Corte di Cassazione

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Cass. sez. IV pen. sent n. 10512 pubbl. 18 mar 2021

11 Tribunale di Reggio Calabria in persona del Presidentecon la ordinanza impugnata, respingeva la opposizione avverso il provvedimento dello stesso Tribunale che aveva dichiarato la inammissibilità della istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato dal momento che il ricorrente non aveva assolto agli obblighi autocertificativi di cui all'art.79 e 92 D.P.R. 115/2002 laddove lo stesso si era limitato a dichiarare, in termine del tutto generici, il reddito percepito dal proprio nucleo familiare.
Il ricorso è fondato: "ai fini dell'ammissibilità al gratuito patrocinio l'autocertificazione dell'istante ha valenza probatoria e il giudice non può entrare nel merito della medesima per valutarne la attendibilità, dovendosi limitare alla verifica dei redditi esposti e concedere in base ad essi il beneficio, il quale potrà essere revocato solo a seguito dell'analisi negativa effettuata dall'intendente di finanza, cui il giudice deve trasmettere copia dell'istanza con l'autocertificazione e la documentazione allegata" (sez. IV, 14.10.1999 Cavarchio Rv. 214882; sez.I, 3.6.2003, Musarò, Rv.225051).
Non incombeva sul ricorrente precisare la ripartizione del reddito riferibile a ciascun familiare compreso nel proprio nucleo familiare, né di allegare ulteriori informazioni sulla fonte del reddito percepito da ciascuno di essi, essendo semmai onere del ricorrente fornire precisazioni al riguardo qualora ai sensi dell'art.79 terzo comma T.U. spese di giustizia l'autorità giudiziaria ne avesse fatto richiesta, e in tale caso il richiedente sarebbe stato tenuto a fornire documentazione dimostrativa dei dati forniti nell'autocertificazione
Ricorre pertanto il vizio lamentato dalla parte ricorrente laddove il giudice dell'opposizione è pervenuto al divisamento espresso sulla base di una valutazione di inammissibilità della istanza di ammissione, fondata su un pregiudizio di omessa allegazione da parte del dichiarante espressa
nelle forme e nei tempi prescritti dalla disciplina speciale, al contempo prospettando oneri di collaborazione processuale nel caso in specie assolutamente non contemplati.

Cass sez 4 pen sent 7973 pubbl 1 mar 2021

Il ricorrente denuncia la violazione degli articoli 74, 76 e 79 d.p.r. 115/2002 e vizio motivazionale sostenendo che il giudice reggino, nell'affermare l'estrema genericità dell'istanza di ammissione al gratuito patrocinio per la mancata specificazione della fonte di reddito e l'identità dei soggetti percettori componenti il nucleo familiare, ha erroneamente omesso di considerare il dato obiettivo costituito dall'autocertificazione del reddito familiare personale e dalla indicazione dei componenti del nucleo familiare (la moglie e i figli)....
l'istanza, come correttamente rileva il giudice del gravame nel provvedimento impugnato, era inammissibile, in quanto tale conseguenza viene indicata specificamente dalla norma laddove il richiedente non indichi il codice fiscale di tutti i membri del proprio nucleo familiare.
La declaratoria di inammissibilità dell'istanza si colloca, pertanto, nel solco del costante dictum di questa Corte di legittimità - che va qui ribadito- secondo cui, in tema di ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, la mancata indicazione del codice fiscale del richiedente e/o dei componenti la famiglia anagrafica costituisce condizione di ammissibilità dell'istanza, non potendo
conferirsi effetto sanante alla eventuale possibilità per il giudice di ricavare il dato mancante dalla documentazione prodotta a corredo della stessa (Sez. 4, n.5314 del 22/11/2016, dep. 2017, Magnolo, Rv. 269126; conf. Sez. 4, Ordinanza n. 45 del 20/9/2007 dep. 2008, Morelli ed altro, Rv. 238245)

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Cass sez 4 pen sent 2883 pubbl 25 gen 2021

ricorso accolto laddove si sostiene violazione di legge in relazione agli artt. 112 e 76 92 96,98, d.p.r.115/2002.
Il provvedimento di revoca motiva in ordine a quanto emerso dagli accertamenti della Guardia di finanza, secondo cui nel nucleo familiare del ricorrente il reddito accertato riferito al 2017 era pari a 11.893,09 superiore a quello dichiarato di 4.256,79 nella autocertificazione, ma inferiore al limite previsto dall'art. 76 comma 1 DPR 115/2002.
Le Sezioni Unite, con la recente sentenza 14723 19/12/2019Cc. (dep. 12/05/2020 Rv. 278871 - 01),
hanno affermato il seguente principio:"Ia falsità o l'incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione prevista dall'art. 79, comma 1, lett. c) d.p.r. n.115 del 2002, qualora i redditi effettivi non superino il limite di legge, non comporta la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che può essere disposta solo nelle ipotesi espressamente disciplinate dagli artt. 95 e
112 d.p.r. n. 115 del 2002".

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Cass. sez. lav. ord. n. 29668 pubbl. 28 dic 2020

il giudice dell'opposizione (per violazione degli artt. 13, comma 7, e 2, comma 6, d. Igs. 286/98, dell'art. 3 comma 3 dpr 394/99), di un cittadino senegalese ammesso al gratuito patrocinio, riteneva infondata l'eccezione relativa alla mancata traduzione del decreto di espulsione opposto e
dell'ordine del Questore, per essere stati gli stessi tradotti nella lingua inglese con la specificazione che non era stato reperito alcun interprete di madre lingua, osservando che la traduzione in
lingua inglese era in conformità con quanto previsto dall'art. 13,comma 7, d. Igs. 286/98, in relazione all'impossibilità di traduzione in una lingua conosciuta dallo straniero;
La Corte afferma che secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, è nullo il provvedimento di espulsione tradotto in lingua veicolare per l'affermata immediata irreperibilità di un traduttore nella lingua conosciuta dallo straniero, salvo che l'amministrazione non affermi,ed il giudice ritenga plausibile, l'impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità ovvero l'inidoneità di tal testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta (cfr. da ultimo Cass. 24.5.2019 n. 23755, con richiamo, tra le altre a Cass. 08/03/2012 n. 3676; Cass. 28/05/2018 n 13323); afferma inoltre "l'omessa traduzione del decreto di espulsione nella lingua conosciuta dall'interessato, o in quella c.d. veicolare, ai sensi dell'art. 13, comma 7, del d.lgs. n. 286 del 1998,comporta la nullità del provvedimento espulsivo, salvo che lo straniero conosca la lingua italiana o altra lingua nella quale il decreto è stato tradotto, circostanza accertabile anche in via presuntiva e costituente accertamento di fatto censurabile nei ristretti limiti dell'attuale disposto dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ."(cfr. Cass. 31 gennaio 2019, n. 2953);
in conseguenza dell'applicazione del richiamato orientamento, in accoglimento del ricorso, il provvedimento impugnato va cassato e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa (ex art. 384 c.p.c.) anche nel merito, con l'annullamento del provvedimento espulsivo impugnato davanti al Giudice di Pace di L'Aquila.

Cass. sez. II civ sent n. 28605 pubbl. 17 dic 2020

Avverso la sentenza di estradizione emessa dalla Corte d'appello di Reggio Calabria, il Buza proponeva ricorso per cassazione, avvalendosi del patrocinio dell'avv. Maria Nardo -
con nomina limitata alla fase de qua - non essendo l'avv. Trunfio abilitata a patrocinare presso le Magistrature superiori.
L'avv. Nardo, odierna ricorrente, proponeva reclamo avverso il provvedimento del 23/02/2010 della Corte d'appello di Reggio Calabria, con il quale veniva pronunciata la decadenza dl gratuito patrocinio ex art. 91 T.U.S.G. n. 115/2002, a causa dell'assistenza simultanea in fatto di due difensori.
Asseriva che il mandato dell'avv. Trunfio fosse cessato di fatto, attesa l'impossibilità di patrocinare dinnanzi alla Corte di cassazione e che, in ogni caso, la nuova nomina dovesse essere intesa quale implicita revoca della precedente.
La Corte d'appello di Reggio Calabria, con il decreto n.2428/2018 del 8/03/2018, rigettava l'istanza di reclamo e confermava il provvedimento impugnato.
A fondamento della decisione, sottolineava come, in caso di sostituzione dell'originario difensore con altri, ove ciò sia opportuno o necessario, la parte debba formalizzare espressamente la relativa comunicazione, previa revoca del mandato. Solo così è possibile stabilire da quale momento è
cessato il mandato e, conseguentemente, discriminare le attività espletate dall'originario difensore e quelle svolta dal difensore subentrato, ai fini della liquidazione del compenso.
E ciò era da ritenersi esigibile atteso il disposto dell'art. 91 del T.U. n. 115/2002, che dispone la decadenza dal beneficio del patrocinio quando la parte sia simultaneamente assistita da due difensori.
La Corte di Cassazione osserva che la giurisprudenza della stessa Corte ha sottolineato ripetutamente la differenza concettuale che sussiste tra contratto di patrocinio e procura alle liti: mentre quest'ultima è un negozio unilaterale attraverso il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, il contratto di patrocinio è un negozio bilaterale col quale il professionista viene incaricato di svolgere la sua opera secondo lo schema del mandato (cfr. Cass. sez. 6 - 3, ordinanza n.13927 del 06/07/2015; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 18450 del 29/08/2014).
Questo significa che il fatto che l'avv. Trunfio non fosse abilitata a patrocinare in Cassazione non è di per sé sufficiente a ritenere che fosse cessato il rapporto di mandato instaurato con l'imputato.
Le Sezioni Unite penali di questa Suprema Corte hanno recentemente affermato - se pure con riferimento all'eventuale inammissibilità del ricorso presentato dal difensore sostituto dell'originario difensore non iscritto all'albo speciale – la necessità che la sostituzione del difensore con altro patrocinatore avvenga nel rispetto delle disposizioni che
regolano i singoli istituti processuali, e quindi di quanto previsto dall'art. 613 cod. proc. pen. (cfr. Cass., S.U.,Sentenza n. 40517 del 28/04/2016).
Laddove il difensore d'ufficio non sia abilitato a patrocinare dinnanzi alle Magistrature superiori, si possono avere due possibilità: in base alla prima, il difensore d'ufficio nomina un
sostituto; in base alla seconda, l'autorità giudiziaria può procedere alla sostituzione del difensore con altro idoneo, trattandosi di giustificato motivo ex art. 97, comma 5, cod.
proc. pen. il fatto di non essere iscritto all'albo speciale della Corte di cassazione.
.In merito alla presunta revoca implicita, preme osservare che nell'ordinamento penale vigente si dubita della possibilità di rinunciare o revocare tacitamente al mandato difensivo,
cosicché finché non intervenga un espresso atto contrario resta valido l'incarico del difensore di fiducia nominato (cfr. Cass.,Sez. 3 pen., Sentenza n. 1346 del 19/11/1997).
…................
Pertanto, in situazioni che di per sé non comportano la cessazione dell'incarico, titolare della difesa rimane il difensore originariamente designato il quale, cessata la situazione che
alla sostituzione ha dato causa, riprende immediatamente il suo ruolo e può svolgere le relative funzioni senza necessità di ulteriori adempimenti (cfr. Cass., sez. 1 pen., sentenza n. 3534
del 11/05/1999).

Cass. sez. VII pen. ord. n. 35121 pubbl. 10 dic 2020

Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi
della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona
dell'imputata non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura
motivazionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente
apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla
stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito
della sentenza impugnata.

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Cass. sez. II civ sent n. 27310 pubbl. 30 nov 2020

Il curatore del fallimentoxx era stato autorizzato dal Giudice delegato del
Tribunale di Latina a resistere nel giudizio promosso ex art 619 cod. proc. civ., in
relazione a procedura esecutiva immobiliare, avanti il Tribunale di Oristano.
Il curatore s'era costituito a resistere a ministero dell'avv. yyi, previa autorizzazione del Giudice delegato e sua attestazione, ex art 144 dPR 115/02, dell'inesistenza di fondi
nell'asse fallimentare per il pagamento del compenso al difensore.
Ad esito del giudizio citato il Giudice oristanese ebbe - per quanto interessa - a
rilevare la carenza di legittimazione attiva e passiva del fallimento xx.
Alla successiva richiesta di liquidazione del compenso da parte del difensore della
curatela fallimentare, il Giudice designato del Tribunale di Oristano ebbe a
rigettare l'istanza, previa revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello
Stato concorrendo all'uopo i requisiti di legge.
L'argomento letterale posto dal Tribunale a fondamento della sua
statuizione è fallace, posto che con chiarezza la norma ex art 136 comma 2
TUSG opera riferimento esclusivamente all'ammissione in via provvisoria da
parte dell'Ordine professionale, senza cenno alcuno ad altra ipotesi
d'ammissione, per di più, non qualificata testualmente dalla normativa siccome
provvisoria. La norma ex ad 136 TUSG - letteralmente - si riferisce
esclusivamente all'ammissione in via provvisoria da parte dell'Ordine forense,
mentre l'art 144 TUSG specifica espressamente che l'ammissione della procedura
concorsuale al beneficio consegue d'ufficio e, non già, è disposta dal Giudice
delegato, poiché consegue automaticamente alla constatazione, da parte di detto
Giudice, che la procedura fallimentare è priva di fondi, sicché non è
concretamente in grado di pagare il compenso al proprio difensore.
Dunque la norma ex art 136 TUSG non è applicabile alla fattispecie regolata
dall'art 144 cit. TU e quindi la verifica giudiziale che la lite non viene promossa ovvero si resiste in mala fede o colpa grave risulta già effettuata dal Giudice all'uopo individuato
dall'Ordinamento e non può esser sottoposta ad ulteriore valutazione stante la
natura propria della disciplina speciale in tema di fallimento.

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Cass. sez IV pen. sent. n. 31554 pubbl. 11 nov 2020

Il Tribunale di sorveglianza di Milano con ordinanza del 3-10 dicembre 2019 ha dichiarato improcedibile il ricorso avanzato ai sensi dell'art. 99 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, da Giuseppe Guarirlo avverso il provvedimento con il quale il 13 settembre 2019 il Tribunale di sorveglianza di Milano ha rigettato la sua richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato ritenendo perentorio il termine fissato per la notifica al Ministero delle Finanze
La Corte di cassazione ha reiteratamente - e già da tempo - precisato che «l'incombente, previsto a pena di inammissibilità, della notifica all'ufficio finanziario del ricorso avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza all'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (art. 99, comma secondo, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115) è validamente adempiuto dal soggetto impugnante, che si trovi detenuto, mediante la richiesta all'ufficio matricola delia casa circondariale di provvedere alla trasmissione all'ufficio finanziario ~le copie del ricorso. (Nella specie la Corte, nel precisare che tale richiesta è atto equipollente alla notifica, ha annullato senza rinvio l'ordinanza che aveva dichiarato inammissibile l'istanza per la mancata notifica all'ufficio finanziario del ricorso da parte del detenuto)» (Sez. 4, n. 5045 del 10/11/2010, dep. 2011, Antonov e Min. Econ., Rv. 249564-01; in termini, tra le altre, Sez. 4, n. 52872 del 15/11/2016, Attanasio, Rv.268686-01);
E’pacifico che «in tema di patrocinio a spese dello Stato, quando l'opposizione dell'interessato avverso il decreto di rigetto dell'istanza di ammissione sia stata tempestivamente depositata presso il giudice "ad quem", ma non notificata alla Direzione Regionale delle Entrate a cura dell'instante, non si configura - in difetto di una espressa previsione di legge in tal senso- l'inammissibilità del gravame, sicché va disposta la rituale notifica del ricorso all'amministrazione finanziaria, che va eseguita a cura del ricorrente ai fini della regolare instaurazione del contraddittorio» (così Sez. 4, n. 44916 del 10/12/2010, Stivaletti e altro; in termini, più di recente, Sez. 4, n. 18806 del 07/12/2015, dep.2016, Attanasio). Non si tratta, peraltro, di affermazioni isolate, in quanto già in passato si era puntualizzato che «in tema di gratuito patrocinio, quando il ricorso dell'interessato avverso il decreto di rigetto dell'istanza di ammissione sia stato tempestivamente depositato presso il giudice "ad quem", ma non notificato alla Direzione regionale delle entrate a cura dell'istante e il giudizio si sia comunque svolto in assenza della necessaria controparte, concludendosi con ordinanza di inammissibilità, deve essere dichiarata la nullità del procedimento e del provvedimento conclusivo e, poiché la mancata notificazione non dà luogo all'inammissibilità del ricorso, non essendo sanzionata da un'esplicita previsione di decadenza dal gravame, deve disporsi il rinvio degli atti allo stesso giudice perché, previa rituale notifica del ricorso alla Direzione regionale delle entrate, da eseguire a cura del ricorrente ai fini della regolare instaurazione del contraddittorio, proceda a nuovo giudizio» (Sez. 1, n. 4378 del 04/2/2000, dep. 2001, Cappella, Rv. 21839e-01; in conformità Sez. 1, n. 14406 del 25/01/2001, Ferretti, Rv. 219098-01)

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Cass. sez VI civ. ord.za n. 22153 pubbl. 14 ott 2020

Viene richiamata la pronuncia n.10420 della sez 6 civ nella quale la Corte richiama la motivazione dell'ordinanza della medesima Sezione n. 20270/17, pronunciata in fattispecie sostanzialmente sovrapponibile a quella oggetto del presente giudizio (ma risalente ad epoca anteriore all'entrata in vigore del D.L. n. 13 del 2017).
In detta ordinanza, dopo la sottolineatura della "distinzione fra la decisione sul merito della vicenda - il cui esame è effettivamente precluso al giudice dell'opposizione - e l'accertamento della sussistenza del presupposto per la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che in sè non comporta alcuna statuizione nel merito, ma impone di verificare se vi fosse la colpa grave che giustifica la revoca" (pag. 4, ultimo capoverso), si evidenzia come l'assunto secondo cui l'opposizione TUSG ex art. 170 alla revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, adottata per la manifesta infondatezza della domanda, dovrebbe giudicarsi inammissibile perchè al giudice del patrocinio sarebbe preclusa qualunque possibilità di cognizione circa il merito della decisione. L'ordinanza conclude, quindi, che il giudice del patrocinio ha l'onere di "verificare la fondatezza del decreto di revoca ai soli fini della colpa grave e non in relazione al merito dell'azione giudiziaria proposta. Il rifiuto di esperire il controllo sollecitatogli con il ricorso finisce con il sovrapporre la problematica relativa al gratuito patrocinio con quella relativa alla domanda di protezione internazionale" (pag. 5, terzo capoverso).
Tali principi, a cui il Collegio intende dare conferma e seguito, non possono ritenersi messi in dubbio dall'ordinanza di questa Sezione n. 29144/17, che il tribunale di Campobasso richiama senza, tuttavia, metterne esattamente a fuoco la portata. Detta pronuncia, infatti, afferma - valorizzando l'autorità attribuita alla sentenza di primo grado dall'art. 337 c.p.c. - che la revoca dell'ammissione al beneficio per la temerarietà della lite può essere disposta indipendentemente dal passaggio in giudicato della decisione di merito che tale temerarietà abbia accertato. Ma questa affermazione, sulla quale si poggia l'assunto del tribunale di Campobasso di essere "vincolato dalla decisione di merito" (pag. 2 dell'ordinanza impugnata), presuppone che il giudice del patrocinio condivida, all'esito di una propria autonoma valutazione, l'apprezzamento di temerarietà operato dal giudice della causa, come appunto era accaduto nel caso allora al giudizio della Corte (cfr. pag. 4, penultimo capoverso, di Cass. 29144/17: "In primo luogo giova rilevare che la valutazione della mala fede è stata effettuata dal giudice della cognizione ai fini dell'applicazione dell'art. 96 c.p.c., essendo invece frutto di un'autonoma valutazione quella compiuta in occasione del provvedimento di revoca"); ma proprio Cass. 29144/17 fa espressamente salva la possibilità che, ai fini della revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il giudice del patrocinio giudichi erroneo l'apprezzamento del giudice della causa in ordine alla manifesta infondatezza della pretesa della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato (vedi pag. 5, ultimo capoverso: "Deve quindi ritenersi che l'autorità della sentenza di primo grado, laddove il giudice deputato a provvedere sulla revoca e sulla successiva opposizione, non ravvisi la sua erroneità, giustifica l'adozione di un provvedimento che si fondi sull'accertamento dei fatti come operato nella stessa").
I suddetti principi non vengono in alcun modo incisi dalla disposizione dettata dal menzionato D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 17, giacchè tale disposizione ha natura meramente processuale; essa, infatti, ha ad oggetto il contenuto della motivazione dei decreti di pagamento adottati a norma del TUSG, art. 82, in relazione al patrocinio prestato nei giudizi di impugnativa delle decisioni delle Commissioni territoriali. Si tratta, dunque, di una norma che è rivolta al giudice, gravandolo di uno specifico dovere motivazionale, che non riguarda la disciplina sostanziale del diritto soggettivo al gratuito patrocinio ed i presupposti per la revoca, i quali rimangono assoggettati ai principi generali previsti in materia di spese di giustizia.

Cass. sez IV pen. sent. n. 28292 pubbl. 13 ott 2020

Si denuncia, tra l’altro, violazione dell'art. 606 comma 1 lett. c)( inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità,di inammissibilità o di decadenza) in relazione al combinato disposto di cui agli artt. 79 comma 1 lett. d) e 95 del DPR n. 115/2002.
La Corte osserva: si distingue, in giurisprudenza, tra norme extrapenali non integratrici del precetto, ossia disposizioni destinate, in origine, a regolare rapporti giuridici di carattere non penale, non richiamate, neppure implicitamente, dalla norma penale, e norme extrapenali integratrici del precetto, che, essendo in esso incorporate, sono da considerarsi legge penale, per cui l'errore su di esse non scusa, ai sensi dell'art. 5 c.p., salvo che si tratti di errore inevitabile , conformemente al dictum di Corte cost. 24-3- 1988, n. 364. Vi sono infatti leggi extrapenali integratrici, che concorrono, con la norma incriminatrice, alla definizione del singolo tipo di illecito,integrandone la descrizione legale, mediante l'aggiunta o la specificazione di elementi da intendere come essenziali; o che contribuiscono, in vario modo e in diversa misura, a determinare il contenuto del comando o del divieto (Cass., Sez 5, 1- 7-1975,Sala,Rv.132026); o che, anche se non richiamate espressamente da una norma penale, la integrano logicamente (Cass. Sez. 3,30-6- 1972, Lovatelli,Rv.122205) o, infine, che vengono attratte nell'ambito di una norma penale, per effetto di un rinvio recettizio (Cass., Sez 6, 11-12-1970, Funaro, Rv.116579). E vi sono invece leggi extrapenali non integratrici, le quali non aggiungono o specificano nulla al tipo di illecito, non lo arricchiscono di alcun contenuto, non contribuiscono ad esprimere il senso del divieto. Soltanto l'errore che cade sulle norme non integratrici esclude il dolo,trattandosi di errore sul fatto, a norma dell'art. 47 c.p., comma 3, (ex plurimis, Cass., Sez 5, 20-2-2001, Martini; Sez 5, 11-1-2000, Di Patti;Sez 6. , 18-11-1998, Benanti), non anche quello che cade su norme integratrici. Queste ultime, infatti, inserendosi nel precetto, ad integrazione della fattispecie criminosa,concorrono a formare l'obiettività giuridica del reato, con la conseguenza che l'errore che ricade su di esse non può avere efficacia scusante, al pari dell'errore sulla legge penale vera e propria (Cass., Sez. 4,30-10-2003, n. 14819 Rv. 227875). Si è quindi precisato, in giurisprudenza che deve essere considerato errore sulla legge penale - e quindi inescusabile - sia quello che, come nel caso di specie, cade sulla struttura del reato sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotti nella norma penale in via di integrazione della fattispecie astratta (Cass., Sez. 3,15.5.1985, Tauro). L'ignoranza del contenuto precettivo della normativa richiamata in tema di gratuito patrocinio, si risolve pertanto in ignoranza della legge penale, alla quale non può in alcun modo annettersi efficacia esimente, non trattandosi certamente, in considerazione della chiarezza della norma, di una disposizione la cui ignoranza possa essere considerata inevitabile.

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