onorario e le spese agli avvocati».
Il rimettente vi ravviserebbe la gravosa conseguenza che al difensore dell’imputato irreperibile vengono liquidati l’onorario e le spese del procedimento da esso anticipati, soltanto a conclusione del procedimento, mentre il difensore di imputato reperibile usufruisce per contro gratuitamente delle copie degli atti processuali necessarie per l’esercizio del diritto di difesa, e allo stesso vengono anticipate dall’erario anche l’onorario e le altre spese – non gratuite – da quest’ultimo sostenute»;
La Corte ha dichiarato la questione manifestamente infondata sotto tutti i prospettati profili di censura e cioè non è ravvisabile una violazione dell’art. 3 Cost., giacché il giudice a quo pone in comparazione situazioni disomogenee tra loro, quali l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (e gli effetti che ad essa conseguono) e la difesa d’ufficio dell’imputato irreperibile.
L’ammissione al patrocinio, rispondendo ad un preciso vincolo costituzionale, posto dal comma terzo dell’art. 24 Cost., si radica sul presupposto della “non abbienza” (art. 74 del d.P.R. n. 115 del 2002), che si concretizza nella titolarità di un reddito non superiore ad una determinata soglia (art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002), da comprovare documentalmente da parte dell’interessato (art. 79 del d.P.R. n. 115 del 2002), che è tenuto personalmente a sottoscrivere l’istanza di ammissione al patrocinio, altrimenti inammissibile (art. 78 del d.P.R. n. 115 del 2002).
Diversa è la situazione processuale dell’imputato nei cui confronti non sia stato possibile eseguire le notificazioni nei modi previsti dall’art. 157 cod. proc. pen. e non abbiano avuto esito le ulteriori ricerche imposte dall’art. 159 cod. proc. pen.; donde, la prosecuzione del processo, una volta emesso il decreto di irreperibilità, con la nomina all’imputato, che ne sia privo, di un difensore d’ufficio, che lo rappresenti.
La evidente disomogeneità degli istituti posti a raffronto rende peraltro incongruo il riferimento del rimettente ad una disparità di trattamento tra il difensore d’ufficio di persona irreperibile e il difensore d’ufficio di persona reperibile «qualora gli assistiti versino in una condizione di non abbienza», risultando intimamente contraddittorio affermare, alla luce della disciplina positiva sopra richiamata, la “non abbienza” dell’imputato irreperibile;
Non è ravvisabile, in secondo luogo, neppure la violazione dello stesso art. 24, in quanto la disciplina di cui al denunciato art. 117 è frutto di una scelta discrezionale del legislatore che si pone proprio nel solco della garanzia della difesa, rendendone effettivo l’esercizio tramite l’anticipazione, da parte dello Stato, degli onorari e delle spese del difensore d’ufficio dell’imputato irreperibile, al pari, peraltro, di quanto avviene nel caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, come fatto palese dalla lettera f) del comma 3 dell’art. 107 del d.P.R. n. 115 del 2002.
Secondo la Corte non vi è ragione neppure di sostenere il prospettato vulnus all’art. 111 Cost. giacché la doglianza, fondata su argomentazioni analoghe a quelle già esaminate, non assume alcun autonomo rilievo.
3) L’ordinanza n. 176: il Tribunale di Lecce ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 116 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 36 della Costituzione.
Gli gli artt. 116 e 117 del d.P.R. n. 115 del 2002 disciplinano la retribuzione, a carico dello Stato, del difensore d’ufficio, ed il giudice a quo si chiede se titolare del diritto di esigere il credito professionale, per garantire l’effettività del diritto di difesa, sia esclusivamente il difensore d’ufficio originariamente nominato per il procedimento ai sensi dell’art. 97, primo comma, cod. proc. pen., ovvero anche quello nominato come sostituto ai sensi dell’art. 97, quarto comma, cod. proc. pen., in relazione all’attività concretamente svolta.
L’art. 116 del d.P.R. n. 115 del 2002, così come formulato, presenterebbe profili di incostituzionalità, poiché il sostituto non avrebbe diritti verso il difensore di fiducia sostituito e, nella parte in cui non equiparerebbe il sostituto ex art. 97, quarto comma, cod. proc. pen., al difensore d’ufficio, sarebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, che impone al legislatore il trattamento uguale di situazioni tra loro omogenee, con l’art. 36 della Costituzione, che sancisce il diritto di ciascun lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto, e con l’art. 24, secondo comma, della Costituzione, che tutela l’effettività del diritto di difesa.
La Corte ha dichiarato la questione manifestamente infondata per erroneità del presupposto interpretativo, in quanto, ai sensi dell’art. 97, quarto comma, cod. proc. pen., al difensore designato in sostituzione si applicano le disposizioni dell’art. 102 dello stesso codice, secondo cui il «sostituto esercita i diritti ed assume i doveri del difensore» (ordinanza n. 8 del 2005) e, quindi, anche al primo si applica la normativa relativa al patrocinio a spese dello Stato.
4) L’ordinanza n. 177: la Corte di Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 112, comma 1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 in riferimento all’art. 77, primo comma, della Costituzione.
Secondo il rimettente, il difensore di un imputato, nell’ambito di un procedimento penale in ordine al reato di cui all’art. 80, comma 2, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), aveva proposto ricorso per cassazione avverso il decreto con il quale la Corte d’appello di Bari aveva revocato de plano, ai sensi degli artt. 112, 113 e 114 del d.P.R. n. 115 del 2002, su richiesta avanzata dall’Agenzia delle entrate di Bari, il decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, emesso dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, sulla base della presunzione di sussistenza di una disponibilità di reddito superiore al limite massimo fissato dalla normativa di settore, desumibile dalla definitiva sentenza di condanna, laddove si era accertato che l’imputato aveva posto in essere, a fini di lucro, un’attività di spaccio di sostanze stupefacenti di notevole rilevanza.
Secondo il reclamante, il provvedimento impugnato, sarebbe stato emesso, ai sensi dell’art. 112 del d.P.R. n. 115 del 2002, con decreto de plano, con conseguente violazione del principio del contraddittorio.
La citata disposizione avrebbe ridisciplinato, sotto il profilo sostanziale, tutte le ipotesi di revoca del beneficio, prevedendo, alle lettere a), b) e c) del comma 1, le revoche «d’ufficio» di carattere c.d. formale, ed alla lettera d) dello stesso comma 1, quella «su richiesta dell’ufficio finanziario, presentata in ogni momento, e comunque non oltre cinque anni dalla definizione del processo, se risulta provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito».
L’art. 113 stabilisce poi la ricorribilità per cassazione (non più limitata ai soli casi di «violazione di legge») solo contro il decreto che decide sulla richiesta di revoca dell’Ufficio finanziario.
La norma impugnata, sotto il profilo squisitamente procedimentale, statuisce, invece, che in tutte le ipotesi previste, il magistrato revoca l’ammissione con decreto motivato.
La norma sarebbe, pertanto, decisamente innovativa rispetto al sistema della legge n. 217 del 1990 che prevedeva, all’art. 10, comma 2, nelle ipotesi di revoca o modifica del provvedimento di ammissione su richiesta del pubblico ministero o dell’ufficio finanziario (come nel caso in esame), l’applicabilità della procedura di cui all’art. 6, comma 4, che rinviava, a sua volta, all’art. 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794, e cioè ad una disposizione che dettava, in proposito, una disciplina ispirata a garantire il principio del contraddittorio (essendo, tra l’altro, prevista la comparizione degli interessati davanti al giudice).
E’, quindi, evidente che la nuova normativa avrebbe abrogato il procedimento in contraddittorio tra le parti precedentemente previsto avverso la revoca del provvedimento di ammissione, ora non più richiamato neppure implicitamente, determinando una sostanziale modifica del previgente sistema, che, secondo il rimettente, non sarebbe autorizzato dal legislatore per contrasto con la legge di delega in quanto la delega stessa si limiterebbe a permettere un coordinamento meramente formale di norme preesistenti.
La Corte ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione in quanto
a) tra i criteri direttivi individuati nella delega, assume rilievo quello previsto dalla lettera d), comma 2, dell’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – legge di semplificazione 1998), come modificato dall’art. 1 della legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi – legge di semplificazione 1999) concernente il «coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo», aggiungendo che «se l’obiettivo è quello della coerenza logica e sistematica della normativa, il coordinamento non può essere solo formale, come non ha mancato di sottolineare il Consiglio di Stato nel parere espresso nel corso della procedura di approvazione del testo unico» e che, «se l’obiettivo è quello di ricondurre a sistema una disciplina stratificata negli anni, con la conseguenza che i principî sono quelli già posti dal legislatore, non è necessario che – come vorrebbe il rimettente – sia espressamente enunciato nella delega il principio già presente nell’ordinamento, essendo sufficiente il criterio del riordino di una materia delimitata», con la conseguenza che «entro questi limiti il testo unico poteva innovare per raggiungere la coerenza logica e sistematica» (sentenza n. 52 del 2005);
b) che, del resto, nonostante un difetto di coordinamento normativo delle disposizioni trasfuse nel testo unico ed in parte novellate, si può ricavare dal sistema la possibilità di una interpretazione adeguatrice secondo la quale è sempre esperibile, nei confronti dei provvedimenti di revoca della ammissione al patrocinio a spese dello Stato emessi dal giudice competente, il ricorso al Presidente del tribunale o della corte di appello, i cui provvedimenti sono ricorribili per cassazione ovvero, in caso di revoca richiesta dall’ufficio finanziario, direttamente il ricorso per cassazione;
c) che, come già affermato dalla Corte, «per “diritto vivente”, come espresso in numerose pronunce della Corte di cassazione, confermato dalla recente sentenza delle sezioni unite penali del 14 luglio 2004, n. 36168, tutti i provvedimenti che dispongono in ordine alla ammissione al patrocinio a spese dell’erario, compresi quelli di revoca di un precedente provvedimento, sono impugnabili negli stessi termini e con i medesimi rimedi stabiliti dall’art. 99 del d.P.R. n. 115 del 2002, non avendo il testo unico abrogato i diritti e le garanzie difensive previsti dalla previgente disciplina» (sentenza n. 54 del 2005).
5) L’ordinanza n. 201: il Tribunale di Padova ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 130 del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui dispone che, nel caso di patrocinio a spese dello Stato, gli importi spettanti al difensore sono ridotti della metà, ove si tratti di procedimenti civili in ciò ravvisando un contrasto con l’art. 3 della Costituzione per la irragionevole disparità di trattamento che si determinerebbe rispetto all’onorario previsto per il difensore nel processo penale, per il quale la predetta riduzione non opera.
La Corte ha dichiarato manifestamente infondata la questione richiamando la precedente ordinanza n. 350/2005, che ha esaminato identica questione, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
La Corte ribadisce che la diversità di disciplina fra la liquidazione degli onorari e dei compensi nel processo civile e nel processo penale trova fondamento nella diversità delle situazioni comparate (da una parte gli interessi civili, dall’altra le situazioni tutelate che sorgono per effetto dell’esercizio dell’azione penale), e che la circostanza dedotta secondo cui il sistema di liquidazione degli onorari civili impone al difensore di prestare la propria opera per un compenso inferiore al minimo previsto, che, normalmente, costituirebbe infrazione ai doveri deontologici e fatto suscettibile di sanzione disciplinare, è costituzionalmente irrilevante ove si tenga presente che il sistema di liquidazione è imposto da una norma di legge, che, come tale, può legittimamente derogare anche ai minimi tariffari.
______________________
Avv. Nicola Ianniello presidente dell’A.N.V.A.G. Associazione Nazionale Volontari Avvocati per il Gratuito patrocinio e la difesa dei non abbienti- 07/06
 
 
 

 

Un comma inutile?

Un comma inutile?
 
di Nicola Ianniello*
______________________
Memorandum:
ART. 76 (Condizioni per l'ammissione)
1. Può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.296,22.
2. Salvo quanto previsto dall'articolo 92, se l'interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l'istante.
3. Ai fini della determinazione dei limiti di reddito, si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ovvero ad imposta sostitutiva.
4. Si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.
ART. 79(Contenuto dell'istanza)1. L'istanza è redatta in carta semplice e, a pena di inammissibilità, contiene:
a) la richiesta di ammissione al patrocinio e l'indicazione del processo cui si riferisce, se già pendente;
b) le generalità dell'interessato e dei componenti la famiglia anagrafica, unitamente ai rispettivi codici fiscali;
c) una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell'interessato, ai sensi dell'articolo 46, comma 1, lettera o), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell'articolo 76;
ART. 95 (Sanzioni) La falsità o le omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste dall'articolo 79, comma 1, lett. b), c) e d) sono punite con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309,87 a euro 1.549,37. La pena è aumentata se dal fatto consegue l'ottenimento o il mantenimento dell'ammissione al patrocinio; la condanna importa la revoca, con efficacia retroattiva, e il recupero a carico del responsabile delle somme corrisposte dallo Stato.
*** * ***
La risoluzione della Agenzia delle Entrate e la sentenza della Corte Costituzionale richiamate nell’articolo si trovano sul sito www.anvag.it
*** * ***
L’articolo sulla infedele attestazione della percezione dei redditi ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio dell’egregio Collega Avv Massimiliano Strampelli a commento della sentenza della Suprema Corte di Cassazione Sez V penale del 9 ottobre 2007, sollecita alcuni spunti di riflessione anche a seguito della risoluzione della Agenzia delle Entrate dello scorso gennaio.
L’Ufficio finanziario ha dato riscontro ad un interpello che chiede di conoscere i criteri di determinazione del reddito imponibile ai fini Irpef previsto per l’ammissione al beneficio del gratuito patrocinio.
La Suprema Corte già da tempo (cfr le precedenti pronunce indicate dall’Avv. Strampelli) afferma che il bene tutelato dall’odierno art. 95 del T.U. n.115/02 è rappresentato dalla pubblica fede che “viene lesa anche nella ipotesi in cui la dichiarazione dell’istante circa le sue fonti di reddito pur non decisiva, si appalesi tuttavia falsa”.
Ebbene, andando ad esaminare quale tipo di autocertificazione sul reddito debba essere presentata, ci si accorge che il dato cui si fa generalmente riferimento è il reddito imponibile della ultima dichiarazione e cioè quello risultante dopo aver detratto gli oneri deducibili e sul quale verrà applicata la aliquota fiscale.
Così è per esempio per l’Ordine forense romano che si limita a richiedere la dichiarazione del “reddito imponibile, ai fini dell’imposta personale sui redditi, risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi riferita all’anno xy” per sé e per i familiari conviventi è pari ad x e, a seguire, la dichiarazione che la “somma del reddito imponibile più quello dei suoi familiari conviventi, è quindi inferiore all’importo previsto dall’art. 76 e 77 del T.U. n 115/02”.
Ma l’articolo 76 cit. stabilisce al comma terzo che nel reddito complessivo si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ovvero ad imposta sostitutiva.
Ed allora il terzo comma dell’art. 76 cit. sembrerebbe un comma inutile in quanto l’attenzione del richiedente non sembra neppure minimamente scomodata nel voler considerare redditi diversi da quello ordinariamente indicato né avrebbe lo spazio utile (ancorché ne avesse l’intenzione) per denunciarli.
Eppure nel formulario adottato per le controversie transfrontaliere in ambito europeo si trovano precise domande concernenti la situazione complessiva patrimoniale del soggetto richiedente.
E non si dimentichi che l’Europa ha avuto ed ha nei confronti dell’Italia una forte sollecitazione per la introduzione di normativa idonea ad una difesa effettiva specie dei non abbienti.
E’ vero che i lavori preparatori del T.U. sulle spese di giustizia si sono caratterizzati, tra l’altro, per la convinzione unanime che si sarebbe dovuto semplificare al massimo il momento dell’accesso al beneficio, pur tuttavia tale preoccupazione non deve provocare errori e vizi (di volontà) che si rivelano dannosi nel prosieguo degli atti e ciò anche per eccesso di superficialità.
Orbene, la risoluzione n. 15 emessa nel gennaio scorso dall’Agenzia delle Entrate fa propria la decisione della Corte Costituzionale n. 144 del 1992 la quale, investita della questione di costituzionalità dell’art 3 della legge n. 217 del 1990 corrispondente all’art. 95 del T.U. n. 115/02, ha statuito, seppur incidentalmente, che la dichiarazione ai fini del beneficio richiesto deve essere omnicomprensiva di tutto ciò che è “reddito in senso economico”.
La Corte premette che il presupposto generale della non abbienza ha la sua specificazione nel “reddito” dell’istante ed in ciò si evidenzia la scelta del legislatore di fissare – nell’esercizio della sua discrezionalità – una soglia di reddito che leghi ad un dato oggettivo lo stato di “non abbienza”.
La Corte chiarisce che per rispettare il canone della ragionevolezza, la scelta del legislatore deve essere coerente con il presupposto della non abbienza” e pertanto devonsi tenere in considerazione tutti i redditi percepiti da chi aspira al beneficio e, quindi, anche redditi che non sono assoggettati ad imposta sia perché non rientranti nella base imponibile, sia perché esenti, sia perché di fatto non subiscono alcuna imposizione.
Anche i redditi prodotti da attività illecite – che secondo alcune pronunce giurisprudenziali non sono tassabili – rilevano ai fini dell’ottenimento del beneficio e tali redditi sono accertabili con gli ordinari mezzi di prova, tra cui le presunzioni semplici previste dall’art. 2739 c.c. (quali il tenore di vita ed altri fatti di emersione della percezione di redditi).
La Corte rammenta che la procedura per l’ammissione al beneficio non consente una verifica e un controllo preventivi da parte del giudice competente ad accordare il beneficio ed oggi aggiungiamo anche, nelle materie diverse da quella penale, dal competente Ordine forense.
Il soggetto interessato al beneficio deve sì autocertificare tutti i suoi redditi sia rientranti nell’imponibile IRPEF sia esenti o comunque non assoggettati ad IRPEF ma colui che riceve l’istanza non è tenuto, né può entrare nel merito dell’autocertificazione ma deve limitarsi a valutare che ricorrano o meno le condizioni per ottenere il patrocinio e, quindi, se l’ammontare dei redditi esposti sia o meno compreso nel limite di legge e, all’esito del controllo documentale (e quindi rapido) accordare, o negare, il beneficio richiesto.
Il controllo sulla veridicità viene espletato dalla Amministrazione finanziaria la quale potrà poi chiedere al magistrato il provvedimento di revoca (ex tunc) o modifica (ex nunc) del beneficio.
L’Agenzia delle Entrate conferma che il reddito cui fa riferimento l’articolo 76 del D.P.R. n 115 del 2002 sia il reddito imponibile ai fini IRPEF (comma 1) come definito dall’art. 3 del Tuir ed inoltre i redditi indicati dallo stesso art. 76 (comma 3).
L’Agenzia chiarisce che l’art 3 del Tuir prevede che “l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 11”.
Le conseguenze di false dichiarazioni sono piuttosto gravi e possiamo portare alcuni esempi provenienti dal Tribunale di Enna.
Con provvedimento del mese di maggio 2006 il giudice monocratico Luisa Maria Bruno ha riconosciuto XY di Piazza Armerina colpevole del reato di falsità ideologica ascrittogli e lo ha condannato ad un anno ed un mese di reclusione e 400 euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali in quanto esso imputato nel maggio del 2000, nella qualità di indagato nel procedimento pendente presso la Procura della Repubblica, aveva attestato falsamente nella dichiarazione di possedere i requisiti per l’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato con particolare riferimento all’ammontare dei redditi goduti dallo stesso e dai familiari conviventi, mentre gli uffici competenti avevano accertato che il reddito del padre ammontava a 32 milioni circa delle vecchie lire (pari a € 16.526,62), valore questo superiore ai limiti reddituali previsti dalla legge (€9.723,84).
Con altro provvedimento dell’aprile del 2006 il giudice monocratico, David Salvucci, ha riconosciuto XY responsabile di dichiarazione false e lo ha condannato alla pena di otto mesi di reclusione e 220 euro di multa oltre al pagamento delle spese processuali.
Infatti, lo stesso aveva presentato, tramite il suo avvocato difensore, un’istanza per chiedere l’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato autocertificando che esistevano le condizioni per avere il gratuito patrocinio: a tale scopo aveva attestato falsamente di essere residente nel comune di Motta di Livenza, mentre, invece, lo stesso risulta risiedere a Villarosa ed alla data della domanda risultava far parte del nucleo familiare, facente capo al padre, XY, che nel 2001 aveva percepito un reddito di circa cinque mila e 500 euro. Nel corso della sua requisitoria il Pm aveva chiesto la condanna dell’imputato a due anni di reclusione e a 600 euro di multa, mentre l’avvocato difensore nella sua arringa aveva chiesto l’assoluzione.
La condanna più consistente, otto mesi di reclusione, è stata sentenziata nei confronti di XY di 33 anni, che era stato rinviato a giudizio perché in concorso con la moglie aveva dichiarato di non essere titolare di redditi di lavoro e di non avere presentato alcuna dichiarazione dei redditi ai fini Irpef, ottenendo per la moglie l’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato, provvedimento poi revocato dal Gip presso il tribunale di Enna, dopo che erano stati effettuati gli accertamenti patrimoniali. Il Pm nella sua requisitoria aveva chiesto la condanna dell’imputato ad un anno di reclusione. Il giudice monocratico Maria Luisa Bruno lo ha riconosciuto colpevole condannandolo ad otto mesi di reclusione, 400 euro di multa, pagamento delle spese processuali con pena sospesa. L’imputato dovrà restituire all’Erario le somme che erano state percepite a seguito dell’ammissione al patrocinio gratuito.
Quattro mesi di reclusione e 40 uro di multa con pena sospesa per XYdi 53 anni, nata a Catenanuova perché riconosciuta colpevole di falso e truffa. La stessa aveva dichiarato di avere i requisiti per essere inserita tra coloro i quali potevano percepire dal comune il reddito minimo di inserimento, mentre gli accertamenti della Guardia di Finanza avevano evidenziato il possesso di libretto a risparmio con circa 13 milioni delle vecchie lire. Il Pm aveva chiesto la condanna della imputata a nove mesi di reclusione e multa. Il giudice monocratico Maria Luisa Bruno ha condannato l’imputata a quattro mesi di reclusione, 40 euro di multa, pagamento delle spese processuali, pena sospesa non menzione.
Dalle considerazioni svolte è agevole immaginare il danno in termini di tempo, risorse umane ed economiche provocato da una autocertificazione che si riveli in seguito falsa.
Non sembra fantasioso ritenere che una delle cause di commissione del grave reato di falso ideologico nella materia che interessa possa ricercarsi anche nella eccessiva superficialità dell’atto di introduzione della richiesta che sembra addirittura carente di elementari domande, come quelle contenute nel questionario europeo, che possano almeno avere la funzione di fissare l’attenzione su alcuni dati che il richiedente potrebbe ritenere esclusi o superflui.
In occasione del 28° Congresso Nazionale Forense di Roma chi scrive ebbe a raccomandare tra l’altro di esercitare un maggior rigore nell’esame delle domande per il patrocinio a spese dello Stato con il conforto di un impegno più incisivo da parte della Amministrazione finanziaria.
Il beneficio del gratuito patrocinio accordato illegittimamente a chi non ne ha diritto danneggia non solo le casse dello Stato ma anche chi chiede di usufruirne ma non viene ammesso per pochi spiccioli incassati in più nell’anno.
E’ ora anche di riflettere se il limite di euro 9723,84 annuo non sia a dir poco ridicolo!
_____________________________
* Avv.Nicola Ianniello presidente dell’A.N.V.A.G. Associazione Nazionale Volontari Avvocati per il Gratuito patrocinio e la difesa dei non abbienti – 03/2008
 
 

 

La ordinanza n.350 del 15-29 luglio 2005 sui minimi tariffari

La ordinanza n.350 del 15-29 luglio 2005 sui minimi tariffari
 
di Nicola Ianniello*
---------------------------------------
 
Si segnala la ordinanza della Corte Costituzionale investita del giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 130 del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di giustizia) sollevato in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione dai Tribunali di Catanzaro e Firenze.
E’ stato rilevato che gli onorari dovuti al difensore e all’ausiliario vengono liquidati ai sensi e per gli effetti degli artt.82 e 83 del detto decreto in misura tale che non siano superiori ai valori medi previste dalle tariffe professionali e soltanto per i procedimenti civili, amministrativi, contabili e tributari tali valori debbono essere ridotti della metà.
Tale imposizione comporta che gli importi finali risulterebbero inferiori ai minimi tariffari desumendo la irragionevolezza della disciplina censurata in quanto il legislatore non ha considerato che vengono così violati i minimi tariffari giudicati inderogabili.
E’ stato inoltre rilevato che il legislatore avrebbe introdotto una irragionevole disparità di trattamento di situazioni identiche dovendosi ritenere della stessa valenza la difesa penale e quella civile e amministrativa.
Nella ordinanza in commento la Corte richiama le precedenti pronunzie (ord.ze n.317/2004, n.500/2002, n.429/1998) con le quali ha ritenuto incomparabili le situazioni protette in sede penale rispetto agli interessi protetti in sede civile e amministrativa.
Riguardo al sistema di liquidazione degli onorari civili per un compenso inferiore al minimo previsto dalle tariffe, il Giudice costituzionale dichiara irrilevante la questione in quanto tale sistema di liquidazione viene imposto da una norma di legge che, come tale, può legittimamente derogare anche ai minimi tariffari.
 
 
 
CORTE COSTITUZIONALE
Ordinanza n. 350 del 15-29/07/2005
Camera di Consiglio del 22/06/2005
Decisione del 15/07/2005 Deposito del 29/07/2005
Ordinanze di rimessione
899/2004 930/2004 983/2004
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO " rel.
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimita’ costituzionale dell'art. 130 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), promossi con ordinanze del 12 maggio 2004 dal Tribunale di Catanzaro, e del 13 aprile 2004 e 5 dicembre 2003 dal Tribunale di Firenze, rispettivamente iscritte ai nn. 899, 930 e 983 del registro ordinanze 2004 e pubblicate della Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 46, 47 e 49, prima serie speciale, dell'anno 2004.
Udito nella camera di consiglio del 22 giugno 2005 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto che il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza del 12 maggio 2004 (reg. ord. n. 899 del 2004), emessa sulla istanza di liquidazione di onorario di avvocato per il patrocinio a spese dello Stato in un processo civile concluso con sentenza di condanna del convenuto e compensazione delle spese di lite, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale dell'art. 130 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), nella parte in cui prevede che, nel caso di patrocinio a spese dello Stato, gli importi spettanti al difensore, che devono essere liquidati, ai sensi dell'art. 82 dello stesso decreto, in modo da non superare i valori medi della tariffa professionale vigente, siano ulteriormente ridotti della meta’, ove si tratti di processi civili ed amministrativi;
che il giudice a quo, sospeso il procedimento di liquidazione, e premesso, quanto alla propria legittimazione a proporre incidente di costituzionalita’ nella fase attuale, che il provvedimento sulla liquidazione delle spese e’ pronunciato all'esito di una fase processuale, ed e’ suscettibile di impugnazione ai sensi degli artt. 84 e 170 del d.P.R. n. 115 del 2002, rileva che, nel caso di specie, in cui il valore della controversia e’ pari ad € 900,00, facendo applicazione dei predetti criteri, gli importi finali risulterebbero inferiori ai minimi tariffari, desumendo da cio’ la irragionevolezza della disciplina censurata, in quanto il legislatore, nel prevedere l'abbattimento della meta’ dei compensi, gia’ valutati secondo valori medi, non ha considerato la possibilita’ che in tal modo vengano violati i minimi tariffari, gia’ giudicati inderogabili, eccettuata la ipotesi di manifesta sproporzione rispetto alla prestazione professionale;
che la norma impugnata, osserva il rimettente, impone al difensore di prestare la propria opera per un compenso inferiore al minimo previsto, cio’ che, in circostanze normali, costituirebbe infrazione ai doveri deontologici e fatto suscettibile di sanzione disciplinare; laddove il legislatore si sarebbe potuto limitare a prevedere che il difensore della parte ammessa al patrocino a spese dello Stato debba svolgere la propria opera professionale retribuita secondo la misura minima prevista dalle tariffe professionali;
che la normativa di cui si tratta appare inoltre al giudice a quo censurabile anche sotto altro profilo, in quanto, nel prevedere la diminuzione della meta’ del compenso del difensore nei processi civili ed in quelli amministrativi, e non anche in quelli penali, introdurrebbe nell'ordinamento una irragionevole disparita’ di trattamento di situazioni identiche, non potendosi, astrattamente ed indiscriminatamente, ipotizzare una minor valenza della difesa nei processi civili ed amministrativi rispetto a quelli penali;
che il Tribunale di Firenze, nel procedimento di liquidazione degli onorari di un c.t.u. medico-legale nella causa civile avente ad oggetto la cessazione degli effetti civili di un matrimonio, con ordinanza del 13 aprile 2004 (reg. ord. n. 930 del 2004), ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale dello stesso art. 130 del citato decreto presidenziale, nella parte in cui prevede che gli importi spettanti all'ausiliario del giudice nominato nel corso del processo civile siano ridotti della meta’;
che il rimettente fa presente che, dopo che il giudice istruttore aveva provveduto, con decreto in data 20 gennaio 2003, alla liquidazione della somma di € 580,48 a titolo di onorari al c.t.u., ponendola in via provvisoria a carico delle parti solidalmente, lo stesso aveva revocato il decreto dichiarando, con provvedimento in data 10 novembre 2003, non luogo a provvedere allo stato sulla richiesta di liquidazione di detti onorari, e rinviandone l'esame all'esito del giudizio;
che, quindi, con sentenza emessa nella stessa data della ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, la causa era stata decisa;
che il giudice a quo rileva che il c.t.u. aveva quantificato la propria richiesta di liquidazione senza tener conto del dimezzamento imposto dall'art. 130 del d.P.R. n. 115 del 2002, e, osservato che comunque sono dovuti gli importi risultanti dall'applicazione dell'art. 21 del d.m. 30 maggio 2002 e dal dimezzamento di cui al citato art. 130, e, pertanto, liquidata la somma di € 290, 77, ritiene rilevante, con riguardo all'ulteriore importo richiesto, oltre che non manifestamente infondata, la questione di legittimita’ costituzionale di detta norma nella parte in cui prevede tale riduzione per il solo ausiliario nominato nel corso del processo civile, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, a causa della disparita’ di trattamento rispetto all'ausiliario che svolga il suo incarico nell'ambito del processo penale;
che la medesima questione e’ stata sollevata dal Tribunale di Firenze con ordinanza emessa in data 5 dicembre 2003, pervenuta alla Corte solo il 9 novembre 2004 (reg. ord. n. 983 del 2004), nel corso del procedimento di liquidazione degli onorari di avvocato relativi ad una causa di separazione giudiziale fra coniugi.
Considerato che il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza del 12 maggio 2004, e il Tribunale di Firenze, con due distinte ordinanze 13 aprile 2004 e 5 dicembre 2003, hanno sollevato questione di legittimita’ costituzionale dell'art. 130 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), nella parte in cui stabilisce che, nei casi di patrocinio a spese dello Stato, i compensi spettanti ai difensori, ai consulenti ed agli ausiliari del giudice – che, per quanto riguarda, in particolare, i primi, non possono comunque superare, a norma dell'art. 82 dello stesso decreto, i valori medi delle tariffe professionali vigenti – siano ridotti della meta’, ove si tratti di procedimenti civili ed amministrativi, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, per la disparita’ di trattamento rispetto alla disciplina degli stessi compensi nei processi penali, ed inoltre (profilo evidenziato dal solo Tribunale di Catanzaro), per la irragionevolezza della normativa, che, nel prevedere detto abbattimento, consente che siano violati i minimi tariffari; nonche’ dell'art. 24 della Costituzione (censura sollevata dal solo Tribunale di Catanzaro);
che le ordinanze di rimessione sollevano questioni di legittimita’ costituzionale della stessa disposizione di legge con motivazioni che sono in parte identiche ed in parte analoghe, sicche’ i relativi giudizi devono essere riuniti per essere decisi con unico provvedimento;
che la giurisprudenza di questa Corte e’ costante nel ritenere che la garanzia costituzionale del diritto di difesa non esclude, quanto alle sue modalita’, la competenza del legislatore a darvi attuazione sulla base di scelte discrezionali non irragionevoli (v., tra le altre, sentenza n. 394 del 2000; ordinanza n. 299 del 2002);
che, quanto alla legittimita’ delle differenze nella disciplina dei diversi tipi di processo, questa Corte ha sottolineato, in linea di principio, che la intrinseca diversita’ dei modelli del processo civile e di quello penale non consente alcuna comparazione (v., tra le altre, ordinanze n. 317 del 2004; n. 500 del 2002; 429 del 1998);
che la diversita’ di disciplina fra la liquidazione degli onorari e dei compensi nel processo civile e nel processo penale trova fondamento nella diversita’ delle situazioni comparate (da una parte gli interessi civili, dall'altra le situazioni tutelate che sorgono per effetto dell'esercizio dell'azione penale: v. sentenza n. 165 del 1993);
che la circostanza dedotta secondo cui il sistema di liquidazione degli onorari civili impone al difensore di prestare la propria opera per un compenso inferiore al minimo previsto, che, normalmente, costituirebbe infrazione ai doveri deontologici e fatto suscettibile di sanzione disciplinare, e’ costituzionalmente irrilevante ove si tenga presente che il sistema di liquidazione e’ imposto da una norma di legge, che, come tale, puo’ legittimamente derogare anche ai minimi tariffari;
che le questioni, pertanto, vanno dichiarate manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i ricorsi,dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimita’ costituzionale dell'art. 130 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Catanzaro, e, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze, con le ordinanze in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 2005.
F.to:
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 29 luglio 2005.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
 
----------------------------
* (Avv.Nicola Ianniello,presidente dell’A.N.V.A.G. Associazione Nazionale Volontari Avvocati per il Gratuito patrocinio e la difesa del non abbiente – 10/05)
 
 
 

 

Pagine

Abbonamento a RSS - Legislazione e ricerca