Corte di Cassazione

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Cass. civile Sez. II, Sentenza n. 21461 del 21-10-2015

Non spetta nessun aumento del compenso al difensore d’ufficio dell’imputato che è stato ammesso al gratuito patrocinio, neppure se la causa è molto complessa e richiede un impegno particolare. (il testo)

Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 settembre – 12 ottobre 2015, n. 40943

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 settembre – 12 ottobre 2015, n. 40943 Presidente Bianchi – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Campobasso, con sentenza emessa il 03.03.2015, confermava la sentenza emessa nei confronti di D.R.S. dal Tribunale di Campobasso – in composizione monocratica – in data 26 marzo 2012, con cui lo stesso era stato condannato alla pena di anni 1 e mesi sei di reclusione ed euro 500,00 di multa per il reato di cui ali’ art. 95 del D.P.R. n. 115/02, per avere indicato, nell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, presentata al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Campobasso in data 14.05.2008, dati non veritieri ed in particolare per avere indicato di essere nelle condizioni reddituali per ottenere il beneficio, laddove, invece, l’Agenzia delle Entrate rilevava un redito familiare per il 2007 diverso e superiore al limite previsto per ottenere il beneficio del patrocinio a spese dello Stato (in Campobasso il 20.5.2008, fatto aggravato perché con tali false dichiarazioni otteneva l’ammissione al gratuito patrocinio in data 20.5.2008). 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, perso­nalmente, D.R.S., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti stret­tamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.: * Violazione dell’art. 606, lett. E) c.p.p. per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia rigettato l’appello pro­posto dall’imputato, sostenendo che, a privare di qualsivoglia fondamento giuridico le doglianze formulate dall’appellante, fossero gli accertamenti svolti presso l’A­genzia delle Entrate di Campobasso, da cui era emerso che il D.R. ed i suoi familiari avevano conseguito redditi in misura superiore a quelli dichiarati, atteso che, nell’ anno 2007, non solo il D.R., ma anche i di lui genitori avevano percepito redditi per complessivi euro 14.146,00. A parere dei giudicanti in se­condo grado, dunque, appariva evidente come l’imputato non avesse assolto all’obbligo imposto dalla legge di indicare nella richiesta di ammissione al gratuito patrocinio tutti gli elementi costitutivi del reddito familiare ed inconfutabilmente risultanti dall’ Anagrafe Tributaria, riportando come reddito complessivo familiare solo quello di cui al modello CUD 2008 relativo ad esso istante. La omissione delle indicazioni di redditi rilevanti (pari ad euro 14.146,00) rendeva evidente la sussi­stenza dell’elemento psicologico del reato. Invece, secondo il ricorrente, sarebbe di palmare evidenza come l’assunto motivazionale della Corte d’Appello sia manifestamente illogico e contraddittorio, giacché nessun elemento probatorio raccolto nel corso della istruttoria dibattimen­tale dimostrerebbe la presenza, nella condotta dell’imputato, degli estremi tipici della fattispecie addossata, e, in particolare, del dolo. Invero -si legge in ricorso­nell’istanza dì ammissione al patrocinio a spese dello Stato, D.R. S. affermava: « … 1. il proprio nucleo familiare è così composto:… M.A. … D.R. S. … D.R. E. … D.R. M. … D.R. A. … D.R. A. … D.R. U. … D.R. F. … D.R. D. … D.R. A. … 2. sussistono le condizioni di reddito previste dalla legge (art. 79 D.P.R. n°115/2002) per l’ammissione al beneficio richiesto, essendo l’istante ed il proprio nucleo familiare titolare di reddito imponibile ai fini dell’imposta per­sonale sul reddito inferiore ai limiti di cui all’art. 3, Legge n°134/2001 (euro 9.723,84, aumentato di euro 1.032,91 per ogni familiare convivente) – come da copia CUD 2008 allegata». Si sostiene perciò che sarebbe evidente che l’odierno ricorrente non ebbe a formare una dichiarazione falsa, poiché ha espressamente dichiarato che “l’i­stante ed il proprio nucleo familiare titolare di reddito imponibile affini dell’imposta personale sul reddito inferiore ai limiti di cui all’art. 3, Legge n ° 134/2001 (euro 9.723,84, aumentato di euro 1.032,91 per ogni familiare convivente)” ovvero di euro 19.020,03, ritenendo applicabile il combinato disposto di cui agli artt. 76 D.P.R. 115/2002 secondo cui può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ul­tima dichiarazione, non superiore a euro 10.628,16 e 92 D.P.R. 115/2002, se­condo cui se l’interessato all’ammissione al patrocinio convive con il coniuge o con altri familiari, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 76, comma 2, ma i limiti di reddito indicati dall’articolo 76, comma 1, sono elevati di euro 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi. Si fa rilevare che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Campobasso aveva, poi, ammesso con delibera n° 68 dei 20.05.2008, l’istante al beneficio ri­chiesto espressamente attestando che “l’istanza contiene tutti gli elementi e le dichiarazioni previste dal DPR 115/2002 ed è rispettosa delle formalità prescritte”. Ne discende – secondo la tesi proposta in ricorso- che l’organo deputato in prima istanza riconosceva l’ammissibilità dell’istanza ex artt. 76 e 92 D.P.R. 115/2002. E così pure ha fatto il giudice adito, il quale, ben avrebbe potuto procedere alla revoca del beneficio sulla scorta dell’errata considerazione del cumulo dei redditi indicato. Sarebbe dunque evidente, per il ricorrente, la precarietà e l’insufficienza della parte motiva della sentenza impugnata, se si considera che il giudizio di re­sponsabilità penale del D.R.S. è stato formulato sic et simpliciter sulla base della sola testimonianza del Sottotenente della Guardia di Finanza d.m.m. che, riferendo in relazione agli accertamenti dallo stesso effettuati presso l’Anagrafe Tributaria, evidenziava una situazione reddituale complessiva dei D.R. S. relativa all’anno 2007 ben diversa da quella dichiarata dal medesimo nell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio e nell’allegata dichiarazione sosti­tutiva di atto notorio, in quanto dalle stesse, non risultava il reddito riscosso dai familiari conviventi. Invero, si sostiene che la Corte d’Appello avrebbe dovuto va­gliare con la dovuta attenzione i contenuti dell’istanza formulata dal prevenuto e la loro effettiva rispondenza alle prescrizioni normative, non potendosi assoluta­mente ritenersi provata la reità dell’imputato semplicemente sulla scorta di un accertamento tributario che non sarebbe in grado di suffragare correttamente la falsità delle attestazioni rese dal prevenuto. Da qui si evincerebbe la assoluta incompletezza della motivazione della sentenza di secondo grado rispetto alle doglianze formulate dall’imputato nei mo­tivi di gravame, nonché la manifesta illogicità sottesa al ragionamento dei giudici di appello, teso ad una ricostruzione della condotta criminosa contestata all’impu­tato dei tutto disancorata da un’adeguata e valida base probatoria. Ed ancora, i giudicanti in secondo grado avrebbero operato per il ricorrente con una sorta di automatismo, ricavando la sussistenza dei dolo esclusivamente dalla omissione della indicazione di redditi rilevanti, contrariamente al costante atteggiamento della giurisprudenza in tema di falsità ideologica (valevole anche per la fattispecie ascritta al prevenuto che, dei falso ideologico, ne é una specifica ipotesi). Nel caso che ci occupa, non solo non sarebbe stato verificato se D.R.S. agisse con la coscienza e volontà di immutare il vero al momento delle dichiarazioni contenute nell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio nell’alle­gata dichiarazione sostitutiva di atto notorio, ma, in tutta evidenza, sarebbe stata ritenuta implicita nella stessa materialità dei fatto (tra l’altro, non sufficientemente provato) la sussistenza dei nesso psichico richiesto. Difettando qualsiasi prova, nulla escluderebbe, dunque, secondo tale tesi, che il D.R. , all’atto delle atte­stazioni rese, abbia agito per leggerezza ovvero per negligenza, non potendo, per­tanto, ritenersi sussistente in capo allo stesso quel sostrato di natura psichica in­defettibile ai fini della integrazione del reato contestato e che deve necessaria­mente consistere nella volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero. Viene poi denunciata la contraddittorietà intrinseca della motivazione, in quanto fondata su argomentazioni che non giustificano il diniego delle attenuanti generiche e che, invece, a rigor di logica avrebbero dovuto necessariamente con­durre alla loro concessione. Nel caso di specie -ci si duole- vi era una situazione specifica di particolare rilievo quale il corretto comportamento processuale tenuto dall’imputato ed il fatto che lo stesso fosse gravato da precedenti penali di scarso allarme sociale e ormai risalenti nel tempo. Ricorda il ricorrente non esservi dubbio che, tra i positivi elementì che possono suggerire la necessità di attenuare la pena da comminare per il reato, rientri il corretto comportamento processuale tenuto dall’imputato. Ciò perché anche il citato corretto comportamento processuale può essere sintomo di ravvedimento, fatto questo di cui si deve tenere conto nella determinazione della pena. Pur essendo il Giudice di merito libero di valutare i dati processuali, non vi è dubbio secondo il ricorrente che debba prendersi in considerazione un elemento di tale rilievo, quale certamente è l’atteggiamento collaborativo tenuto dal preve­nuto anche nel corso delle indagini, che può legittimare il riconoscimento delle attenuanti generiche, e motivare adeguatamente in ordine al riconoscimento o al diniego delle stesse alla stregua dei criteri dinanzi enunciati. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato. 2. Quello che, omnicomprensivamente, viene dedotto come vizio motiva­zionale, in realtà sottende una richiesta di rivalutazione in fatto dei compendio probatorio, che non è evidentemente consentita in sede di legittimità. La Corte territoriale, con motivazione logica e congrua – e pertanto immune dal denunciato vizio di legittimità- dà conto degli elementi di prova che le hanno consentito di ritenere provata la penale responsabilità di D.R.S.. Il D.R., come si ricorda nel provvedimento impugnato, a seguito alla proposizione di un’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nell’ambito di un giudizio civile intentato contro l’impresa edile B.G., era ammesso al beneficio dal Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Campobasso con delibera in data 20 maggio 2008. Nell’istanza il D.R. dichiarava che il reddito complessivo dei proprio nucleo familiare era contenuto nei limiti di legge, quale risultante dalla allegata copia dei Modello CUD 2008 relativo ad esso istante. Dagli accertamenti svolti presso l’Agenzia delle Entrate di Campobasso era emerso, invece, che il D.R. ed i suoi familiari avevano conseguito redditi in misura superiore a quelli dichiarati atteso che, nell’anno 2007, non solo il D.R. ante ma anche i genitori D.R. U. e M.A. avevano percepito redditi per complessivi € 14.146,00. Logica è la conclusione -atteso che peraltro nessun elemento risulta mai essere stato addotto perché si possa ritenere non corrispondente al vero quanto accertato dall’Agenzia delle Entrate- cui sono pervenuti i giudici dei merito che nella richiesta di ammissione al gratuito patrocinio l’odierno ricorrente non abbia assolto l’obbligo imposto dalla legge, di indicare tutti gli elementi costitutivi dei reddito familiare ed inconfutabilmente risultanti dall’anagrafe tributaria, riportando, come reddito complessivo familiare, solo quello di cui al Modello CUD 2008 relativo ad esso istante. Corretta in punto di diritto è la conseguenza che tale comportamento integri appieno il delitto di cui all’art. 95 D.P.R. n. 115 del 2002 a nulla rilevando l’assenta, effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio dei patrocinio a spese dello Stato. 3. Nel provvedimento impugnato si fa buon governo della giurisprudenza in materia di questa Corte di legittimità. Le Sezioni Unite, in particolare hanno ormai da qualche anno precisato, dirimendo un precedente contrasto, che integrano il delitto di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 dei 2002 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio (Sez. Un. n. 6591 del 27.11.2008, Infanti, rv. 242152). Non può dunque ritenersi, come un superato orientamento giurisprudenziale sosteneva, che le dichiarazioni che non riflettano elementi essenziali ai fini della valutazione dell’autorità giudiziaria siano estranee all’offesa tipizzata dal legislatore e costituiscano un’ipotesi di falso inutile, come tale non punibile. Come argomentano correttamente i giudici del gravame del merito, la specifica falsità nella dichiarazione sostitutiva (artt. 95 – 79) è connessa all’ammissibilità dell’istanza non a quella dei beneficio (art. 96 co.), perché solo l’istanza ammissibile genera obbligo di decidere nel merito, allo stato. L’inganno potenziale, della falsa attestazione di dati necessari per determinare al momento dell’istanza le condizioni di reddito, sussiste quand’anche le alterazioni od omissioni di fatti veri risultino poi ininfluenti per il superamento del limite di reddito, Va anche aggiunto -e in tal senso perciò non appaiono fondate le doglianze di cui in ricorso- che il reato in questione è figura speciale del delitto di falso ideologico commesso da privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) e, come quello, ha natura di reato di pura condotta, sicché il relativo perfezionamento prescinde dal conseguimento di un eventuale ingiusto profitto che, anzi, qui costituisce un’aggravante. Consegue che il dolo del delitto in questione, essendo anch’esso costituito dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, non può essere escluso nel caso di specie in cui è stato anche motivatamente escluso un errore sull’identificazione dei redditi da inserire nella dichiarazione. La Corte territoriale evidenzia correttamente che il reato di pericolo, nel caso de quo, si ravvisa se non rispondono al vero o sono omessi in tutto o in parte dati di fatto nella dichiarazione sostitutiva, ed in qualsiasi dovuta comunicazione contestuale o consecutiva, che implichino un provvedimento dei magistrato, se­condo parametri dettati dalla legge, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni previste per l’ammissione al beneficio. Qualsiasi elemento costitutivo del reddito familiare deve, dunque, essere oggetto di specifica indicazione. La omissione della indicazione di redditi rilevanti (pari ad € 14.146,00), unitamente alle risultanze degli accertamenti rende evidente -secondo la logica motivazione dei provvedimento impugnato- la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, non avendo peraltro l’imputato nemmeno fornito giustificazioni plausibili nemmeno nell’atto di appello. Va peraltro ricordato che questa Corte ha chìarito come la determinazione del reddito ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato debba tener conto, nell’individuazione di quello complessivo dei familiari conviventi anche dei redditi per legge esenti dall’imposta per le persone fisiche o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ovvero ad imposta sostitutiva (così sez. 3, n. 25194 dei 31.3.2011, Brina, rv. 250960, in un caso in cui l’imputato aveva falsamente dichiarato i redditi familiari nell’istanza dì ammissione al patrocinio, omettendo in particolare di indicare le somme percepite, rispettivamente, dal padre, a titolo di TFR e, dalla sorella, a titolo di indennità di disoccupazione). 4. Infondato è anche il motivo dì ricorso che attiene alla motivazione sul diniego delle circostanze attenuanti generiche. La Corte correttamente rileva (cfr. pag. 3 del provvedimento impugnato) che le attenuanti generiche sono circostanze in senso tecnico, la cui funzione è e rimane quella di adeguare la comminatoria edittale della pena al profilo concreto dei fatto giudicato e alla personalità dei reo, svolgendo un ruolo complementare ai criteri di commisurazione della pena previsti dall’articolo 133 del codice penale. In tal senso – vìene rilevato- la loro concessione rientra nella discrezionalità del giudice, ma non è facoltativa, dovendo questi concederle una volta che, sulla base di una ricognizione dei valori della società, riconosca nella fattispecie concreta pro­fili positivi che a tali criteri di valore corrispondano. Tuttavia, altrettanto correttamente, viene rilevato che la concessione delle attenuanti generiche non può conseguire all’assenza di elementi negativi conno­tanti la personalità del reo, ma alla presenza di elementi positivi in tal senso e che tale non può essere considerata nemmeno l’incensuratezza, atteso che il rispetto delle leggi penali è un dovere per il cittadino. Ebbene, nel caso in esame la Corte territoriale dà conto in motivazione di non ravvisare elementi positivi di valutazione a favore del D.R. ed anzi tiene specificamente conto ai fini della conferma dei diniego, del fatto che lo stesso è gravato da precedenti penali. Sul punto, va qui riaffermato il principio che, in caso di diniego, soprattutto dopo la specifica modifica dell’articolo 62bis c.p. operata con il d.l. 23.5.2008 n. 2002 convertito con modif. dalla I. 24.7.2008 n. 125 che ha sancito essere l’incensuratezza dell’imputato non più idonea da sola a giustificarne la concessione, sa­rebbe stato assolutamente sufficiente che il giudice si fosse limitato a dar conto, come pure ha fatto nel caso in esame, di avere ritenuto l’assenza di elementi o circostanze positive a tale fine. Costante, peraltro, è il dictum di questa Corte secondo cui, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice può limi­tarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del benefi­cio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’en­tità dei reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (così sez. 2, n. 3609 del 18.1.2011, Sermone ed altri, rv. 249163; conf., ex plurimis, sez. 6, n. 7707 del 4.12.2003 dep. il 23.2.2004, Anaclerio ed altri, rv. 229768). Va aggiunto che questa Corte Suprema ha da epoca risalente ormai chiarito che il riferimento ai cattivi precedenti penali dell’imputato costituisce ragione suf­ficiente a giustificare, di per sé solo, il diniego delle circostanze attenuanti generi­che, qualora tali precedenti siano stati considerati dai giudici di merito come indici della capacità a delinquere e, quindi, della pericolosità sociale del condannato (sez. 1, n. 12787 del 5.12.1995, Longo ed altri, rv. 203146; sez. 2, n. 4790 del 16.1.1996, Romeo, rv. 204768) precisando poi che la sentenza di applicazione della pena è equiparata a sentenza di condanna e pertanto essa è valutabile nel giudizio di diniego delle attenuanti generiche, specie ove si consideri che l’art. 133 cod. pen. richiama, oltre che i precedenti penali, anche quello giudiziari (così sez. 4, n. 11225 dei 15.6.1999, Pinto, rv. 214770, fattispecie in cui le attenuanti generiche sono state negate sul presupposto di un precedente specifico, costituìto da una sentenza di patteggiamento) 5. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle spese processuali. ------------------------------------------ (a cura del comitato per il patrocinio penale dell’A.N.V.A.G.-10/2015)

Cass sez. VI civ-I ord.za n. 19103 del 7.7-25.9.2015

 Negata la riduzione del contributo per il mantenimento del figlio se il genitore dichiara un reddito talmente  basso da non poter bastare neanche alla sua di sussistenza (il testo-pdf)

Cassaz sez IV pen. sent. n. 47343 del 17/11/2014

Poichè la diminuzione di reddito dopo la presentazione della dichiarazione può  verificarsi e ciò non è espressamente previsto dalla normativa, non sembra che da tale omissione possa trarsi la conclusione che la variazione sia irrilevante e che il Giudice dell'ammissione o dell'opposizione non possa tenerne conto.
(il testo - pdf

Cassaz sez IV penale sent. n. 33428 del 29.7.2014

Nell’ammissione al beneficio del gratuito patrocinio, ai fini del superamento della soglia massima di reddito, i redditi familiari si sommano unicamente in caso di convivenza, ma non quando il soggetto, pur fiscalmente a carico, viva separatamente (il testo-pdf)
 

Cass. Sez Un. civili sent n. 1009/2014

E’ di rilevante importanza giuridica la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 1009 che ha ritenuto l’istanza di regolamento preventivo di giurisdizione quale atto che introduce una fase incidentale del procedimento nel corso del quale viene proposta.
Con ciò viene delineata con tinte più chiare l’area in cui porre quei procedimenti che l’art. 75, I comma, t.u.s.g. chiama “eventuali procedure, derivate e accidentali, comunque connesse” ed alle quali appunto si estende il beneficio ottenuto nel procedimento principale. (il testo-pdf)
 

Cassaz. sez. I civile sent. n. 15481/2013

Sez.  1, Sentenza n.  15481 del 20/06/2013 (Rv. 627112)  
 
 Presidente: Luccioli MG.   Estensore: San Giorgio MR.   Relatore: San Giorgio MR.   P.M. Fucci C.   (Diff.)
 
Fadel  (Fadel Pierantonio ed altro)  contro  Agenzia Entrate  (Avv. Gen. Stato)  
 
 (Cassa con rinvio, Trib. Treviso, 19/06/2009)
 
 PROCEDIMENTO CIVILE - DIFENSORI - GRATUITO PATROCINIO -   Domanda di risarcimento del danno per violazione di obblighi familiari nascenti da convivenza "more uxorio" - Revoca dell'ammissione per manifesta infondatezza della pretesa - Condizioni - Accertamento in concreto - Necessità - Tipologia di unione - Irrilevanza. 
 
 RISARCIMENTO DEL DANNO - PATRIMONIALE E NON PATRIMONIALE (DANNI MORALI) -   In genere. 
 
 In tema di patrocinio a spese dello Stato, la pretesa fatta valere nei confronti dell'ex convivente, diretta ad ottenere il risarcimento dei danni per violazione degli obblighi familiari, non può ritenersi manifestamente infondata - con conseguente revoca del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio - sul solo rilievo della "insussistenza sia normativa che giurisprudenziale dell'ipotesi di violazione degli obblighi familiari in ipotesi di persone unite dal solo vincolo more uxorio", dovendosi per contro, verificare in concreto la sussumibilità di tale posizione nell'ambito della categoria dei diritti fondamentali della persona, senza che assuma rilievo il tipo di unione al cui interno la lamentata lesione si sarebbe verificata. 
 
Riferimenti normativi:   DPR 30/05/2002 num. 115 art. 126 CORTE COST.    Cod. Civ. art. 2043 CORTE COST.
 
   Costituzione art. 2 CORTE COST.    Costituzione art. 3 CORTE COST.    Costituzione art. 32 
 
Massime precedenti Vedi: N. 12278 del 2011 Rv. 618134, N. 7128 del 2013
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 
SEZIONE PRIMA
 
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
 Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente - Dott. CULTRERA Maria Rosaria - Consigliere -
 
 Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - rel. Consigliere - Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere -
 
 Dott. ACIERNO Maria - Consigliere - ha pronunciato la seguente: 
 
SENTENZA
 
 sul ricorso 17621-2009 proposto da:
 
 FADEL PIERANTONIO (C.F. FDLPNT56D18G123F), in proprio, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VENEZIA 15, presso l'avvocato GRILLI CARLO, rappresentato e difeso da se medesimo; - ricorrente -
 
 contro
 
 AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
 
 - controricorrente -
 
 avverso l'ordinanza del TRIBUNALE di TREVISO depositata il 19/06/2009;
 
 udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell'08/11/2012 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;
 
 udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 
 1.- Con ordinanza emessa in data 9 aprile 2009 il giudice istruttore del Tribunale di Treviso rigettò l'istanza dell'avvocato Fadel Pierantonio di liquidazione del compenso per l'attività professionale dallo stesso prestata quale difensore di Mion Laura, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella causa n. 3877/2008, promossa nei confronti di Di Mauro Giorgio, ed avente ad oggetto il risarcimento dei danni per violazione degli obblighi familiari, poi dichiarata estinta a seguito di rinuncia agli atti.
 
 Il predetto g.i. rilevò che la Mion non aveva la qualità di coniuge ed aveva agito a seguito della cessazione di una convivenza more uxorio, con la conseguenza che la pretesa fatta valere era manifestamente infondata ai fini dell'applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 126, sicché sussistevano i presupposti per la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, e, comunque, non era apprezzabile l'attività svolta dal difensore ai fini della liquidazione a carico dello Stato nel rispetto dei criteri posti dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82.
 
 2. - Con ordinanza del Presidente del Tribunale di Treviso del 18 giugno 2009, fu rigettato il ricorso proposto dal Fadel ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 84 e 170 nei confronti dell'ordinanza in data 9 aprile 2009, di cui venne rilevata la correttezza, evidenziandosi la insussistenza sia normativa che giurisprudenziale della ipotesi di violazione degli obblighi familiari con riguardo a persone non coniugate ma conviventi more uxorio.
 
 3. - Il ricorso avverso tale ordinanza si fonda su due motivi, illustrati anche da successiva memoria. Resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate.
 
 MOTIVI DELLA DECISIONE
 
 1. - Deve, preliminarmente, essere esaminata la eccezione, sollevata dall'Agenzia delle Entrate, relativa al proprio difetto di legittimazione passiva, spettante, secondo la controricorrente, al Ministero dell'Economia e delle Finanze ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 99.
 
 2. - L'eccezione non merita accoglimento.
 
 Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 8516 del 2012, emessa a composizione di un contrasto giurisprudenziale sul punto, hanno chiarito che la legittimazione passiva nelle controversie aventi ad oggetto la liquidazione di compensi ed onorari suscettibili di restare a carico dello Stato relativi a giudizi civili e penali spetta al Ministero della Giustizia (e non a quello dell'Economia e delle Finanze, come erroneamente affermato dalla controricorrente). Tuttavia, nella specie, il Collegio ritiene che sulla questione della legittimazione passiva della Agenzia delle Entrate, parte nel giudizio di merito originato dalla richiesta dell'avv. Fadel di liquidazione delle spese sostenute per l'attività professionale svolta quale difensore della Mion, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, si sia formato un giudicato implicito, non risultando dagli atti del giudizio alcuna contestazione sul punto da parte dell'Agenzia ed apparendo al riguardo ellittico il controricorso. 4. - Con il primo motivo del ricorso, si lamenta violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 126, art. 2043 c.c. e artt. 2, 3 e 32 Cost.. Avrebbe errato il Presidente del Tribunale di Treviso nel non ravvisare nella fattispecie de qua - caratterizzata dall'improvviso allontanamento di Di Mauro Daniele dall'abitazione nella quale viveva con la Mion ed il bambino nato dalla loro unione per intraprendere una nuova relazione sentimentale disattendendo la promessa di matrimonio fatta alla stessa Mion, e privando costei ed il bambino di un anno della necessaria assistenza morale e materiale, oltre a privare la donna, nel corso della convivenza, del diritto alla sessualità - la lesione di un interesse in capo alla Mion giuridicamente rilevante, e, pertanto, suscettibile di ristoro in forza della clausola generale di cui all'art. 2043 c.c.. Ciò sulla base dei principi elaborati dalla giurisprudenza di merito, sempre più incline a ravvisare una responsabilità risarcitoria per la violazione degli obblighi familiari, sussistenti anche nell'ambito della convivenza more uxorio in quanto attinente a diritti fondamentali della persona.
 
 La illustrazione della censura si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, ai sensi dell'art. 366-bis c.p.c., applicabile nella specie ratione temporis: "Posto che la lesione di un interesse costituzionalmente rilevante è suscettibile di ristoro in forza della clausola generale ex art. 2043 c.c. sulla base dei principi elaborati in materia di responsabilità aquiliana, dica la Suprema Corte se il diritto all'assistenza morale e materiale, il diritto alla fedeltà e alla sessualità e i doveri derivanti dal matrimonio quali diritti fondamentali della persona e, in quanto tali, posti al vertice della gerarchia dei valori costituzionalmente garantiti, si riflettono sui rapporti tra le parti anche nella fase precedente il matrimonio".
 
 5. - Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 3 e 24 Cost. e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 126. Sarebbe illegittimo perché in contrasto con il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 126 il provvedimento di revoca dell'ammissione della Mion al patrocinio a spese dello Stato, che pregiudicherebbe il diritto della donna ad agire in giudizio per la tutela dei propri diritti fondandosi sulla presunta insussistenza degli obblighi familiari nella fase precedente l'assunzione del vincolo matrimoniale.
 
 La illustrazione della doglianza si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: "Posto che la lesione di un interesse costituzionalmente rilevante è suscettibile di ristoro in forza della clausola generale ex art. 2043 c.c. sulla base dei principi elaborati in materia di responsabilità aquiliana, dica la Suprema Corte se la revoca del decreto di ammissione al gratuito patrocinio con un giudizio prognostico ex ante che non tenga conto dell'orientamento in materia di risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c., sia contraria all'art. 24 Cost.".
 
 6. - I motivi, che, avuto riguardo alla stretta connessione logico- giuridica che li avvince, possono essere trattati congiuntamente, sono fondati nei termini che seguono.
 
 6.1. - La problematica relativa alla risarcibilità della lesione di diritti fondamentali della persona è stata, com'è noto, oggetto di ampia elaborazione nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, nel solco tracciato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 1986, che, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c. - sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 32 Cost., sotto il profilo che esso prevederebbe la risarcibilità del danno per lesione del diritto alla salute solo in conseguenza di un reato - ebbe ad affermare che la norma scrutinata riguarda soltanto i danni morali soggettivi, mentre il pregiudizio ai diritti fondamentali della persona, come il decoro, il prestigio, la dignità e la salute, deve trovare indefettibile ristoro, in applicazione dell'art. 2043 c.c., al di là dei limiti previsti per il risarcimento dei danni non patrimoniali derivanti da reato. Nei due fondamentali arresti del 2003 (sentt. n. 8827 e n. 8828) si è espresso l'orientamento di questa Corte, secondo il quale la lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ. va tendenzialmente riguardata non già come occasione di incremento generalizzato delle poste di danno (e mai come strumento di duplicazione di risarcimento degli stessi pregiudizi), ma soprattutto come mezzo per colmare le lacune nella tutela risarcitoria della persona, che va ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale, quest'ultimo comprensivo del danno biologico in senso stretto (configurabile solo quando vi sia una lesione dell'integrità psico - fisica secondo i canoni fissati dalla scienza medica), del danno morale soggettivo come tradizionalmente inteso (il cui ambito resta esclusivamente quello proprio della mera sofferenza psichica e del patema d'animo) nonché dei pregiudizi, diversi ed ulteriori, purché costituenti conseguenza della lesione di un interesse di rango costituzionale relativo alla persona. In tale prospettiva, nell'ambito dell'art. 2059 c.c. trovano collocazione e protezione tutte quelle situazioni soggettive relative a perdite non patrimoniali subite dalla persona, per fatti illeciti determinanti un danno ingiusto e per la lesione di valori costituzionalmente protetti o specificamente tutelati da leggi speciali: ciò vale a dire che il rinvio recettizio dell'art. 2059 c.c. ai casi determinati dalla legge non riguarda le sole ipotesi del danno morale soggettivo derivante da reato, ma vale ad assicurare la tutela anche alla lesione di diritti fondamentali della persona, atteso che in forza del rilievo costituzionale di tali diritti il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla loro lesione non è soggetto alla riserva di legge posta dalla norma richiamata. Sulla base di tale impostazione, che ha ricevuto l'avallo della Corte Costituzionale con la sentenza n. 233 del 2003, e che è stata seguita dalle successive pronunce di questa Corte (v. S.U., sent. n. 26972 del 2008, e le successive Sez. Lav., sent. n. 12593 del 2010, Sez. 3, sentt. n. 450 del 2001, n. 543 del 2012), il danno non patrimoniale è risarcibile non solo nei casi individuati ex ante dalla legge ordinaria, ma anche in quelli, da selezionare caso per caso ad opera del giudice, di lesione di valori della persona costituzionalmente protetti, non potendo il legislatore ordinario rifiutare, per la forza implicita nell'inviolabilità di detti diritti, la riparazione mediante indennizzo, che costituisce la forma minima ed essenziale di tutela. E, dunque, assume rilievo essenziale, non solo in relazione alla risarcibilità del danno non patrimoniale, ma anche, e prima ancora, ai fini della esperibilità dell'azione di responsabilità, l'indagine se il diritto oggetto di lesione sia riconducibile a quelli meritevoli di tutela secondo il parametro costituzionale.
 
 6.2. - Come già sottolineato nella citata sentenza di questa Corte n. 9801 del 2005 - che ha ampliato le frontiere della responsabilità civile nelle relazioni familiari -, il principio di indefettibilità della tutela risarcitoria trova spazio applicativo anche all'interno dell'istituto familiare, pur in presenza di una specifica disciplina dello stesso, configurandosi la famiglia come sede di autorealizzazione e di crescita, segnata dal reciproco rispetto ed immune da ogni distinzione di ruoli, nell'ambito della quale i singoli componenti conservano le loro essenziali connotazioni e ricevono riconoscimento e tutela, prima ancora che come coniugi, come persone, in adesione al disposto dell'art. 2 Cost., che, nel riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, delinea un sistema pluralistico ispirato al rispetto di tutte le aggregazioni sociali nelle quali la personalità di ogni individuo si esprime e si sviluppa (v., sul punto, anche la successiva Cass., sent. n. 18853 del 2011).
 
 E pertanto il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume i connotati di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia, così come da parte del terzo, costituisce il presupposto logico della responsabilità civile, non potendo chiaramente ritenersi che diritti definiti come inviolabili ricevano diversa tutela a seconda che i loro titolari si pongano o meno all'interno di un contesto familiare. La richiamata sentenza ha altresì precisato che non vengono qui in rilievo i comportamenti di minima efficacia lesiva, suscettibili di trovare composizione all'interno della famiglia in forza di quello spirito di comprensione e tolleranza che è parte del dovere di reciproca assistenza, ma unicamente quelle condotte che per la loro intrinseca gravità si pongano come fatti di aggressione ai diritti fondamentali della persona. Deve pertanto escludersi che la mera violazione dei doveri matrimoniali o anche la pronuncia di addebito della separazione possano di per sè ed automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria; così come deve affermarsi la necessità che sia accertato in giudizio il danno patrimoniale e non patrimoniale subito per effetto della lesione, nonché il nesso eziologico tra il fatto aggressivo ed il danno.
 
 6.3. - L'intensità dei doveri derivanti dal matrimonio, segnati da inderogabilità ed indisponibilità, non può non riflettersi - come pure chiarito dalla sentenza n. 9801 del 2005 - sui rapporti tra le parti nella fase precedente il matrimonio, imponendo loro, pur in mancanza, allo stato, di un vincolo coniugale, ma nella prospettiva della costituzione di tale vincolo, un obbligo di lealtà, di correttezza e di solidarietà.
 
 6.4. - La violazione dei diritti fondamentali della persona - deve ora aggiungersi, alla stregua delle argomentazioni sin qui svolte - è, altresì, configurabile, alle condizioni descritte, all'interno di una unione di fatto, che abbia, beninteso, caratteristiche di serietà e stabilità, avuto riguardo alla irrinunciabilità del nucleo essenziale di tali diritti, riconosciuti, ai sensi dell'art. 2 Cost., in tutte le formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell'individuo (v., in tal senso, Cass., sent. n. 4184 del 2012).
 
 6.4.1. - Del resto, ferma restando la ovvia diversità dei rapporti personali e patrimoniali nascenti dalla convivenza di fatto rispetto a quelli originati dal matrimonio, è noto che la legislazione si è andata progressivamente evolvendo verso un sempre più ampio riconoscimento, in specifici settori, della rilevanza della famiglia di fatto. Si pensi, a titolo esemplificativo, oltre che al campo della filiazione, in cui la L. 10 dicembre 2012, n. 219 ha eliminato ogni residua discriminazione tra figli "legittimi" e "naturali", agli ordini di protezione contro gli abusi familiari, estesi al convivente dalla L. 4 aprile 2001, n. 154, che ha introdotto nel codice civile gli artt. 342-bis e 342-ter; al requisito della stabilità della coppia di adottanti, soddisfatto, ai sensi della L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 6, comma 4, come sostituito dalla L. 28 marzo 2001, n. 149, art. 7, anche quando costoro abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni; alla possibilità, prevista dall'art. 408 c.c., novellato dalla L. 9 gennaio 2004, n. 6, che la scelta dell'amministratore di sostegno cada sulla persona stabilmente convivente con il beneficiario dell'amministrazione; ed ancora, alla possibilità, a norma dell'art. 417 c.c., come novellato dalla L. n. 6 del 2004, art. 5, che l'interdizione e l'inabilitazione siano promosse dalla persona stabilmente convivente; alla accessibilità alle tecniche di fecondazione assistita da parte delle coppie di fatto, ai sensi della L. 19 febbraio 2004, n. 40, art. 5; all'applicabilità della L. 8 febbraio 2006, n. 54, sull'affidamento condiviso, anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati; alla esclusione dei conviventi, in quanto non qualificabili come terzi, dai benefici derivanti dall'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli e natanti in caso di danni alle cose.
 
 Si tratta di segnali di una crescente attenzione del legislatore verso fenomeni di consorzio solidaristico e modelli familiari in cui per libera scelta si è escluso il vincolo, e, con esso, le conseguenze legali, del matrimonio.
 
 6.4.2. Siffatto percorso è stato in qualche misura indicato, e sollecitato, dalla giurisprudenza costituzionale, la quale, già nella sentenza n. 237 del 1986, ebbe ad affermare che "un consolidato rapporto, ancorché di fatto, non appare - anche a sommaria indagine -costituzionalmente irrilevante quando si abbia riguardo al rilievo offerto al riconoscimento delle formazioni sociali e alle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche".
 

Cass sez IV penale sent 20/9-13/11/2012 n. 44121

La giurisprudenza ha dato atto che il legislatore, in materia di rapporti interpersonali, ha considerato la famiglia 'di fatto' quale realtà sociale che, pur essendo al di fuori dello schema legale cui si riferisce, esprime comunque caratteri e istanze analoghe a quelle della famiglia 'stricto sensu' intesa" (il testo della sentenza-pdf).

Cass sez lavoro sent 26/9-5/11/2012 n. 18920

I compensi professionali degli avvocati vanno liquidati secondo il sistema in vigore al momento dell’esaurimento della prestazione professionale ovvero della cessazione dell’incarico, secondo una unitarietà da rapportarsi ai singoli gradi in cui si è svolto il giudizio. (il testo della sentenza-pdf)

Cass sez IV penale 11 luglio-5 ottobre 2012 n. 39423

E' abnorme il provvedimento del GIP che trasmette il fascicolo al P.M. per la liquidazione delle spese di custodia (il testo - pdf)

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