Corte di Cassazione

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Cass sez VI civ ord n. 34342 pubbl 22 nov 2022

v. anche 5808/2022 (per CTU) e 18748/2022

Il Tribunale di Crotone rigettava l’opposizione proposta dall’avvocato C.P. avverso la liquidazione del compenso dovuto come difensore di fiducia di soggetto ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, ritenendo non conseguita la prova dell’effettivo svolgimento delle prestazioni indicate dal ricorrente.In particolare, il Tribunale riteneva non dimostrata la partecipazione di C. all’udienza del 30.11.2016
Il ricorso per la cassazione di detta decisione lamenta la violazione degli artt. 83 D.P.R. n. 115 del 2002 e 15 del D. Lgs. n. 150 del 2011, perché il Tribunale avrebbe dovuto acquisire d’ufficio la documentazione del giudizio nel cui ambito erano state svolte le prestazioni oggetto della richiesta di pagamento
La censura è fondata.
Il giudice, in tema di liquidazione del compenso professionale in regime di patrocinio a spese dello Stato, ha il potere-dovere di richiedere gli atti, i documenti e le informazioni necessarie ai fini della decisione, e non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull’onere della prova né vi è un onere dell’avvocato di depositare la documentazione.

Vale il principio secondo cui “In tema di opposizione avverso il provvedimento di liquidazione del compenso professionale in regime di patrocinio a spese dello Stato, il giudice di cui all’art. 15 del d.lgs. n. 150 del 2011 ha il potere-dovere di richiedere gli atti, i documenti e le informazioni necessarie ai fini della decisione, dovendo la locuzione “può” contenuta in tale norma essere intesa non come espressione di mera discrezionalità, bensì come potere-dovere di decidere “causa cognita”, senza limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull’onere della prova” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23133 del 19/08/2021, Rv. 662071; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2206 del 30/01/2020, Rv. 656859).

Cass sez IVpen sent. n. 44017 pubbl 21 nov 2022

Il (omissis) era ammesso al patrocinio a spese dello Stato in sette procedimenti (due civili e cinque penali), richiamati dal ricorrente, che allega i rispettivi provvedimenti di revoca.
Il 28/01/21, la Guardia di Finanza accertava che il (omissis) in data 13/04/2018, aveva depositato su un proprio libretto nominativo l'importo di un assegno postale non trasferibile di euro 33.100, a titolo di donazione, tratto da un conto corrente postale della propria madre, (omissis) e che, in data 05/02/2018, aveva acquistato terreni per un importo di euro 6.500 e, in data 05/03/2018, un'auto del costo di euro 17.600. Tutti i provvedimenti ammissivi erano, quindi, revocati con effetto retroattivo.
Quanto ai primi due motivi, con i quali il ricorrente lamenta il mancato esame delle ragioni di opposizione riguardanti la donazione, si osserva che, in realtà, il Presidente del Tribunale di Vasto ha affrontato la questione del computo della elargizione effettuata dalla madre del ricorrente, citando sul punto giurisprudenza di questa Corte di legittimità e ritenendo del tutto corretta la necessità di valutare la consistenza della somma donata e percepita da chi chiede di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato: ciò perché l'importo della donazione influisce sulla capacità economica del richiedente. Sul punto, ancora, il Presidente del Tribunale ha rimarcato che, in ogni caso, il (omissis)non aveva comunicato l'intervenuta donazione, determinando in conseguenza la revoca dall'ammissione al beneficio.
Quanto all'acquisto dei beni - un'autovettura e terreni agricoli - non può dubitarsi che, con tali operazioni, la parte avesse dimostrato una capacità economica incompatibile con la fruizione del beneficio e, dunque, non può considerarsi viziata, sul punto, l'argomentazione dell'impugnato provvedimento.
Il fatto che il Giudice si sia rivolto alla Guardia di finanza, proprio per accertare la capacità economica del richiedente, appare conforme alla facoltà di legge riconosciuta al magistrato deputato di decidere sull'ammissione, mentre non appare di alcun nocumento, per il ricorrente, la circostanza che tali accertamenti non siano stati disposti dall'Agenzia delle Entrate, sempre sollecitata dal magistrato giudicante.
Del pari priva di pregio è la doglianza, con cui si lamenta la mancata motivazione dei provvedimenti di revoca adottati dal Giudice di pace, avendo il Presidente del Tribunale risposto adeguatamente, laddove ha ritenuto l'esistenza di una motivazione per relationem, rispetto alla segnalazione della Guardia di finanza, disposta ed acquisita dal medesimo Giudice.

Cass sez IIIciv ord n. 33481 pubbl. 14 nov 2022

Due avvocati patrocinanti congiuntamente in un processo civile una parte vittima di atti di terrorismo a mente della legge n. 206/2004, chiedevano la liquidazione del compenso.
Ricorrono avverso il provvedimento del Tribunale che aveva rigettato l'istanza in ragione del fatto che la legge sul gratuito patrocinio non consente la nomina di due difensori.
Gli stessi contestano tale affermazione in quanto l'articolo 91 del testo unico sulle spese di giustizia, detta tale divieto in riferimento al processo penale e non ad ogni tipo di procedimento e, del resto, si applicherebbe l'articolo 10 della legge n. 206 del 2004, che disciplina una particolare ipotesi di patrocinio a spese dello Stato, in favore appunto delle vittime di atti di terrorismo, che ne possono fruire in ogni tipo di procedimento, a prescindere da ogni criterio reddituale e quindi senza alcuna previa delibera di ammissione. Ne ricavano che alla fattispecie in esame non si applichino le norme del testo unico sulle spese di giustizia riguardanti appunto i profili di ammissione al patrocinio. Sostengono quindi che la ratio del diritto al gratuito patrocinio per le vittime del terrorismo è diversa da quella posta alla base dai patrocinio d spese dello Stato in favore dei non abbienti: non è quella di fornire la tutela necessaria a chi manchi della possibilità economica di fruirne, ma è un sostegno particolare che lo Stato riserva a questa categoria di vittime.
Questa Corte ha già esaminato l'ipotesi della nomina di due difensori, da parte di un soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato, in una causa civile ordinaria, e l'ha risolta affermando, in relazione alla nomina di due difensori in procedimento civile con ammissione di una parte al patrocinio a spese dello Stato, che il principio dell'unico difensore, previsto dall'art. 91 a proposito della difesa nei procedimenti penali, ha valenza generale (Cass. n.1736 dei 2020:“Dal complesso delle disposizioni di cui al d.P.R. n. 115 del 2002, che regolano per tutti i prnrecci l'istituto del patrocinio a gppgp dello Stato - ed in particolare dagli artt. 80, 82 ed 83 - si ricava che l'art. 91 del medesimo d.P.R. secondo cui l'ammissione è esclusa "se il richiedente è assistito da più di un difensore" - pur se collocato all'interno del titolo specificamente dedicato al processo penale, esprime un principio di carattere generale, con la conseguenza che, nel processo civile, l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato è esclusa se il richiedente è assistito da più di un difensore, così come, ove tale ammissione sia stata già concessa, i suoi effetti cessano dai momento in cui il beneficiario nomina un secondo difensore di fiducia".
L'affermazione è stata poi ripresa e ribadita recentemente da Cass. n. 5639 del 2022: “Il principio secondo cui l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato è esclusa quando il richiedente sia assistito da più di un difensore, sancito dall'art. 91 d.P.R. n. 115 del 2002 per il processo penale, in quanto generale, opera anche nel processo civile, trovando fondamento nell'esigenza di assicurare, anche ai non abbienti, l'effettiva possibilità di esercitare il diritto di azione e difesa in giudizio, la quale è soddisfatta quando sia garantito il livello essenziale di difesa, dovendosi contemperare l'interesse individuale della parte ammessa al beneficio con quello collettivo al contenimento della spesa occorrente per l'assicurazione di quest'ultimo a tutti gli aventi diritto".
In quest'ultima, recentissima pronuncia, si è precisato che la ratio della normativa in tema di patrocinio a spese dello Stato va individuata nell'esigenza di assicurare anche ai non abbienti, l'effettiva possibilità di esercitare il diritto di azione e difesa in giudizio. Detta esigenza, tuttavia, impone soltanto la garanzia del livello essenziale di difesa, per intuibili esigenze di contemperamento tra l'interesse individuale della parte ammessa al beneficio, e quello collettivo al contenimento della spesa occorrente per l'assicurazione di quest'ultimo a tutti gli aventi diritto.
Sotto questo profilo, la decisione richiamata ritiene che la limitazione della facoltà della parte ammessa al beneficio di nominare un solo difensore appaia pienamente coerente con l'esigenza di tutela generale e diffusa cui tende la normativa in esame.
Si ritiene che la soluzione appena indicata non è predicabile nella fattispecie in esame, e pertanto la decisione impugnata deve essere cassata, in quanto diversa è la norma applicabile alla fattispecie in esame, e diversa è la ratio delle due norme.
La legge n. 206 del 2004, che detta nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi, prevede diversi benefici di rilievo direttamente o indirettamente economico a sostegno delle vittime del terrorismo (provvidenze economiche quali pensioni o indennità, diritto all'assistenza psicologica a carico dello Stato, esenzioni da imposte per i benefici riconosciuti e dal pagamento delle spese sanitarie e farmaceutiche).
All'articolo 10, prevede altresì che le vittime o i superstiti di questi eventi nefasti possano fruire, per agire in giudizio nei procedimenti penali, civili, amministrativi e contabili del patrocinio a totale carico dello Stato.
E' un beneficio che quindi viene riconosciuto a supporto di queste categorie di soggetti che hanno subito un particolare vulnus, e a prescindere da ogni valutazione preventiva del requisito reddituale, per facilitare loro l'azione e la difesa in giudizio.
Ne consegue che non si può applicare ad essi la norma, già in applicazione estensiva, contenuta nell'art. 91 del T.U. sulle spese di giustizia, qualora fruiscano del patrocinio in un processo civile perché in riferimento a questa categoria individuata di soggetti non è presente la ratio di assicurare a tutti, anche a chi non se lo possa permettere, la tutela minima garantita in giudizio, né può ritenersi che con la nomina del secondo difensore cessi la fiducia nei confronti del primo.
La ratio è invece quella di assicurare a chi sia rimasta vittima, diretta o indiretta, di un episodio di terrorismo, la possibilità di agire in giudizio a tutela dei propri diritti, potendo contare sui patrocinio a spese dello Stato.
La scelta di avvalersi di due difensori, attraverso una nomina congiunta, come nella specie, non può avere l'effetto di caducare o rendere inefficace l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, rendendo inammissibile la domanda di liquidazione dei compensi, proprio perché non è necessario in questo caso un provvedimento di ammissione al patrocinio, che presuppone una preventiva valutazione fondata sul requisito reddituale, in questo caso inesistente.
Il problema concreto del contenimento della spesa a carico dello Stato con una richiesta di liquidazione di più prestazioni professionali, a fronte di uno stanziamento di fondi, previsto nella stessa legge, certo non cospicuo, non si pone del resto nel caso di specie, in quanto, come esposto nel terzo motivo di ricorso, è stata fin dall'inizio chiesta la liquidazione di un'unica parcella.
P.Q.M. cassa l'ordinanza impugnata e rinvia, anche le la liquidazione delle spese del presente giudizio, al tribunale di Imperia in diversa cornposizione

Cass. Sez VIciv sent. n. 30286 pubbl 14 ott 2022

Il tribunale di Chieti ha respinto l’opposizione proposta dal difensore avverso il
provvedimento con cui il Giudice dell’udienza preliminare gli aveva liquidato il compenso per la difesa d’ufficio di una parte ammessa al gratuito patrocinio.
Il giudice dell’opposizione ha evidenziato che il provvedimento opposto aveva riconosciuto gli importi previsti per tutte le quattro fasi del procedimento ai sensi del D.M. n.55/2014, esauritosi con la sentenza emessa a seguito di giudizio abbreviato, dando altresì conto delle modalità con le quali le singole fasi erano state considerate.
Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 132, comma primo, n. 4 c.p.c. e 111 Cost., sostenendo che il tribunale abbia -senza alcuna giustificazione - riconosciuto un compenso inferiore a quello richiesto e senza pronunciare sulla richiesta di aumento tariffario formulata dall’opponente.
Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 12 D.M. 55/2014, per non aver il tribunale pronunciato sulla richiesta di liquidazione dei compensi per le indagini preliminari, né motivato riguardo alla riduzione alla metà dei valori medi e alla liquidazione di un importo inferiore ai minimi tabellari.

Nel caso in esame appare, per contro, ampiamente assolto l’obbligo di motivazione sia riguardo alla liquidazione delle singole fasi, sia riguardo all’applicazione dei minimi tabellari.
Il Tribunale ha spiegato che già in fase di liquidazione erano state correttamente remunerate le attività ricomprese nella quattro fasi del procedimento previste dal D.M. n.55/2014 – dallo studio alla decisione della controversia - ovviamente considerando solo l'attività processuale effettivamente svolta, dando altresì conto delle modalità con le quali le singole fasi erano state considerate tanto per l'attività dinanzi al G.I.P., che per quella dinanzi al G.U.P., in modo da evitare duplicazioni.
L’applicazione dei valori minimi appare giustificata dalla semplicità delle questioni e dal limitato impegno profuso dal ricorrente.
Non si configura neppure un’omissione di pronuncia con riferimento ai compensi per la fase delle indagini preliminari, che il tribunale era tenuto a liquidare per fasi e non per singole prestazioni, come invero prescrive l’art. 4, D.M. 55/2014; appare inoltre implicitamente respinta – data la dichiarata semplicità delle questioni, già dibattute in un analogo processo – la richiesta di aumento del compenso rispetto ai valori tabellari medi. Al riguardo va ricordato che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una
specifica argomentazione (Cass. 2151/2021; Cass. 15255/2019; Cass. 103636/2007; Cass. 4972/2003).
In ordine all’applicazione della riduzione di un terzo, giova considerare che la liquidazione delle spettanze del difensore della persona ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato
non deve superare il valore medio della tariffa, né tale valore di partenza può essere ridotto al di sotto del minimo (Cass.4759/2022; Cass. 31404/2019; Cass. 26643/2011).
Sul compenso così determinato, anche se nei valori minimi, la successiva applicazione della ulteriore decurtazione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 106-bis, non costituisce violazione del minimo tariffario: si configura un contenuto sacrificio delle aspettative economiche del professionista, che non ne svilisce il ruolo, posto che la riduzione prevista dall'art. 106-bis cit. non riduce il compenso ad un valore meramente simbolico, né viene determinato a prescindere dalla valutazione della natura, contenuto e pregio dell'attività (Cass. 4759/2022).

Cass. Sez IIciv sent. n. 29746 pubbl 12 ott 2022

Il Giudice del lavoro del Tribunale di Santa Maria Capua ha revocato l’ammissione al gratuito patrocinio ritenendo che la richiesta di distrazione delle spese, avanzata dal difensore, comportasse la rinuncia al beneficio.
Proposta opposizione ex ar4t. 170, D.P.R. 115/2002, il Tribunale ha riformato il decreto, affermando che, se il difensore si dichiara antistatario, è sempre necessario verificare, sulla scorta delle risultanze di causa e del comportamento processuale, se abbia inteso rinunciare al patrocinio gratuito. Ha osservato che, nello specifico, la richiesta di distrazione non era stata successivamente reiterata nel corso del giudizio e doveva considerarsi ritirata, non
essendo – quindi - ostativa per la liquidazione del compenso.

Hanno chiarito recentemente le Sezioni unite che, essendo il patrocinio a spese dello Stato diretto ad assicurare l'effettività del diritto di difesa costituzionalmente garantito, la parte assistita –
formulando la richiesta di ammissione - esercita un diritto proprio che resta nella sua esclusiva disponibilità e che non è condizionato dalle scelte processuali dell’avvocato (Cass. s.u. 8561/2021; Cass.17461/2014).
Il beneficiario del provvedimento di ammissione non è il difensore ma la parte non abbiente, che proprio perciò deve proporrepersonalmente la richiesta e non è tenuto a reiterarla in caso di revoca del mandato.

Il difensore, privo del potere di disporre dei diritti sostanziali della parte, non può rinunciare al diritto soggettivo all'assistenza dello Stato per le spese del processo: tale rinuncia può provenire solo dal titolare del beneficio e non è mai conseguenza della mera richiesta di distrazione (Cass. 26089/2014; Cass. 13516/2017). Quest’ultima non produce neppure la revoca dell’ammissione, che è consentita nelle sole ipotesi tassativamente individuate dall’art. 136 D.P.R. 115/2002 - norma eccezionale, come tale non applicabile analogicamente - tra cui non è compresa la richiesta di distrazione delle spese. In conclusione, il primo motivo deve essere respinto, non essendovi
incompatibilità tra la dichiarazione di distrazione e l’ammissione al patrocinio tale da comportare la rinuncia o la revoca del beneficio, essendo irrilevante stabilire – con riferimento al secondo motivo - se la revoca, nei casi in cui è consentita, possa essere disposta anche nel corso del procedimento di liquidazione.

Cass sez IIpen sent n. 33384 pubbl 9 sett 2022

La Corte di Appello di Torino aveva condannato l'imputato per truffa, ammesso al patrocinio a spese dello Stato, irrogando la pena e concedendo la sospensione condizionale della stessa subordinandola al pagamento dell'indennizzo liquidato a favore delle parti civili.
La censura mossa dal ricorrente concerne la suddetta subordinazione della sospensione condizionale della pena al pagamento avendo omesso di valutare e motivare in ordine alle
condizioni economiche dell'imputato.
Difatti, l'art. 165 c.p. stabilisce che la sospensione condizionale della pena, quando è concessa a persona che ne ha già usufruito, deve essere subordinata all'adempimento di uno degli
obblighi previsti nel comma precedente, dal che consegue che in tutti gli alri casi il giudice, essendo frutto del suo esercizio del potere discrezionale, ha l'obbligo di valutare le reali condizioni economiche dell’imputato quali emergano dagli atti processuali.
Nella odierna sentenza gli ermellini affermano che in tema di sospensione condizionale della pena subordinata al risarcimento del danno, il giudice, pur non essendo tenuto a svolgere un preventivo accertamento delle condizioni economiche dell'imputato, deve tuttavia effettuare un motivato apprezzamento di esse se dagli atti emergano elementi, quale una situazione di indigenza tale da legittimare l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che consentano di dubitare della capacità di soddisfare la condizione imposta ovvero quando tali elementi vengano forniti dalla parte interessata in vista della decisione (cfr. Sez. 5, n. 3187 del 26/10/2020)
Nel caso di specie, nel quale risulta che il ricorrente era ammesso al gratuito patrocinio, il giudice di merito, a prescindere dall'esistenza o meno di ulteriori allegazioni sul punto, era tenuto a valutare in concreto le condizioni economiche dell'imputato e a dare conto delle ragioni sulle quali aveva fondato la conclusione circa l'effettiva possibilità dello stesso di risarcire il danno.

Cass sez VIciv ord. n. 25183 pubbl. 23 ago 2022

Il difensore di un cittadino non comunitario in un giudizio avente ad oggetto un provvedimento di espulsione, faceva richiesta di liquidazione dei propri compensi, attesa l’ammissione del proprio cliente al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.

Il Giudice di Pace dichiarava inammissibile la richiesta in quanto tardiva, e ciò sul presupposto che nella fattispecie fosse applicabile l’istituto della prescrizione presuntiva.
Il Tribunale di Bari, pur reputando fondato il motivo di opposizione relativo all’inapplicabilità ai crediti vantati nei confronti dello Stato della prescrizione presuntiva, come ribadito dalla più recente giurisprudenza di legittimità, tuttavia rilevava che non si riscontrava in atti l’istanza di ammissione al beneficio presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, il che non permetteva di verificare la sussistenza ab origine e la permanenza delle condizioni per ricorrere al beneficio.

Il ricorso per Cassazione viene accolto con questa motivazione.

Il legislatore con una scelta già compiuta con l’emanazione del D. Lgs. n. 286/1998 (artt. 13 co. 5 bis e 14 co. 4) ha previsto per lo straniero che si opponga al provvedimento di espulsione, un’ammissione automatica al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, scelta questa che è stata reputata conforme a Costituzione.
Tale regime normativo ha trovato poi conferma nell’art. 142 del DPR n. 115/2002 e da ultimo nell’art. 18 co. 4 del D. Lgs. n. 150/2011.
Risulta quindi evidente che l’ammissione della parte al beneficio, e quindi il diritto del difensore a pretendere la liquidazione dei compensi maturati per l’attività svolta prescinda dalla presentazione di un’apposita istanza, emergendo in ogni caso che nella vicenda, come si ricava dal provvedimento reso dal Giudice di Pace in udienza, vi era stata un’espressa ammissione dell’assistito del ricorrente al detto beneficio.

Cass sez. IVpen sent. n.30797 pubbl 9 ago 2022

Si lamenta che per il reato di cui all'art. 95 d.P.R. 115/2002 è maturata la prescrizione in data anteriore alla pronuncia di appello, adducendo violazione degli artt. 129 cod. proc. pen., 157 e 161 cod. pen.
Il termine di prescrizione deve essere fatto decorrere dalla data di consumazione del reato, che coincide con la sottoscrizione dell'atto contenente le false dichiarazioni o, al più tardi, con la presentazione al giudice della domanda di ammissione al patrocinio (così Sez. 4, n. 16194 del 22/01/2019, Rv. 275580; Sez. 4, n. 9322 del 2014 n.m.; Sez. 5, n. 21580 del 16/04/2010).

Cass. Sez IVpen sent.n. 29384 pubbl 25 lug 2022

Il Tribunale di Crotone ha rigettato l'opposizione proposta, ai sensi dell'art. 99 D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, avverso il decreto del Tribunale con il quale era stata dichiarata inammissibile, ai sensi dell'art. 79 comma 3 DPR 115/2002, l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in quanto tardiva, ovvero proposta oltre il termine di venti giorni dalla notizia dell'inammissibilità
dell'istanza, oltre che infondata nel merito, in quanto nel termine indicato nella richiesta di integrazione l'istante aveva presentato solo la certificazione reddituale dell'agenzia delle entrate relativa ai suoi redditi e non anche ai redditi dei famigliari conviventi.
“Si deve innanzitutto premettere che il provvedimento con cui l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello stato viene dichiarata inammissibile può essere impugnato, ex art. 99 d.P.R. n.115/2002, con ricorso al Presidente del Tribunale al quale appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento, al pari del provvedimento di rigetto.
L'art. 99 stabilisce, invece, che avverso il provvedimento con cui il magistrato rigetta l'istanza di ammissione, l'interessato può proporre ricorso entro venti giorni dalla notizia avutane ai sensi dell'art. 97, davanti al presidente del tribunale o al presidente della corte di appello ai quali appartiene il magistrato che ha emesso il decreto di rigetto: anche il provvedimento di inammissibilità può formare oggetto di ricorso ex art. 99 d.P.R.115/2002: rilevano in tal senso, in primo luogo, il fatto che il provvedimento di inammissibilità, al pari di quello di rigetto e accoglimento, deve essere motivato e comunicato al soggetto istante e soprattutto un argomento di ordine sistematico collegato alla necessità di non creare un irragionevole vuoto di tutela nelle ipotesi in cui il decreto di inammissibilità sia illegittimo. Se è vero, infatti, che l'istanza dichiarata inammissibile può sempre essere riproposta al giudice competente (in quanto la dichiarazione di
inammissibilità non risolve una questione relativa alla esistenza del diritto alla ammissione al patrocinio a spese dello tato, ma si limita ad indicare un adempimento necessario che non era stato adempiuto), è altrettanto vero che in tali casi l'ammissione al patrocinio decorrerebbe dalla data di presentazione della nuova istanza, con la conseguenza che l' eventuale attività difensiva già espletata non sarebbe liquidabile; attraverso l'impugnazione del provvedimento di inammissibilità, nel caso di accoglimento, invece gli effetti della ammissione decorrono dalla prima istanza con la conseguenza che tutta l'attività difensiva posta in essere nel frattempo potrà essere oggetto di liquidazione.
Si tratta, dunque, di stabilire, quale sia il termine entro cui il ricorso deve essere presentato.
Lart. 99, comma 1, d.P.R. n. 115/2002 prevede espressamente che il ricorso debba essere presentato nel termine di venti giorni decorrente dalla notizia avuta del provvedimento a norma dell'art. 97. L' art. 99, comma 3, d.P.R. n. 115/2002, tuttavia, opera, quanto alla procedura, un rinvio al processo speciale previsto per gli onorari di avvocato: tale processo era originariamente disciplinato dagli artt. 28 e ss. della legge 13 giugno 1942 n. 794, per il quale le Sezioni Unite penali avevano ritenuto che, per le fasi non specificamente disciplinate, il relativo sub-procedimento dovesse ritenersi regolato dalle disposizioni generali previste dall'ordinamento per il procedimento principale con il quale si trovava in rapporto di incidentalità (Sez.U. n. 30181 del 25/04/2004 Graziano, Rv 228118).
Oggi invece il processo è regolato dagli artt. 702 bis e ss. cod. proc. civ, cui rinvia l'art. 15 d.lgs 1 settembre 2011 n. 150 che ha tipizzato i procedimenti relativi alla liquidazione degli onorari di avvocato. In seguito alla entrata in vigore della nuova normativa, alcune sentenze di questa Sezione hanno affermato che il principio sopra richiamato espresso dalle Sezioni Unite sia ancora valido. Si è, cosi, sostenuto che ai fini della proposizione del reclamo ai sensi dell'art.99 d.P.R. n.115/2002, sia sufficiente la dichiarazione di nomina del difensore e non occorra la procura speciale ex art.122 cod. proc. pen. (Sez. 4 n. 48793 del 9/10/2019, Morello, Rv 277420; Sez 4 n. 15197 del 1/02/2017 Diop, non mass; Sez 4 n. 13230 del 27/01/2022, Galloni, non mass.) e si è ribadita la divaricazione del rito che assiste l'opposizione proposta avverso il decreto di rigetto dell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato emesso nell'ambito di un procedimento penale, da quello avverso il decreto di liquidazione del compenso al custode o all'ausiliario del giudice, confermando che fondamento di tale differenza risiede nell'accessorietà della prima controversia al processo penale. (Sez. 4, n. 1223 del 16/10/2018, dep.2019, Mucci, Rv. 274908).
Il Collegio ritiene di confermare tale orientamento interpretativo, osservando che il richiamo presente nell'art.99, comma 3, d.P.R. n.115/2002 al processo «speciale» previsto per gli onorari di avvocato non esclude che per il procedimento di cui si tratta si debba tenere conto, della natura di
«procedimento collaterale e secondario rispetto al rapporto processuale penale principale, di cui è indiscutibilmente una procedura accessoria, intesa a garantire la difesa del soggetto nel giudizio penale di cognizione ordinaria».
Tale principio deve vieppiù essere confermato con riferimento al tema oggetto di esame, ovvero al termine entro il quale deve essere proposto il ricorso. Lo stesso art. 99, comma 1, d.P.R. n.115/2002, come visto, prevede che il ricorso debba essere proposto nel termine di venti giorni decorrente dalla
comunicazione del provvedimento di rigetto (o inammissibilità), sicché il richiamo operato dal successivo comma 3 al processo speciale per gli onorari di avvocato non opera certamente con riferimento a detto termine, così come con riferimento ad altri aspetti per i quali devono valere le regole del processo penale principale cui il procedimento in esame, collaterale e secondario, accede.
La decisione del Tribunale di Crotone è stata, dunque, corretta e conforme ai principi sopra enunciat e, pertanto, il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Cass sez IVpen sent n. 28249 pubbl. 19 lug 2022

L'omessa indicazione di una parte del reddito nell'istanza con cui si chiede il gratuito patrocinio non giustifica la revoca del beneficio se computando il reddito omesso non viene superata la soglia per l'ammissione.

Nella decisione annullata, che ha disposto la revoca ex tunc a norma dell'articolo 95 del Dpr 115/2002 (non era stato, infatti, indicato dall'istante il reddito del figlio rientrante nel suo nucleo familiare).la norma posta a base della revoca non ha rilevanza immediata nel far venir meno i presupposti del beneficio, ma persegue la falsità dell'autocertificazione reddituale. E la revoca con effetti ex tunc del beneficio e di quanto fino ad allora percepito scatta con la definitività dell'accertamento penale sulla condotta.

Quindi se - come nel caso concreto - a seguito di rapporti della Guardia di Finanza, risultano fonti di reddito non comprese nella dichiarazione sostitutiva resa dall'istante va valutato se sommate, a quanto invece dichiarato, determinino o meno il superamento della soglia di ammissione al gratuito patrocinio. Se tenuto conto dei redditi occultati consapevolmente o inconsapevolmente non c'è sforamento della soglia massima stabilita. i presupposti per aver diritto all'ammissione al gratuito patrocinio non possono considerarsi de plano venuti meno.
Si legge nella sentenza:
…..”deve preliminarmente osservarsi che la decisione impugnata compie una sorta di sovrapposizione fra la disciplina per l'ammissione al beneficio (o per la sua revoca) e quella che punisce il reato di falso, contenuta nell'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002.
….................La revoca prevista dall'art. 95, comma 2. d.P.R. cit., conseguente alla condanna
per il reato di falsità nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste dall'art. 79, comma 1, lett. b), c) e), implica, infatti, l'irrevocabilità della sentenza che accerta il delitto.
…..................Va ora rilevato che, in base all'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte,
in tema di patrocinio a spese dello Stato, la falsità o l'incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione prevista dall'art. 79, comma 1, lett. c) d.P.R. n. 115 del 2002, non comporta, qualora i redditi effettivi non superino il limite dí legge, la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che può essere disposta solo nelle ipotesi espressamente disciplinate dagli artt. 95 e 112 d.P.R. n. 115 del 2002 (Sez. U, n. 14723 del 19/12/2019, dep. 2020, Pacino, Rv. 278871).
…..............Le Sezioni Unite hanno altresì chiarito che «la soluzione adottata è del resto coerente con la ratio dell'istituto del gratuito patrocinio, il cui fondamento è costituito dalla tutela del diritto inviolabile alla difesa per la persona sprovvista di mezzi economici: all'indagato, all'imputato o al condannato ammessi al gratuito patrocinio è così attribuita la facoltà di scelta di un proprio difensore di fiducia (iscritto all'albo specifico), senza alcun onere economico, con la possibilità di nominare ed utilizzare la prestazione di consulenti tecnici di parte ed investigatori» e che il principio affermato è in linea con le norme costituzionali ed internazionali fondamentali di riferimento, in tema di diritto di difesa e di diritto all'equo processo (artt. 24, 111 Cost., 6 CEDU e 14, par. 3, lett. d), del Patto sui diritti civili e politici).
Secondo le Sezioni Unite la disciplina è volta a tempestivamente esonerare dalle spese di difesa il titolare di redditi posti al di sotto della soglia prevista e «l'esigenza, recessiva rispetto ai canoni costituzionali e di diritto europeo sopra richiamati, di recuperare le somme corrisposte dallo Stato, a fronte di comportamenti non del tutto trasparenti ed affidabili da parte dell'istante, è soddisfatta dalla previsione della revoca dell'ammissione con effetto retroattivo, in conseguenza dell'intervenuta condanna in sede penale, che non può prescindere dall'accertamento dell'elemento soggettivo».
L'omessa indicazione di un reddito nell'autodichiarazione da allegare all'istanza, pertanto, non costituisce di per sé motivo di reiezione, purché il reddito del nucleo sia effettivamente inferiore alla soglia di cui agli artt. 76 e 92 d.P.R. 115/2002. Semmai, quando il giudice che deve provvedere, a seguito delle verifiche degli uffici finanziari, anche ai sensi dell'art. 96, comma 2 d.P.R. cit., ritenga sussistenti gli estremi del reato dì cui all'art. 95 cit., dovrà trasmettere - come disposto nel caso di specie - gli atti al pubblico ministero, ma non potrà laddove non vi sia superamento della soglia stabilita dall'art. 76, negare la provvidenza (Sez. 4, n. 18945 del 27/03/2019, Naccarella Luciano, Rv. 276462)”.

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