Ammissione al gratuito patrocinio con falsa dichiarazione non osta alla tenuità del fatto
La Corte chiarisce che, in tema di gratuito patrocinio, l’avvenuta ammissione al beneficio, in quanto espressamente prevista dal legislatore come circostanza aggravante del delitto previsto dall’art. 95 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, non costituisce fattore ostativo all’eventuale riconoscimento della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis c.p.
L’imputato, ritenuto responsabile dalla Corte di appello di Palermo del reato di cui all’art. 95, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per avere dichiarato falsamente, in occasione di istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, un reddito familiare inferiore a quello reale e, dunque, condannato, con le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante di avere conseguito il beneficio, alla pena di giustizia, propone ricorso per due motivi:
la pacifica circostanza di avere l’imputato fatto espressa menzione nell’istanza ed allegato materialmente ad essa la dichiarazione per il calcolo ISEE, circostanza, questa, che dimostrerebbe per tabulas, l’errore commesso in buona fede, anche in considerazione della mancanza di cognizioni tecniche da parte dell’imputato. L’errore, dunque, ad avviso del ricorrente, sarebbe da ritenersi scusabile ai sensi dell’art. 5 c.p., così come interpretato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 364 del 23-24 marzo 1988);
la violazione degli artt. 125, comma 3 e 546, comma 1, lett. e), c.p.p. e 131-bis c. p. e difetto di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.
La Corte,con riferimento al primo motivo di ricorso chiarisce che, al contrario di quanto ivi esposto, emerge “una dichiarazione inequivoca circa l’ammontare del complessivo reddito familiare ed il riferimento alla dichiarazione ISEE allegata all’esclusivo fine della indicazione circa le proprietà immobiliari“.
In relazione al secondo motivo, premesso che il Tribunale e la Corte d’appello hanno affermato che il fatto non sia stato di particolare tenuità perché l’amministrazione è stata ingannata ed il beneficio cui l’imputato non aveva diritto è stato comunque ottenuto, la Corte non condivide tale assunto in quanto “l’ammissione al beneficio non dovuto è circostanza espressamente prevista dal legislatore come aggravante (art. 95, secondo periodo, d.P.R., n. 115 del 2002): ne discende che la riconducibilità a tale tipizzazione non può essere considerata, di per sé, elemento ostativo all’eventuale riconoscimento della causa di non punibilità invocata; altrimenti è come se la legge dicesse – ma non dice – ‘il fatto non può mai essere considerato di particolare tenuità ove venga conseguita o mantenuta l’ammissione in mancanza di requisiti’. Ed al Giudice è demandato dall’ordinamento il compito di interprete, non già di legislatore“.
La Suprema Corte ha ritenuto, pertanto, di annullare la sentenza impugnata, limitatamente alla questione riguardante l’art. 131-bis c. p., con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo che, nella sua autonomia, valuterà la sussistenza o meno degli elementi di fatto per riconoscere l’invocata causa di non punibilità, senza poter tuttavia utilizzare la circostanza dell’avvenuta ammissione al beneficio, che rimane “neutra” al fine in esame.