Corte di Cassazione

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Cass. Sez VIciv. ord. n. 5445 pubbl. 18 mar 2022

Le spese del giudizio di opposizione ex art. 170 t.u.s.g., qualora accolta, pur in contumacia del Ministero convenuto, non vanno compensate ma riconosciute e liquidate.
La Cassazione ha confermato il principio per cui “In tema di spese giudiziali, in forza dell'art. 92, comma 2, c.p.c. (nella formulazione introdotta dalla L. n. 69 del 2009, applicabile ratione temporis) può essere disposta la compensazione in assenza di reciproca soccombenza soltanto ove ricorrano "gravi ed eccezionali ragioni", che devono trovare riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa da indicare esplicitamente nella motivazione della sentenza, senza che possa darsi meramente rilievo alla "natura dell'impugnazione", o alla "riduzione della domanda in sede decisoria", ovvero alla "contumacia della controparte", permanendo in tali casi la sostanziale soccombenza di quest'ultima, che deve essere adeguatamente riconosciuta sotto il profilo della suddivisione del carico delle spese” (Cass. Sez. 3, Sent n. 21083 del 19/10/2015, Rv. 637492; conf. Cass. Sez. 2, Ord. n. 7292 del 23/03/2018, non massimata)”.

Cass. Sez IIIciv. sent n. 8489 pubbl. 16 mar 2022

Trattasi di giudizio nei confronti della locale ASL concernente risarcimento dei danni patiti iure proprio e iure hereditatis in conseguenza del decesso della madre.
La Corte territoriale ha ritenuto non esservi prova né del fatto che il fisioterapista avesse posto in essere manovre inadeguate rispetto alle condizioni della paziente, né di cosa fosse effettivamente successo nell'intervallo temporale tra la seduta di fisioterapia e l'ingresso al pronto soccorso, di guisa che doveva escludersi l'incidenza causale dell'aggravamento delle condizioni della donna sull'exitus, avendo l'ausiliare attribuito la causa della morte ad una serie causale autonoma
consistente nelle pregresse patologie in atto, e non essendovi riscontro del sopraggiungere dell'embolia dal focolaio di frattura dell'omero destro.
I motivi sono inammissibili perché volti a rimettere in discussione un accertamento di merito quale quello della sussistenza delle condizioni per poter, sulla base del criterio del più probabile che non,
ritenere provata la responsabilità della struttura sanitaria o del soggetto responsabile per la fisioterapia. Le censure non veicolano, infatti, alcun vizio in iure ma sono esclusivamente volte a riproporre un nuovo accertamento degli elementi di fatto e delle prove.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti, ammessi al gratuito patrocinio, a pagare, in favore di ciascuna parte resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro 5000 (oltre euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002 pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

Cass sez IV pen sent n. 8302 pubbl 10 mar 2022

La Corte di Appello di Venezia ha confermato una sentenza del Tribunale di Belluno con cui l’imputato era stato condannato ex art. 95 dpr.115/2002 per aver attestato falsamente che nessuno dei familiari conviventi era proprietario di immobili o percepiva redditi, mentre, in base agli accertamenti effettuati, il figlio convivente era risultato proprietario di un immobile e di un’autovettura Bmw del valore di euro ventimila, e ciò nonostante che il reddito comunque non superasse i limiti di legge, ciò non escludeva comunque la sussistenza del reato.

La Corte territoriale ha inoltre rilevato come, alla luce dei numerosissimi precedenti penali, il fatto non potesse essere considerato occasionale, per cui non poteva essere applicata la causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen..

La Cassazione ha respinto i motivi di ricorso riguardanti gli elementi soggettivo e oggettivo per le ragioni che seguono, mentre ha accolto il ricorso in punto di non punibilità per tenuità del fatto ex art. 131bis c.p.
I primi due motivi di ricorso sono stati giudicati infondati per le seguenti ragioni.

Premesso che, ai fini dell’individuazione delle condizioni necessarie per l’ammissione al patrocinio, rileva ogni componente di reddito, imponibile o non, siccome espressivo di capacità economica (Sez. 4, n. 12410 del 06/03/2019) e le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio integrano il reato di cui si tratta solo allorquando riguardino la sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, ma non anche quando cadano su elementi a tal fine irrilevanti (Sez. 4, n. 20836 del 16/04/2019), rilevandosi al contempo che la correttezza di tale ultimo approccio ermeneutico, ad avviso della Suprema Corte, sembra trovare un appiglio testuale in quanto incidentalmente affermato delle Sezioni Unite in una decisione riguardante la diversa, seppur correlata, tematica della revoca del beneficio, con specifico riferimento alla falsità o all’incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione, prevista dall’art.79, c. 1, lett. c) dpr 115/2002, in caso di redditi che non superino il limite di ammissibilità (Sez. U. n. 14723 del 19/12/2019, dep. 2020), tanto premesso, ineccepibile deve ritenersi la pronuncia della Corte territoriale, laddove evidenzia le ragioni per le quali sono state respinte le giustificazioni addotte a difesa, in quanto, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nel reddito complessivo dell’istante, ai sensi dell’art. 76 del dpr 115/2002, deve essere computato anche il reddito di qualunque persona che con lui conviva e contribuisca alla vita in comune (Sez. 4, n. 44121 del 2012), oltre che correttamente richiamare il consolidato indirizzo della giurisprudenza della Cassazione secondo cui integrano il delitto di cui all’art. 95 dpr 115/2002 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dall’effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio (Sez. 4, n. 40943 del 18/09/2015; Sez. U sent. n. 6591 del 27/11/2008).
Circa poi l’elemento soggettivo, viene ricordato che, in tema di patrocinio a spese dello Stato, le false indicazioni o le omissioni, anche parziali, che integrano l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 95, dpr 115/2002, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, devono essere sorrette dal dolo generico, rigorosamente provato, che esclude la responsabilità per un difetto di controllo, di per sé integrante condotta colposa, e salva l’ipotesi del dolo eventuale (Sez. 4, n. 37144 del 05/06/2019), tenuto conto altresì del fatto che, ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 95 cit., in caso di effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, non è sufficiente che l’istanza contenga falsità od omissioni, dovendo il giudice procedere ad una rigorosa verifica dell’elemento soggettivo del reato, al fine di escludere l’eventuale inutilità del falso (Sez. 4, n. 7192 del 11/01/2018; Sez. 4, n. 45786 del 04/05/2017) nel senso che, se è vero che il reato de quo è configurabile anche quando la falsità o l’omissione riguardi redditi in concreto rientranti nei limiti massimi stabiliti dalla legge per ottenere il beneficio del patrocinio per non abbienti a spese dello Stato, nondimeno in tal caso occorre verificare con particolare attenzione se, alla stregua delle risultanze processuali, la falsità o l’omissione fosse realmente espressiva di deliberato mendacio o reticenza sulle effettive condizioni reddituali o non fosse piuttosto frutto di disattenzione, come tale non qualificabile come dolo.
Inoltre, l’art. 76 dpr.115/2002, espressamente richiamato dalla norma incriminatrice di cui all’art. 95 ivi, non costituisce legge extrapenale in ordine alla quale l’errore da parte del soggetto attivo possa avere incidenza scusante, e ciò in quanto deve essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per «legge diversa dalla legge penale» ai sensi dell’art. 47 cod. pen. quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata anche implicitamente (Sez. 6, n. 25941 del 31/03/2015; Sez. 4, n. 14011 del 12/02/2015).

Viceversa, il terzo motivo di ricorso è stato accolto per le seguenti ragioni.
Premesso che lart. 131 bis cod. pen. Recita:

si deve osservare che la speciale causa di non punibilità prevista dalla disposizione richiamata è configurabile in presenza di un duplice condizione, essendo richiesta, congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale del citato articolo, la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento, ed inoltre che il primo dei due requisiti richiede, a sua volta, la specifica valutazione della modalità della condotta e dell’esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’art. 133 cod. pen., cui segue in caso di vaglio positivo e dunque nella sola ipotesi in cui si sia ritenuta la speciale tenuità dell’offesa, la verifica della non abitualità del comportamento che il legislatore, con previsione piuttosto ambigua, esclude nel caso in cui l’autore del reato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate fermo restando che, con riguardo a tale ultimo presupposto, in definitiva, l’operatività dell’istituto va esclusa quando il soggetto agente abbia violato più volte la stessa o più disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio punendi, non essendo dunque la generica capacità a delinquere a venire in conto, con la conseguenza che il mero richiamo di plurimi precedenti penali da cui l’imputato risulti gravato non è sufficiente a giustificare il mancato riconoscimento dell’esimente posto che il riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto non è precluso dall’esistenza di precedenti penali gravanti sull’imputato, pur quando, sulla base di essi, si sia applicata una pena superiore al minimo edittale, atteso che i parametri di valutazione di cui all’art. 131-bis cod. pen. hanno natura e struttura oggettiva, ed operano su un piano diverso da quelli sulla personalità del reo (Sez. 3, n. 35757 del 23/11/2016) posto che i precedenti penali possono assumere valenza ostativa solo ove l’imputato risulti essere stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, oppure abbia commesso più reati della stessa indole (Sez. 6, n. 605 del 03/12/2019), gli Ermellini ritenevano come la sentenza impugnata sul punto non risultasse aver fatto buon governo di questi principi, essendosi limitata a fare riferimento genericamente ai plurimi precedenti penali che sarebbero indicativi di non abitualità della condotta criminosa, sillogismo avente natura del tutto congetturale, in quanto non è stata spiegata la presunta comunanza di indole con quello per cui si procede, tenuto conto altresì del fatto che il ricorrente non si era limitato a contestare la valutazione, bensì aveva sottolineato l’assoluta mancanza di connotati ostativi alla valutazione di particolare tenuità del fatto, di abitualità della condotta criminosa e di dati oggettivi sintomatici di pericolosità.
Si può concludere che
1) le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio integrano il reato di cui si tratta solo allorquando riguardino la sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, ma non anche quando cadano su elementi a tal fine irrilevanti;
2) integrano il delitto di cui all’art. 95 dpr.115/2002 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dall’effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio;
3) ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 95 cit., in caso di effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, non è sufficiente che l’istanza contenga falsità od omissioni, dovendo il giudice procedere ad una rigorosa verifica dell’elemento soggettivo del reato, al fine di escludere l’eventuale inutilità del falso nel senso che, se è vero che il reato de quo è configurabile anche quando la falsità o l’omissione riguardi redditi in concreto rientranti nei limiti massimi stabiliti dalla legge per ottenere il beneficio del patrocinio per non abbienti a spese dello Stato, tuttavia in tal caso occorre verificare con particolare attenzione se, alla stregua delle risultanze processuali, la falsità o l’omissione fosse realmente espressiva di deliberato mendacio o reticenza sulle effettive condizioni reddituali o non fosse piuttosto frutto di disattenzione, come tale non qualificabile come dolo.

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Cass. Sez VI civ ord. n. 5661 pubbl 21 feb 2022

La richiesta di liquidazione del compenso viene dichiarata prescritta con provvedimento depositato il 26 settembre 2018.
Il difensore propone opposizione ex art. 170 t.u.s.g. con ricorso depositato il 29 marzo 2019.
Il giudice dell'opposizione ne dichiara l'inammissibilità perchè tardiva essendo applicabile al procedimento ex art. 702bis e segg cpc. l'art. 327 cpc in caso di mancata notifica o comunicazione del provvedimento e disattendendo la tesi secondo cui l'impugnazione nel giudizio sommario di cognizione sarebbe legata all'art. 702quater cpc che è correlato alla comunicazione ovvero alla notificazione del provvedimento.

Cass. sez VI civ ord. n. 5458 pubbl. 18 feb 2022

Il Tribunale di Trani ha rigettato l’opposizione ex artt. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002 e 15
del d.lgs. n. 150 del 2011 proposta da Marta Rutigliano avverso il decreto 17 giugno 2019 del Presidente del Tribunale, che ne aveva revocato l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato in un
giudizio di separazione personale, alla luce del superamento dei limiti reddituali relativamente all’anno 2015. L’ordinanza impugnata ha poi dichiarato inammissibile l’opposizione proposta
in proprio dall’avvocato Giuseppe Spadavecchia avverso lo stesso decreto 17 giugno 2019, nella parte in cui questo revocava altresì la liquidazione dei compensi professionali operata dal Tribunale in composizione collegiale con provvedimento del 7 marzo 2018 in relazione all’assistenza prestata alla Rutigliano nell’ambito del giudizio di separazione. Il Tribunale di Trani ha sostenuto che il
procuratore della parte revocata dal patrocinio a spese dello Stato difetta di legittimazione attiva nel relativo giudizio di opposizione e che va ammessa la revocabilità del decreto che liquida i compensi del patrocinatore, in ragione del nesso di interdipendenza esistente tra la revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio e la liquidazione dell’avvocato.
Come da questa Corte più volte affermato (Cass. Sez. 6 - 2, 23/07/2020, n. 15699; Cass. Sez. 6 - 2, 18/06/2020, n. 11769; Cass. Sez. 6 - 2, 11/09/2018, n. 21997) in materia di patrocinio a carico dello Stato, la legittimazione dell’interessato, ovvero propriamente alla parte che si vuole avvalere del patrocinio a carico dello Stato, o che vi sia stata ammessa ma il cui beneficio sia stato poi revocato, è riconoscibile solo con riferimento all'opposizione avverso il decreto di rigetto dell'istanza di ammissione o di revoca del gratuito patrocinio.
Spetta invece esclusivamente al difensore la legittimazione ad agire con riguardo alla liquidazione del compenso, essendo egli l’unico titolare di tale diritto soggettivo patrimoniale nei confronti dello Stato.
Avendo il decreto 17 giugno 2019 del Presidente del Tribunale tra l’altro revocato la liquidazione dei compensi operata con provvedimento del 7 marzo 2018 in favore dell’avvocato Giuseppe Spadavecchia per l’assistenza prestata alla Rutigliano, è innegabile che il medesimo difensore fosse legittimato in parte qua a proporre opposizione, a differenza di quanto affermato nell’impugnata ordinanza.
Il giudice di rinvio, nel decidere sull’opposizione proposta dall’avvocato Giuseppe Spadavecchia, dovrà altresì considerare l’ulteriore consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di patrocinio a spese dello Stato, il decreto di liquidazione del compenso al difensore per l’opera prestata nell’espletamento dell’incarico non è revocabile, né modificabile, d'ufficio, poiché l'autorità giudiziaria che lo emette, salvi i casi espressamente previsti, consuma il suo potere decisionale e non ha il potere di autotutela tipico dell'azione amministrativa, restando l’operatività degli effetti della eventuale revoca del provvedimento di ammissione disciplinati dall’art. 136 del d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. civ. Sez. 6-2, 18/01/2017, n. 1196; Cass. civ. Sez. 6-2,06/06/2014, n.12795; Cass. Sez. 1, 30/05/2008, n. 14594; arg. anche da Corte Cost. 24 settembre 2015, n.192).
Occorre in particolare evidenziare che l'art. 136, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, dispone espressamente che la revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato ha
effetto dal momento dell'accertamento delle modificazioni reddituali, indicato nel provvedimento del magistrato, mentre ha efficacia retroattiva se risulta l'insussistenza dei presupposti per l'ammissione ovvero se l'interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave. La revoca dell’ammissione ripristina l'obbligo della parte assistita in giudizio di sopportare personalmente le spese della sua difesa e determina, allorché ha efficacia retroattiva, le conseguenti restituzioni.
Le Sezioni Penali di questa Corte, peraltro, precisano che la revoca del patrocinio a spese dello Stato, per mancanza originaria o sopravvenuta delle condizioni di reddito previste dalla legge, pur avendo efficacia retroattiva, nel contesto degli artt. 111 e 112 d.P.R. 30 maggio 2002, non comporta l'inefficacia del decreto di pagamento del difensore emesso prima della revoca del provvedimento di ammissione (Cass. Pen. Sez. 4, 15/12/2020, dep. 16/03/2021, n. 10159; Cass. Pen. Sez. 4,14/02/2019, dep. 29/04/2019 n. 17668).

Cass. Sez. VIciv. ord. n. 4976 pubbl. 15 feb. 2022

Il tribunale ha respinto la richiesta di liquidazione, poiché l’avv. Ragno, non aveva documentato l’iscrizione all'albo dei legali abilitati al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi degli artt. 80 e ss., DPR 115/02.
Nel giudizio di opposizione al decreto di liquidazione del compenso per il patrocinio a spese dello Stato, la parte istante non è obbligata ad indicare, né a documentare l'iscrizione dell'avvocato nell'elenco di cui all'art. 81 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, trattandosi di elenco avente natura pubblica (Cass. 14594/2008; Cass. 9264/2015).

Cass. Sez VI civ. ord. n. 4975 pubbl. 15 feb. 2022

Ammessa al gratuito patrocinio per la pronuncia di divorzio, all’udienza di comparizione personale delle parti dinanzi al Presidente del Tribunale, l'interessata aveva comunicato di
convivere con un nuovo compagno, titolare di un reddito di circa € 2000,00 mensili.
Il Tribunale, preso atto delle dichiarazioni dell’interessata, ha revocato l’ammissione provvisoria, rigettando l’istanza di liquidazione dei compensi avanzata dal difensore.
…..deve disporsi la revoca dell'ammissione ove vengano meno le condizioni reddituali
nel corso del giudizio, nonché, "a fortiori", quando sia accertato il superamento della soglia nell'anno precedente la presentazione dell'istanza (Cass. 15458/2020; Cass. 4429/2017).

Cass. Sez VIciv. ord. n. 4770 pubbl. 14 feb 2022

il Tribunale di Lecco ha rigettato l’opposizione proposta da Colombo Cristina avverso il provvedimento di liquidazione del compenso a lei spettante a fronte dell’attività professionale resa in favore di soggetto difeso di ufficio. Il Tribunale riteneva corretta la determinazione del compenso operata dal primo giudice, il quale aveva applicato i valori medi di tariffa, riducendoli del 50% a sensi dell’art. 12 del D.M. n. 55 del 2014, ed operando poi l’ulteriore riduzione prevista dall’art. 106 bis del D.P.R. n. 115 del 2002.
La successiva applicazione della ulteriore decurtazione di cui all’art. 106-bis del D.P.R. n. 115/2002 non costituisce violazione del minimo tariffario, da un lato in quanto si tratta di disposizione speciale, applicabile soltanto alle liquidazioni del compenso previsto per il difensore di ufficio dell’imputato irreperibile, e dall’altro lato in quanto, per detta specifica ipotesi, si ravvisano le medesime esigenze di contemperamento tra la tutela dell’interesse generale alla difesa del non abbiente ed il diritto dell’avvocato ad un compenso equo, che avevano condotto questa Corte a ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 130 del D.P.R. n. 115/2002 (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9808 del 23/04/2013, Rv. 626252; Corte cost. n. 350
del 2005, n. 201 del 2006, n. 270 del 2012). Anche in questo caso, infatti, si configura un moderato sacrificio delle aspettative economiche del professionista, che da un lato non ne svilisce il ruolo,
posto che la riduzione prevista dall’art. 106-bis in esame non riduce il compenso ad un valore meramente simbolico, né determinato a prescindere dalla valutazione della natura, contenuto e pregio dell’attività, e dall’altro lato si giustifica alla luce della tutela dell’interesse generale di cui anzidetto.

Cass. Sez VI civ ord. n. 4510 pubbl 11 feb 2022

i ricorrenti hanno chiesto la correzione dell'errore materiale comparente nel dispositivo della richiamata ordinanza nella parte in cui questa Corte ha disposto la condanna della ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore "dei controricorrenti", senza
specificare che dette spese avrebbero dovuto essere corrisposte in favore dello Stato, come previsto dall'art. 133 del d.P.R. n. 115 del 2002, risultando il Pinto e la Torrente entrambi ammessi al patrocinio a spese dello Stato......
…....la parte soccombente non ammessa al patrocinio a spese dello stato, se condannata al pagamento delle spese processuali in favore della parte ammessa, deve effettuare il versamento in favore dello Stato, sicché, ove esso venga disposto, erroneamente, in favore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, il dispositivo della sentenza può essere corretto mediante il procedimento di correzione dell'errore materiale (Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 4216 del 19/02/2020, Rv. 657022 - 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 15817 del 12/06/2019, Rv. 654311 - 01)

Cass. Sez VI civ ord. n. 3799 pubbl. 7 feb 2022

il Tribunale di Catanzaro, decidendo sull’opposizione ex art.170 DPR 115/2002 proposta dalla ditta “Eredi Castiello s.r.l” avverso la liquidazione del compenso per l’attività di custodia adottato dal
Pubblico Ministero, accolse il ricorso in quanto il provvedimento impugnato era privo di motivazione ed il compenso era irrisorio;
il giudice dell’opposizione, con ordinanza del 4.1.2021, annullò il decreto senza provvedere alla determinazione del compenso, rimettendo gli atti al Pubblico Ministero
Il ricorso, ai sensi della L. 8 luglio 1980, n. 319, art. 11, comma 5, avverso la liquidazione del compenso ai periti e consulenti tecnici, non è atto di impugnazione, ma atto introduttivo di un procedimento contenzioso, nel quale il giudice adito, anche alla stregua delle regole di cui al richiamato della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 29, sugli onorari di avvocato e procuratore, ha il potere - dovere di verificare la correttezza di detta liquidazione in base ai criteri legali.
Ne discende che la valutazione del giudice del procedimento di opposizione non è limitata alla verifica della correttezza formale del decreto opposto, ma investe anche la correttezza sostanziale
della liquidazione, ben potendo quindi supplire alle eventuali carenze motivazionali del decreto di liquidazione, e senza che ciò determini l'illegittimità della decisione che in tale sede ponga
rimedio con le proprie motivazioni alle carenti indicazioni del primo giudice.
Trattasi quindi di un procedimento a carattere interamente devolutivo che impone quindi un'integrale rivisitazione della liquidazione, con la necessità di una nuova valutazione, sebbene
con il menzionato limite della non eccedenza della decisione rispetto a quanto richiesto dall'ausiliario, non essendo dato quindi addivenire alla mera declaratoria di invalidità del provvedimento per carenza della motivazione, ma dovendo il giudice dell'opposizione invece autonomamente motivare, ancorchè per relationem con rinvio a quanto esposto nel decreto (laddove
invece il decreto sia munito di adeguata motivazione), sul perchè la liquidazione debba essere compiuta in un certo importo
…..............cassa l’ordinanza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Catanzaro in persona di altro Magistrato.

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