Corte di Cassazione

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Cass sez IV pen sent n. 28478 pubbl 16 lug 2024

riguarda il reddito dei familiari rapportato al periodo di convivenza ex art. 76 comma 2 t.u.s.g.

Il Tribunale di Crotone respingeva l'opposizione proposta da XX avverso il decreto con cui il medesimo Tribunale aveva revocato l'ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato relativa ad un procedimento penale a seguito degli accertamenti compiuti dalla Guardia di finanza.
Il Tribunale riteneva che nel reddito complessivo dovessero essere considerate anche le somme percepite dalla figlia del ricorrente, con conseguente superamento della soglia prevista per l'ammissione.
XX ricorre in Cassazione, deducendo, tra l'altro, che la condizione di convivenza deve essere valutata al momento della domanda poiché altrimenti l'ammissione al beneficio verrebbe a dipendere da redditi di persone che, non facendo più parte del nucleo familiare, non sono più tenute a contribuire al sostentamento economico.
La Cassazione, accogliendo il ricorso, stabilisce che ai fini della valutazione della sussistenza delle condizioni di reddito richieste dalla legge per l'ammissione al beneficio, il reddito annuale dei familiari conviventi, ove nell'anno di riferimento cessi il rapporto di convivenza, non può essere computato per l'intero, dovendosi invece prendere in considerazione la sola frazione di reddito corrispondente al periodo di effettiva convivenza.
Erga: nella istanza vanno indicati anche i redditi dei familiari la cui convivenza, durante l'anno di riferimento, sia venuta meno, ferma restando la rilevanza dei soli redditi percepiti fino a quel momento.
A tal fine occorre fare riferimento alla situazione emergente dall'ultima dichiarazione, ovvero a quella per la quale è maturato, al momento del deposito della istanza, l'obbligo di presentazione, sommando i redditi dei conviventi, secondo quanto si evince dalla lettura dell'art. 76 d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, ed in particolare dal riferimento, contenuto nell comma 2, ai "redditi conseguiti nel medesimo periodo" da ogni componente della famiglia, compreso l'istante.

Cass sez IV pen sent n. 22854 pubbl 6 giu 2024

La Corte chiarisce che non si può ritenere la autocertificazione sui propri carichi pendenti inattendibile semplicemente in tanto in quanto il richiedente “sarebbe gravato da carichi pendenti per reati contro il patrimonio” peraltro “non meglio indicati” e perché non è stato depositato il “certificato del casellario giudiziale”.
Nei termini delle presunzioni semplici applicabili al caso in esame non si è trattato di “specifici ed oggettivi elementi fattuali” di portata tale “da far ritenere che l’imputato percepisse redditi illeciti nel corso dell’anno 2019”, come in effetti dovrebbe legittimamente attendersi.
Il Tribunale di Sciacca che aveva rigettato la opposizione contro il decreto del GIP che aveva respinto la domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. L’imputato con autocertificazione aveva attestato la consistenza del nucleo familiare e un reddito inferiore a quello stabilito dalla legge per l’ammissione al beneficio. Il GIP aveva ritenuto di considerare anche il reddito “tratto da attività illecita”, dando rilievo autonomamente ad “almeno quattro procedimenti per reati contro il patrimonio” attraverso i quali si potevano “presumere che l’imputato si alimentasse con attività illecite e che avesse un reddito superiore”.
Le ragioni della opposizione vengono fondate sull'errato ragionamento del Tribunale laddove si rifa ad “uno schema logico presuntivo basato sulla circostanza, negativa, della mancata produzione del certificato del casellario giudiziale, in modo da inferirne il ragionevole convincimento della esistenza di redditi occultati derivanti da attività illecita”.
Tale ragionamento apparirebbe di “portata meramente congetturale” e viziato per una “sostanziale elusione dell’obbligo di motivare i provvedimenti giudiziari”.
La Corte afferma che “pur non difettando un profilo di carattere patrimoniale, acquista innegabile peso la circostanza che il diritto di cui si discute si riverbera sull’effettivo esercizio del diritto di difesa nel processo penale” e “in tale ambito, quindi, appare razionale e conforme ai principi dell’ordinamento ritenere che, dato il carattere accessorio della controversia rispetto al processo penale, debbano trovare applicazione, fin dove è possibile, i principi e le regole dell’ordinamento penale”.
Attesi i suddetti chiarimenti, il ricorrente può devolvere l’intera questione al giudice dell’opposizione che dovrà applicare la regola del giudizio prevista dall’art. 96 t.u.s.g. A norma del quale l’istanza va respinta “se vi sono fondati motivi per ritenere che l’interessato non versa nelle condizioni di cui agli articoli 76 e 92 del dpr n. 115/2002, tenuto conto delle risultanze del casellario giudiziale, del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari, e delle attività economiche eventualmente svolte”, ciò che “comporta per il giudice l’obbligo di motivare in relazione ai contenuti probatori, anche indiziari, acquisiti al processo”.
Il principio di diritto enunciato: “Il giudizio di cui all’art. 99 dpr n. 115/2002 avverso il provvedimento con cui il magistrato competente rigetta l’istanza di ammissione non è a critica vincolata e consente una piena devoluzione delle questioni relative all’accertamento dei presupposti del beneficio al giudice competente”.
“A seguito del rigetto dell’istanza, a prescindere dalle ragioni indicate nel provvedimento, posto che il ricorrente può devolvere l’intera questione al giudice dell’opposizione, lo stesso giudice dovrà applicare la regola di giudizio corrispondente a quella prevista dall’art. 96 Dpr n. 115/2002, con l’obbligo di procedere alla valutazione composita degli indici ivi indicati, compresi quelli indiziari (nel rispetto delle previsioni dell’art. 192 cod.proc.pen.), secondo le acquisizioni del processo e senza dare ingresso a presunzioni assolute o a criteri di gerarchia tra le medesime fonti di prova”.

Cass sez II civ ord n. 11616 pubbl 30 apr 2024

Il Tribunale di Padova aveva revocato l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato alla società di mutuo soccorso e respinto l'opposizione.
La società propone ricorso per Cassazione.
Vengono accolti il secondo, terzo e il quarto motivo.
La questione ruota sostanzialmente intorno a due norme:
1)l'art 119 t.u.s.g. che recita: “Il trattamento previsto per il cittadino italiano è assicurato, altresì, allo straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del procedimento da instaurare e all'apolide, nonché ad enti o associazioni che non perseguono scopi di lucro e non esercitano attività economica”.
2)l'art 9 della legge n. 3818 del 1886 concernente la personalità giuridica delle società di mutuo soccorso che recita: Le Società di mutuo soccorso registrate in conformità alla presente legge, godono: 1. L' esenzione dalle tasse di bollo e registro, conferita alle Società cooperative dall'art. 228 del Codice di commercio;2. l'esenzione della tassa sulle assicurazioni e dell'imposta di ricchezza mobile come all'art. 8 del testo unico delle leggi d'imposta sui redditi della ricchezza mobile 24 agosto 1877, n. 4021;3. la parificazione delle opere pie pel gratuito patrocinio, per la esenzione dalle tasse di bollo e registro e per la misura dell'imposta di successione o di trasmissione per atti tra vivi;4. la esenzione di sequestro e pignoramento dei sussidi dovuti dalle Società ai soci

Nella sentenza in oggetto, la Corte, riguardo alla norma succitata sub 1), dà atto che la legge n. 3818 cit., all’art. 1, siccome novellato dal D.L. n.179/2012, recita: <>.

Riguardo, invece, alla norma succitata sub 2), la Corte chiarisce che, fermo restando la diversità di presupposti e struttura della società di mutuo soccorso riapetto alle opere pie, in quanto le prime si reggono sul principio di mutualità erogando servizi solo ai propri soci che sostengono l'attività con le proprie contribuzioni, “l’apparato del patrocinio a spese dello Stato nell’attuale disciplina ha ben più ampie finalità rispetto a quello “ab antiquo” chiamato “gratuito”, che certamente era mosso da spirito caritatevole in favore dei diseredati e delle opere di assistenza di costoro, ma non aveva finalità eccedenti quel minimo di tutela. L’attuale patrocinio a spese dello Stato (è financo superfluo precisarlo) è diretto, in adempimento del dovere di assicurare il diritto di difesa, garantito dall’art. 24 della Costituzione, a rimuovere gli ostacoli economici all’effettivo esercizio di un tal diritto fondamentale, in adempimento dei principi di cui agli artt. 2 e 3 Cost”.

Rispetto alla suddetta distinzione con le opere pie, la Corte assume come principio fondamentale quello che, in materia, è stato espresso dal Giudice delle Leggi nella ordinanza n. 128/2006 laddove viene spiegato che l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato degli enti senza finalità di lucro non è automatica, ma subordinata alle altre condizioni previste dalla legge (limite di reddito e non manifesta infondatezza).
In definitiva, si sottolinea nella sentenza in commento, “l’attività economica di cui all’art. 119 D.P.R. n. 115/2002 va rettamente intesa, in modo da ricomprendere non qualsivoglia attività, ma solo quelle che di fatto perseguano il fine lucrativo mediante un’organizzazione economica di tipo produttivo, ferma restando la necessità dello scrutinio circa la ricorrenza delle altre condizioni previste dall’art. 76 e ss. della stessa normativa”.

Di più: in chiave tributaria, la Corte ricerca la conferma di quanto sopra, nel principio espresso dalle SS.UU (sentenza n. 24883, 9/10/2008 conf. SS. UU. n. 9661/2009 ed anche Cass. 17252/2019)., laddove viene sancito che “l'art. 10, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 460 del 1997, sul riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus) - a norma del quale si intende che vengono perseguite finalità di solidarietà sociale quando le cessioni di beni e le prestazioni di servizi siano dirette ad arrecare benefici a "persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari" - dev'essere interpretato nel senso che è sufficiente che ricorra almeno una delle predette condizioni di svantaggio, non rilevando ad escludere il fine solidaristico che le prestazioni siano fornite dietro pagamento di un corrispettivo sempre che non vi sia prova del perseguimento anche di un fine di
lucro attraverso la distribuzione degli utili ovvero il loro impiego per la realizzazione di attività diverse da quelle istituzionali o a queste connesse”.

In conclusione, il concetto di attività economica – quale elemento discriminante per l’ammissione al gratuito patrocinio – non può essere applicato in astratto, ma deve essere calato nella realtà delle singole fattispecie, mentre il provvedimento impugnato aveva identificato l’attività esplicata dalla ricorrente come attività economica contrastante con la finalità di una ONLUS, in tanto in quanto avrebbe svolto una <>.

Cass sez II civ ord n. 9344 pubbl 8 apr 2024

La questione prende le mosse dalla revoca del beneficio relativo al patrocinio a Spese dello Stato a seguito di una verifica sui requisiti di reddito precedentemente soddisfatti da parte di una sezione addetta appositamente presso la Commissione Tributaria Provinciale.
La Corte rileva che non è chiaro se la parte che voglia dolersi della ingiustizia della decisione lo debba fare attraverso il mezzo di impugnazione previsto dall’art. 99 d.P.R. n. 115 del 2002,
con termine di 20 giorni per la proposizione, ovvero quello dell’art.170 del medesimo d.P.R., per il quale il termine per la proposizione è di 30 giorni.
In entrambi i casi si tratta di applicazione in via analogica di termini fissati per procedimenti diversi.
Ebbene, alla stregua del complessivo quadro sistematico esposto, per l’indubbia rilevanza delle questioni sollevate (qualificabili come di massima di particolare importanza), anche sul piano delle conseguenze pratiche che discendono dall’adesione all’una anziché all’altra tesi.
La Corte sottopone la risoluzione delle stesse al Supremo consesso: «se, ai sensi dell'art. 99 ovvero dell’art. 170 d.P.R. n. 115 del 2002, in quest’ultimo caso ex art. 111 Cost., per la proposizione di rimedio impugnatorio avverso provvedimento di revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo tributario, il ricorrente debba rispettare il termine di 20 ovvero di 30 giorni dalla pronuncia del medesimo ovvero dalla sua comunicazione, ove assunto a seguito di scioglimento di riserva dell’organo decidente».

Cass sez IV pen sent n. 12175 pubbl 25 mar 2024

L'imputato di reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 95 t.u.s.g. condannato in appello alla pena di 1 anno di reclusione e 600 euro di multa per avere dichiarato falsamente di trovarsi nelle condizioni per l'ammissione al beneficio in relazione ai redditi familiari accertati per l'anno 2012, ricorre perchè avrebbe omesso di dichiarare i propri redditi familiari in modo assolutamente incolpevole e comunque in assenza di dolo poiché la madre nascondeva i redditi del proprio figlio tossicodipendente e, pertanto, ritiene che la falsa indicazione del reddito rilevante per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato avrebbe dovuto essere valutata come falso innocuo trattandosi di una dichiarazione irrilevante ai fini del significato dell'atto e del suo valore probatorio.
La Corte ritiene che "gli argomenti della difesa circa la sussistenza del dolo della falsa dichiarazione, in assenza di qualsiasi elemento che effettivamente infici la logica deduzione operata conformemente dai giudici di primo e secondo grado, siano manifestamente infondati in quanto, sotto il profilo della qualificazione dolosa della dichiarazione non veritiera, si chiede sostanzialmente al rivalutazione di elementi probatori anche meramente documentali acquisiti e valutati dai giudici di merito, in quanto tali non oggetto di scrutinio da parte del giudice di legittimità".
La motivazione del provvedimento impugnato "dà conto con un'esposizione convincente, completa e lineare sia dell'elemento materiale sia del dolo, in particolare della consapevolezza del reddito familiare comprensivo del proprio e di quello della madre" soffermandosi ampiamente e in modo particolareggiato "sul comportamento assunto dall'imputato odierno e dall'allora coimputato circa le circostanze di fatto inerenti la convivenza familiare e quindi la conoscenza effettiva delle condizioni essenziali di tipo economico caratterizzanti la vita quotidiana di entrambi i soggetti, i quali non disponendo di un reddito autonomo erano sicuramente a conoscenza, per la loro concreta situazione di vita, delle condizioni economiche in particolare del reddito di tutti i componenti li nucleo familiare".
Si noti, conclude la Corte "che le considerazioni relative ai plurimi e gravi precedenti e al comportamento e alla personalità dell'imputato, ivi compresa la constatazione di essere stato destinatario di plurimi benefici di legge, senza però essere uscito da una scelta di vita votata agli illeciti, sono state già oggetto di valutazione del merito in relazione al disvalore complessivo del fatto da parte del giudice di appello".
La copia integrale della sentenza si deve chiedere a segreteria@anvag.it

Cass sez II civ ord n. 7974 pubbl 25 mar 2024

Dal 21 gennaio 2022, giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale (n. 10/2022) che ha dichiarato illegittima la limitazione del compenso per il gratuito patrocinio alla sola attività difensiva in giudizio, in caso di patrocinio a spese dello Stato, anche il difensore che abbia raggiunto un accordo di composizione bonaria della lite ha diritto al compenso per l’attività prestata. In armonia con l’art. 136 Costituzione, infatti, la norma che limitava il riferimento della disciplina sul patrocinio a spese dello Stato ai soli procedimenti giudiziali ha cessato di avere vigore e, pertanto, la decisione giudiziale che continui, ciononostante, a farne applicazione deve qualificarsi illegittima.

La Cassazione, ordinanza n. 7974/2024, ha dunque accolto il ricorso di un legale (che aveva fornito assistenza in una procedura di divisione giudiziale nell’ambito di una successione) contro la decisione del Tribunale di Firenze che aveva respinto l’istanza in quanto vi osterebbe l’art. 75 d.P.R. 115/2002 (T.U. spese di giustizia), il quale, facendo riferimento ad “ogni grado e fase del processo o ad eventuali procedure che nel processo si innestino”, escluderebbe l’applicazione della normativa sul patrocinio a spese dello Stato alle procedure stragiudiziali che non sfociano in una lite giudiziaria, come è nel caso della mediazione obbligatoria conclusasi con esito positivo. Il Tribunale inoltre richiamava un decisione conforme della Cassazione (n. 18123/2020) che però era precedente alla decisione della Consulta.

Per la Seconda sezione civile l’interpretazione che il giudice a quo ha offerto della sentenza n. 10/2022 della Corte costituzionale, “alla luce della precedente decisione di questa Corte n. 18123/2020, è priva d’ogni fondamento logico”. In quanto, come visto, successivamente la Consulta ha mutato il quadro normativo.

Il principio di ragionevolezza, prosegue, impone il riconoscimento al difensore del compenso per l’attività stragiudiziale espletata, specialmente nei casi in cui essa ha consentito, anche grazie all’impegno dello stesso, lo scopo deflattivo perseguito dal legislatore. Inoltre, la disposizione poi censurata comprimeva il principio di eguaglianza sostanziale, in quanto impediva a quanti versano in condizione di non abbienza “l’effettività dell’accesso alla giustizia…”.

Ne consegue, continua la Cassazione, che tanto l’argomento dell’equilibrio di bilancio quanto quello dello sconfinamento nella produzione normativa non sono più invocabili, in quanto definitivamente e pacificamente superati dalla sentenza della Consulta, che con una “decisione additiva di principio, consegna al legislatore e agli interpreti un principio di rango costituzionale”.

E nell’ordinanza n. 3888/2023 la Cassazione si è adeguata ai nuovi principi affermando che: “[...] per effetto dell’intervento del giudice delle leggi sussiste il diritto alla liquidazione del compenso vantato dall’avvocato che abbia assistito la parte in una procedura di mediazione, ma sul presupposto indefettibile che la mediazione abbia carattere obbligatorio”.

Si badi bene però, prosegue la sentenza, che tale diritto del difensore “non preclude al legislatore di poter provvedere in futuro alla attività di integrazione normativa ritenuta opportuna in quanto conseguente alla pronuncia additiva”. Tuttavia, aggiunge la Corte, il fatto che la pronuncia della Consulta “si limiti a consegnare un principio, senza contestualmente introdurre regole di dettaglio self-executing, “non esonera gli organi giurisdizionali, in attesa che il legislatore adempia al suo compito, dall’applicazione diretta di quel principio”. Si tratta infatti di “diritto vigente, capace di valere per forza propria, in quanto derivante dalla Costituzione”.

In definitiva, prosegue l’ordinanza, la Cassazione “non può esimersi dall’osservare che, ove si riconoscessero effetti vincolanti soltanto alla parte ablatoria della decisione additiva, e invece valore meramente persuasivo al principio in essa formulato, si verrebbe a negare la stessa funzione assolta dalle sentenze di accoglimento del Giudice delle leggi, le quali apparrebbero come meramente dichiarative dell’incostituzionalità di omissioni legislative e, proprio perché non seguite dall’applicazione concreta del principio da esse enunciato, non agevolmente armonizzabili con il disposto dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 della l. n. 87/1953, che invece postulano l’espunzione e la cessazione dell’efficacia della norma incostituzionale quale il necessario ed inevitabile effetto della dichiarazione di incostituzionalità̀”.

È dunque “evidentemente fondata, per tutte le considerazioni sinora svolte, la denunzia circa la violazione degli artt. 74, co. II, 75, co. I e 83, co. II, d.P.R. 115/2002 da parte dell’ordinanza impugnata, che, avendo concluso per l’esclusione ad un caso di mediazione obbligatoria sine iudicio dell’applicazione dei principi ivi aggiunti per effetto del diritto alla liquidazione del compenso, è incorsa in violazione di legge”.
N.B. Richiedere il testo integrale della sentenza a segreteria@anvag.it

Cass sez. IV pen sent. n. 10647 pubbl 14 mar 2024

Premesso che sin da SS.UU. n. 6591 del 27/11/2008 (seguite, tra le altre, da Sez. 4 - n. 8302 del 23/11/2021 (dep. 2022) Rv. 282716 - 01; Sez. 4, n. 40943 del 18/09/2015 - Rv. 264711 - 01, si è affermato il principio secondo cui integrano il delitto di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di
certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio.

Trattasi di reato di pura condotta che si rapporta, dunque, ben oltre il pericolo di profitto ingiusto, al dovere di lealtà del singolo verso le istituzioni.

L'indagine del magistrato deve essere rigida e severa ai fini della configurazione del reato.
Quanto alla prova del dolo, quindi, occorre verificare con particolare attenzione se, alla stregua delle risultanze processuali, la falsità o l'omissione sia realmente espressiva di deliberato mendacio o reticenza sulle effettive condizioni reddituali o non sia piuttosto frutto di disattenzione, come tale non qualificabile come dolo.
Nel caso di specie, è stato escluso che la dichiarazione difforme dal vero resa dall'imputato potesse essere frutto di mera negligenza, atteso che lo stesso aveva chiaramente ed esplicitamente dichiarato che il reddito complessivo degli anni 2017 e 2018 ammontava ad Euro 7004,29 e di non essere proprietario di beni immobili o mobili registrati. Mentre gli accertamenti tributari, non contestati nella sostanza, avevano rilevato la percezione di un reddito da lavoro dipendente pari ad Euro 10134 solo per l'anno 2017, oltre alla intestazione pro quota di un immobile e dl una autovettura.

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Cass sez IV pen sent n. 9897 pubbl 8 mar 2024

I proventi conseguiti in sostituzione di redditi e le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti

Il fatto
La condanna ex art. 95 d.p.r. 30 maggio 2002, n.115 era stata irrogata giacchè il ricorrente, ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio nell’ambito di un procedimento penale pendente a suo carico, aveva dichiarato un reddito familiare complessivo di € 5.355.05, laddove quello accertato dalla Guardia di Finanza risultava pari a € 23.078,48, (e, pertanto, superiore al limite previsto per l’ammissione al beneficio) includendo la somma di € 10.900,00 per indennità assicurative diverse dal ramo vita, e considerato il reddito da lavoro dipendente percepito dal fratello (pari a € 12.178,48) facente parte del nucleo familiare.
La Corte di Appello respingeva la tesi difensiva circa la carenza dell’elemento soggettivo del reato osservando che non poteva ragionevolmente ritenersi che l’imputato ignorasse la percezione di redditi da parte del familiare convivente e che del pari ignorasse di dovere dichiarare la percezione di premi assicurativi.

Con il ricorso per cassazione, la difesa articolava un unitario motivo di impugnazione nel quale deduceva vizi di legittimità e di motivazione sia quanto all’interpretazione della nozione di “reddito” rilevante ai fini della disposizione incriminatrice in quanto l'importo risarcitorio non è riconducibile alla nozione di reddito e sia per la dovuta considerazione della buona fede dell'istante.

La Corte adita ha dichiarato inammissibile il ricorso
Premesso che il reato in questione è un reato di mera condotta che si rapporta al dovere di lealtà del singolo verso le istituzioni ed è integrato da ogni falsa indicazione e da omissioni, anche parziali, dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione e in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato: ciò, “indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio” (cfr Cass. Pen., Sez. Un., n. 6591/2009) poiché ciò che rileva è che non rispondano al vero o siano omessi in tutto o in parte dati di fatto che implichino un provvedimento del magistrato, secondo parametri dettati dalla legge, la nozione di reddito rilevante ai fini delle predette disposizioni (e, specificamente, in relazione all'art. 76 del predetto T.U.) è quella contenuta nell'art.6 del T.U. delle imposte sui redditi emesso con d.P.R. 22 dicembre 1986, n.917, il cui art.6, comma 2, prevede che «I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti».

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Cass sez II civ ord n. 4049 pubbl 14 feb 2024

Il G.d.P. liquidava il compenso del difensore applicando la decurtazione ex art. 106bis dpr. n.115/02.
Il Tribunale adito con l'opposizione riconosceva il diritto dell’opponente all’intero compenso comprensivo di spese, e affermava che l’onorario era stato “ingiustificatamente decurtato” del 30%, in quanto non si verteva “in materia di patrocinio a spese dello Stato ma di difesa di ufficio”
Il Ministero è ricorso in Cassazione.
La Corte ha accolto il ricorso sostenendo che l'art. 106-bis, non costituisce violazione del minimo tariffario: la norma costituisce disposizione speciale, applicabile alle liquidazioni del compenso previsto per il difensore di ufficio dell'imputato irreperibile, per le quali sussistono le medesime esigenze di contemperamento tra la tutela dell'interesse generale alla difesa del non abbiente ed il diritto dell'avvocato ad un compenso equo.
> (Cass 22257/22 cit. e successive)

V. precedente Cassaz sez VIciv ord. n. 14085 pubbl. 4 mag 2022 in cui si stabilisce che “ risultano applicabili al difensore d’ufficio le sole previsioni del patrocinio a spese dello Stato che regolano le forme e le modalità di calcolo della liquidazione, "quando il difensore dimostri di aver esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti professionali" (Cass. 32764/2019)”.

Cass. sez. II civ ord. n. 3606. pubbl 8 feb 2024

Patrocinio a spese dello Stato - Liquidazione del compenso - Opposizione dell’Avvocato contro il provvedimento che liquida il compenso - Applicabilità della riduzione ex art. 130 d.P.R. n. 115 del 2002 - Esclusione – Fondamento

In tema di patrocinio a spese dello Stato, le spese sostenute per l'opposizione proposta dall'avvocato avverso il decreto di liquidazione vanno liquidate in base al principio della soccombenza, ma senza alcuna possibilità di riduzione ex art. 130 d.P.R. n. 155 del 2002 in quanto, esauritasi la prestazione resa a favore del soggetto patrocinato, l'oggetto del contendere verte unicamente sulla misura del compenso. (massima ufficiale)

Per la Corte va affermato il seguente principio di diritto: In caso di applicazione dell’art. 116 del DPR n. 115/2002, le spese sostenute per il recupero dei crediti professionali, ove consistenti nel rimborso dei compensi maturati per le procedure civili esperite nei confronti del cliente (monitorie o esecutive) non sono suscettibili di decurtazione ai sensi dell’art. 106 bis del medesimo DPR n. 115/2002.
In più, la Corte rileva nella fattispecie la falsa applicazione dell’art. 130: premesso che il ricorso
avverso il decreto di liquidazione del compenso all'ausiliario del magistrato, nel regime introdotto dall'art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002 - come già nella vigenza della l. n. 319 del 1980 -, non è atto di impugnazione, ma atto introduttivo di un procedimento contenzioso, nel quale il giudice adito ha il potere-dovere di verificare la correttezza della liquidazione in base ai criteri legali, a prescindere dalle prospettazioni dell'istante - con il solo obbligo di non superare la somma richiesta, in applicazione del principio di cui all'art. 112 c.p.c. -e di regolare le spese secondo il principio della soccombenza. nell’ipotesi in cui l’opposizione sia rivolta avverso il provvedimento con il quale sia stata rigettata la richiesta di ammissione al beneficio del patrocinio, ove si ritiene che il
decreto di ammissione estenda i suoi effetti a tutte le procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse al procedimento penale, tra le quali deve essere annoverata quella originata dal rigetto della domanda di ammissione (Cass.pen. n. 22757/2018; Cass. n. 30380/2023), tale estensione
non opera nel momento in cui, esauritasi la prestazione resa a favore del soggetto patrocinato, l’oggetto del contendere verta unicamente sulla misura del compenso.
In tale ipotesi, le spese eventualmente sostenute per l’opposizione al decreto di liquidazione (che ben potrebbe essere patrocinato da difensore diverso da quello che ha presentato istanza di liquidazione) vanno riconosciute, come detto, in base al principio della soccombenza, ma senza alcuna possibilità di riduzione ai sensi dell’art. 130 citato.

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