Cass. Sez VI civ ord. n. 41766 pubbl. 28 dic 2021

Il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione, ritenendo che dalla documentazione prodotta non era dato verificare la concreta incidenza dell’attività professionale rispetto alla difesa dell’imputato, mancando una serie di atti (convalida dell’arresto, eventuale provvedimento di applicazione di misure cautelari, provvedimento che ha definito il giudizio, la stessa imputazione) a tal fine fondamentali, così che il compenso liquidato ben poteva reputarsi congruo.
Il primo motivo è fondato.
Ed, invero, pur dovendosi ribadire che (cfr. Cass. n.1470/2018) il ricorso avverso il decreto di liquidazione del compenso all'ausiliario del magistrato, nel regime introdotto dall'art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002 - come già nella vigenza della l. n. 319 del 1980 - non è atto di impugnazione,
ma atto introduttivo di un procedimento contenzioso, nel quale il giudice adito ha il potere-dovere di verificare la correttezza della liquidazione in base ai criteri legali, a prescindere dalle prospettazioni dell'istante - con il solo obbligo di non superare la somma richiesta, in applicazione del principio di cui all'art. 112 c.p.c. - e di regolare le spese secondo il principio della soccombenza, il procedimento previsto dal legislatore non consente una rigida applicazione del principio dell’onere della prova.
E’ stato, infatti, reiteratamente affermato da questa Corte che (cfr. Cass. n. 2206/2020; Cass. n. 4194/2017) in tema di opposizione avverso il provvedimento di liquidazione del compenso al CTU, il giudice di cui all'art. 15 del d.lgs. n. 150 del 2011 ha il potere-dovere di richiedere gli atti, i documenti e le informazioni necessarie ai fini della decisione, essendo la locuzione "può" contenuta in tale norma da intendersi non come espressione di mera discrezionalità, bensì come potere/dovere di decidere "causa cognita", senza limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull'onere della prova (conf. Cass. n. 19690/2015).
Alla luce di tali principi, ai quali il Collegio intende assicurare continuità, si palesa evidentemente erronea la soluzione del giudice di merito il quale ha ritenuto di disattendere la domanda di integrazione della liquidazione della ricorrente solo perché non risultavano essere stati prodotti una serie di atti processuali che avrebbero permesso di verificare l’incidenza della condotta della ricorrente rispetto alla posizione processuale della parte difesa, atteso che, dovendo il giudice procedere autonomamente all’individuazione delle somme eventualmente dovute al difensore della parte ammessa al patrocinio statale, senza essere vincolato dalle indicazioni della parte, ma verificando sia l’an che il quantum, in relazione a tale secondo aspetto si imponeva in ogni caso la
richiesta degli atti, dei documenti e delle informazioni necessarie ai fini della decisione, non potendo quindi arrestare la propria valutazione al mero riscontro dell’assenza in atti dei
documenti indicati.
Deve, invero, ritenersi che i poteri istruttori officiosi che connotano il procedimento di liquidazione dei compensi degli ausiliari del giudice e dei difensori delle parti ammesse al patrocinio a spese dello Stato, accedano non solo alla determinazione del quantum ma anche alla verifica dell’an
(cfr. in tal senso Cass. n. 9264/2015).